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Non illudiamoci! Il cosiddetto Governo di larghe intese, più propriamente definibile “Paccottiglia repubblicanoide”, non è e non sarà mai in grado di risanare in modo sostanziale la nostra disastrosa economia, né riformare radicalmente il sistema del mondo del lavoro, presupposti oggi indispensabili per uscire dalla crisi profonda in cui versa il Paese.

Non occorre essere grandi economisti, né politici o professori di alto lignaggio per capire che un Governo siffatto, continuamente ricattabile da sinistra e, maggiormente, da destra, secondo gli avvenimenti che giorno dopo giorno ne confermano l’ipocrita impostazione e che ci rivelano l’orientamento del suo operato nella direzione, pericolosissima, di un cambiamento delle regole costituzionali in corso d’opera (vedi in questo sito: Art. 138 della Costituzione..in pericolo), un siffatto Governo, dicevamo, non aiuterà le classi più deboli del Paese ad uscire dalla prospettiva, ormai incombente, della povertà assoluta: economica, morale, sociale.

Per questo la nostra Associazione si unisce ai Parlamentari e a tutte le donne e uomini di buona volontà per impedire che tali manovre scellerate possano compromettere la salute della nostra Democrazia, fondata, come sappiamo, sulla centralità del Parlamento e sulla divisione e autonomia dei poteri costituzionali.

Più volte abbiamo ricordato nelle pagine di questo sito quanto la nostra Costituzione repubblicana affondasse le sue radici in quella della Repubblica Romana del 1849; Repubblica in cui primeggiarono, unitamente a persone di grande spessore  culturale e umano, i Padri della Patria Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Cambiare la Costituzione Repubblicana odierna recherebbe offesa gravissima alla natura stessa della civiltà democratica italiana, così duramente conquistata con il sangue di migliaia e migliaia di Patrioti, nel Risorgimento, prima, nella Resistenza e nelle conquiste sociali del dopoguerra, poi.

Resistete, dunque, cari giovani e meno giovani Deputati e Senatori della Repubblica! Consideratevi depositari della volontà della maggioranza del popolo Italiano e dei Padri di due gloriose Costituzioni, tra le più evolute tra tutte le Costituzioni del mondo e della storia.

ITALIANI !

MODIFICARE LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA, NATA DALLE CENERI DEL PIU’ GRAVE DISASTRO UMANITARIO, CIVILE E SOCIALE DELLA STORIA, PER AVVENTURARSI IN ALTERNATIVE ISTITUZIONALI PRESIDENZIALI O SEMI-PRESIDENZIALI, EQUIVALE A NEGARE:

 

            1.      LE RADICI DEMOCRATICHE E STORICHE DEGLI ITALIANI CHE SI RIASSUMONO NEI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849; PRINCIPI AI QUALI SI ISPIRARONO I NOSTRI PADRI COSTITUENTI  DURANTE LA STESURA DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA VIGENTE;

 

            2.      LA SOVRANITA’ DEL POPOLO CHE, DELEGANDO I SUOI ELETTI, ORA NOMINATI DAI PARTITI, A RAPPRESENTARLO IN PARLAMENTO, AFFIDA ALL’ASSEMBLEA LA CENTRALITA’  DEL MANDATO;

 

            3.       GLI  INSEGNAMENTI, IL PENSIERO E L’AZIONE  DEI PADRI DELLA PATRIA, GIUSEPPE MAZZINI  E GIUSEPPE GARIBALDI,  E DEI PADRI DELLA  NOSTRA COSTITUZIONE, ENTRATA IN VIGORE IL 1° GENNAIO 1948;

 

           4.      IL SACRIFICIO DI MIGLIAIA DI MARTIRI DEL RISORGIMENTO E DELLA RESISTENZA, CHE SI SONO BATTUTI PER L’UNITA’ E LA LIBERTA’;

 

 

           5.      I DIRITTI  DEI MOLTI IN FAVORE DEI PRIVILEGI DEI POCHI, CHE INEVITABILMENTE SCATURIREBBERO DA UNO SQUILIBRIO TRA IL POTERE ESECUTIVO, PREVALENTE, E QUELLO LEGISLATIVO E GIUDIZIARIO;

 

 

           6.      IL PROGRESSO DEL POPOLO ITALIANO; POPOLO ANCORA IN FORMAZIONE E DUNQUE ESPOSTO  A SVOLTE DITTATORIALI

RESISTIAMO !

Sta accadendo un fatto strano e difficile da spiegare, che appare più fisiologico che politico o giuridico: la Costituzione si sta trasformando. Cambia di colpo in punti vitali.

Per esempio è in atto un progetto che sta svolgendosi all’insaputa dei cittadini, ed è bene saperlo. Il progetto è di mettere mano all’art. 138 della Costituzione, o meglio di cominciare di lì. Quell’articolo è un cardine: impedisce che la Costituzione possa essere facilmente e liberamente manomessa al di fuori della complessa procedura costituzionale. Prescrive due volte il voto di ciascuna camera, e un referendum popolare di approvazione finale.

Invece la Commissione dei 40, che segue, nella stranezza e nella anomalia, quella dei dieci saggi che all’inizio di tutta questa vicenda, erano stati chiamati a consigliare il Quirinale, comincerà proprio da qui, (queste sono le istruzioni) da un ritocco che renda inutile la barriera dell’art. 138. Si può fare senza una garanzia – ovvero senza che il progetto sia previsto e concordato, fra la politica (così come essa è rappresentata nel governo) e le Istituzioni?  Se è così, ciò che sta accadendo punta verso una Costituzione ignota, che ancora non abbiamo e ancora non conosciamo. A quanto pare la Costituzione ignota ha già corretto in senso verticale le sue istituzioni. Il potere adesso discende dal potere, invece di risalire dal voto. Non solo glielettori appaiono abbandonati sul fondo, ma anche i parlamentari. Discutono a vuoto, votano a vuoto e non contano niente. Di questo fatto, che è strano perché mai deciso e mai votato dagli eletti, trovo una attendibile descrizione in un editoriale del quotidiano Il Tempo : “Le prerogative del Parlamento non possono tradursi in una sorta di diritto di veto sui programmi di ammodernamento delle Forze Armate (…) Il comunicato diffuso ieri dal Quirinale al termine della riunione del Consiglio Superiore della Difesa, presieduto dal Capo dello Stato ha aggiunto una pietruzza sulla strada, cara al presidente della Repubblica, delle riforme istituzionali (…) indicando in modo fermo e non equivoco , i limiti alla attività del Parlamento. Tutto ciò dimostra come sia già in atto, nella prassi, un processo di trasformazione delle istituzioni nel senso di un rafforzamento dell’Esecutivo. In altre parole, si sta affermando una nuova Costituzione reale ben diversa dalla Costituzione formale. (…)

Anziché parlare di uno schiaffo al Parlamento, come fanno i grillini e le vestali di una Costituzione ingessata e superata dai tempi, sarebbe bene che si cogliesse l’invito implicito a mettere mano, finalmente, alle riforme. Per il bene del Paese”. (Francesco Perfetti, 4 luglio). L’articolo è interessante perché è ispirato (dal comunicato della Presidenza della Repubblica), perché dimostra in modo chiaro e persuasivo di quali riforme si tratta (la verticalizzazione presidenzialista o semi- presidenzialista del potere politico in Italia, la marginalizzazione del Parlamento, le istruzioni per l’uso della Commissione dei 40, a cui viene assegnata la prova da svolgere con obbligo di copiatura di istruzioni già date.

E quel tanto di scherno (“le vestali di una Costituzione ingessata e superata dai tempi” ) che è sempre stato il canto di guerra della vasta e disordinata aggregazione berlusconiana. Ma allora le rivelazioni che ci vengono consegnate come una notizia, con fermo invito ad adeguarci subito, sono due. La prima, abbiamo appena appreso, è che, fin dal primo momento delle votazioni presidenziali, il progetto era già completo, con tutte le sue istruzioni per l’uso, e significava trasformazioni profonde, mai concordate e mai votate, alla Costituzione. La seconda è la vistosa e pesante asimmetria delle forze che sono state associate (la forma passiva dei verbi è necessaria) per formare il “governo insieme”.

Ecco la formula di quel governo. Da una parte tutti gli interessi personali, proprietari, giudiziari di Berlusconi più tutte le forme diverse di reazione e ostilità alla esigente e coerente Costituzione italiana. Dall’altra, figure sparse dette, per pura esigenza di identificazione, “di sinistra” (di solito intente a respingere con sdegno quella definizione) che non hanno, come riferimento, né un partito deciso a guidare né una Istituzione disposta a difendere. Un peso preponderante, dunque, è dalla parte di coloro che militano con furore e passione contro la Costituzione nata dalla Resistenza. E le figure sparse se ne accorgono quando ricevono, se si scostano, sgridate durissime e autorevoli, di solito interpretate bene, e tempestivamente espresse, dal capogruppo di Berlusconi, Brunetta.

A questo punto il discorso si fa drammatico e semplice: il dovere democratico è difendere la Costituzione senza accettare alcuna manomissione, contro un simile squilibrio di intenti e di forze. Pretendere una urgente e decente legge elettorale come unico impegno verso il Paese, il solo che si può fare a carte scoperte. Subito dopo dovremo persuadere i cittadini che per il 50 per cento si sono astenuti nelle ultime elezioni, a tornare al voto.

Furio Colombo

il Fatto Quotidiano, 7 Luglio 2013

L’Associazione Garibaldini per l’Italia, insieme all’Associazione Nazionale Garibaldina, celebrerà il 29 Agosto 2013 alle ore 9,00, al Cippo Garibaldi in Aspromonte, il 151° anniversario dello scontro “fratricida” tra le truppe Italiane comandate dal Generale Pallavicini e i volontari comandati da Giuseppe Garibaldi.

Lo scorso anno, in occasione del 150°, mettemmo in evidenza l’indifferenza, oltre all’ignoranza, che gran parte della popolazione riserva allo scontro dell’Aspromonte , quasi rappresentasse per gli Italiani un episodio insignificante nel panorama complessivo del Risorgimento (vai all’articolo). A coloro invece che cercano di approfondire e comprendere  le motivazioni storiche e culturali che hanno formato lo Stato unitario, i cui sviluppi ancora oggi si ripercuotono con incredibile efficacia sulla nostra realtà politica e sociale, abbiamo voluto dedicare una giornata di celebrazione, memoria e dibattito nei luoghi stessi ove avvenne lo scontro.

 Giovedì 29 Agosto 2013 – ore 9,00 – Cippo Garibaldi – Comune di S. Eufemia (RC)
VIDEO DELL’EVENTO

http://youtu.be/Jt7ZKH0JXq0

Riportiamo il riassunto semplificato dell’introduzione ai Doveri dell’Uomo di Giuseppe Mazzini. Il testo, sorprendente per l’attualità dei contenuti, costituisce una solida indicazione sulla forma e sulla sostanza della Società; su tali princìpi dovremmo, ieri come oggi, costruire il futuro.

p.m.

 

Perché parlare dei Doveri di ognuno di noi prima di parlare dei nostri  Diritti? Perché parlare di sacrifici, di moralità, di educazione, e non di beni materiali e di successo ? La giusta rivendicazione dei Diritti dell’uomo che in poco più di 200 anni di storia ha contrapposto le masse, che ne rivendicavano l’attuazione, alle classi dominanti, non ha migliorato, sostanzialmente, la condizione della stragrande maggioranza del Popolo:  Il costo della vita è aumentato, il salario dell’operaio progressivamente diminuito, la popolazione moltiplicata e il lavoro divenuto precario.
 L’idea dei diritti inerenti alla natura umana è oggi generalmente accettata;  allora perché la condizione del Popolo non è migliorata e la ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi uomini appartenenti a una nuova aristocrazia? La risposta è semplice: tutti gli uomini  possono essere educati all’esercizio delle libertà conquistate. Che giova avere libertà individuale, libertà d’insegnamento, libertà di credenze, libertà nel commercio, libertà in ogni cosa e per tutti, se esistono persone che non possono esercitare alcuno di questi diritti ? La “cultura del diritto” ha generato uomini che si sono impegnati nel miglioramento della propria condizione senza provvedere a quella degli altri; questo orientamento ha causato lo scontro tra i diritti degli uni contro i diritti degli altri, nel quale “i forti” per mezzi e risorse  hanno schiacciato sovente i deboli o gli inesperti.
In questa ottica gli uomini sono stati educati all’egoismo e all’avidità dei beni materiali, perché proposti come fine e non come mezzo. In conseguenza della “teoria dei Diritti”, gli uomini, privati di una credenza comune, calpestano le teste dei loro fratelli, fratelli di nome e nemici di fatto. Quale diverso comportamento si può pretendere da quelle persone alle quali per anni si è parlato di interessi materiali, nel momento in cui, trovandosi di fronte a ricchezza e potenza, stendono la mano per afferrarle anche a scapito dei propri fratelli? E’ dunque una questione di educazione .
Educazione a un principio: il Dovere. Attraverso l’educazione al Dovere si può arrivare a comprendere che lo scopo della vita non è quello di essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori; che combattere l’ingiustizia  a beneficio dei fratelli non è soltanto esercitare un diritto, ma un Dovere. Questo non vuol dire rinunciare ai diritti, bensì arrivare al loro raggiungimento attraverso la pratica dei Doveri. Quando udite dire dagli uomini che predicano un cambiamento sociale che lo fanno per accrescere i vostri diritti, è opportuno diffidare della proposta perché loro conoscono i mali che vi affliggono e la loro condizione di privilegio giudica quei mali come una triste necessità dell’ordine sociale; per questo lasciano la cura dei rimedi alle generazioni che verranno.
Occorre dunque far loro capire che solo attraverso l’associazione con voi possono conquistare l’organizzazione sociale che può porre fine ai vostri mali e ai loro terrori. Quando Cristo venne e cambiò la faccia della terra, Egli non parlò dei diritti ai ricchi, che non avevano bisogno di conquistarli, o ai poveri che ne avrebbero forse abusato, ad imitazione dei ricchi; parlò di Dovere: parlò d’amore, di sacrificio, di Fede. Quelle parole, sussurrate all’orecchio di una società che non aveva più scintilla di vita, la rianimarono, e fecero progredire d’un passo l’educazione del genere umano. Come gli Apostoli che seguirono l’esempio del Cristo, dovreste predicare il Dovere agli uomini delle classi che vi opprimono; predicate la virtù, il sacrificio, l’amore e comportatevi con virtù, sacrificio e amore. Cercate d’istruirvi, migliorare, educarvi alla piena conoscenza e alla pratica dei vostri Doveri.

Don Andrea Gallo, per tutti noi il Don, è il compagno che vorremmo avere al nostro fianco in ogni momento della vita. Ci ha insegnato che il vizio capitale peggiore è l’ottavo: l’indifferenza. È stato un grande rivoluzionario. Quando glielo rammentavo, la risposta era sempre la stessa: “Io ho seguito solo le impronte lasciate dagli altri”. Sì, è stato un grande rivoluzionario, non solo per il bene che ha fatto, ma per la forza della sua parola, per l’esempio dato dal suo modo di vivere, in una società che distrugge i valori, dove morale ed etica sono diventati optional. Quante volte Don Gallo si è domandato: “Dov’è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov’è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose”.

Lui ha semplicemente messo in pratica gli insegnamenti del cristianesimo partendo dalla virtù che dovrebbe essere alla base della vita di un prete: la povertà, e che invece la Chiesa, quella conservatrice, quella dei tabù, gli ha sempre contestato, a volte trattandolo da eretico. Con la Chiesa il rapporto è stato difficile sin dall’inizio. “Chi vuol farsi obbedire deve prima riuscire a farsi amare”, sono le parole di Don Bosco che Andrea aveva fatto sue. Ordinato sacerdote il 1° luglio 1959, poco prima del suo trentunesimo compleanno. Il primo incarico, l’anno dopo, come cappellano alla nave scuola della Garaventa, noto riformatorio per minori. Il metodo che usava con i ragazzi (non aveva alla base l’espiazione della pena), non era gradito. Con lui fiducia e libertà prendono il posto della repressione. Lavora sulla responsabilità, consentendo ai ragazzi di uscire per andare al cinema e vivere momenti di auto gestione. Dopo tre anni fu rimosso dall’incarico senza nessuna spiegazione. Nel 1964 il Don decise di lasciare la congregazione salesiana per entrare nella diocesi genovese. “Mi impedivano di vivere pienamente la vocazione sacerdotale”, racconterà successivamente.

ALLA CHIESA HA SEMPRE CONTESTATO: la piramide gerarchica; la ricchezza; la mancanza del no totale alla guerra; la condanna nei confronti della laicità. Per Don Gallo la laicità ha rappresentato la difesa dei diritti dell’uomo. Nel 1965 la diocesi lo mandò come viceparroco alla chiesa del Carmine in un quartiere popolare di Genova. “Di portuali e operai, con abitazioni inagibili, un mercato rionale quasi indecente. Giravo nei vicoli, sostavo tra i banchi, passavo in edicola, discutevo con il salumiere che era convinto che mi piacesse il prosciutto ma comprassi la mortadella perché ero tirchio e volevo spendere meno”. Erano gli anni della fine del concilio Vaticano II. Gli anni in cui con papa Giovanni XXIII la Chiesa decise di leggere i segni dei tempi. La guerra del Vietnam. Facciamo l’amore e non la guerra, era lo slogan del movimento pacifista americano. Da noi, dopo la rivolta francese, nacque la contestazione, il movimento studentesco con la riforma della scuola, i giovani entrarono sempre più nel sociale. Alla messa di mezzogiorno Andrea trattava i temi di attualità, era nettamente schierato al fianco degli ultimi, cominciò a tenere due leggii: da una parte il Vangelo, dall’altra il giornale.

Nel 1970 la Chiesa, dopo averlo fatto spiare dal parroco che registrava di nascosto le sue prediche, decise di trasferirlo. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso e che aveva fatto scatenare l’indignazione dei benpensanti fu la predica all’indomani della scoperta di una fumeria di hashish nel quartiere. Il Don, invece di inveire contro chi rollava qualche spinello, ricordò che vi erano altre droghe ben più diffuse e pericolose, per esempio quella del linguaggio, che poteva tramutare il bombardamento di popolazione inerme in un’azione a difesa della libertà. Fu accusato di fare politica e di essere comunista. Don Gallo aveva trasformato la parrocchia del Carmine in un luogo di aggregazione, di confronto per giovani e adulti. “Mi hanno rubato il prete” è quello che disse un bambino a chi gli chiedeva perché stesse piangendo, seduto sulle scale della chiesa del Carmine il 2 luglio 1970 durante la manifestazione di solidarietà contro il trasferimento di Don Gallo voluto dall’arcivescovo di Genova, cardinale Siri. Quel giorno erano migliaia le persone che manifestarono a suo favore. Quel giorno segnò la sua identità, rappresentò il momento in cui Don Gallo prese coscienza di essere in relazione con gli altri, di essere prete e laico contemporaneamente.

Don Gallo rimarrà per sempre un simbolo della dignità e dell’uguaglianza tra gli uomini. Quel biglietto da visita che Gesù gli aveva consegnato non se l’è mai messo in tasca, lo ha stretto forte, forte per sempre nelle mani, il sale, il lievito, il chicco di grano sono stati sempre presenti in ogni sua azione. Nella sua vita c’è un altro momento fondamentale. L’8 settembre 1943 Andrea aveva quindici anni, suo fratello Dino, ufficiale del genio pontieri, era considerato disperso, invece era entrato nella Resistenza. A novembre tornò a casa per qualche giorno. Fu Dino a parlare ad Andrea per la prima volta di Resistenza, di lotta di Liberazione, di valori e libertà. “Aprii gli occhi sul nazifascismo. Per me fu facile scegliere da che parte stare. Su quei valori cominciò il mio percorso di vita”. Andrea decise di disertare e di seguire il fratello entrando nella Resistenza come staffetta con il nome di battaglia Nan, diminutivo di Nasan che in genovese significa nasone che era il soprannome che gli avevano dato a scuola, a causa del naso prominente. “Sono un miracolato, prima che da Dio, dal fascismo”.

PER DON GALLO “L’INCONTRO” con Don Bosco arrivò a vent’anni. Un giorno mentre giocava a pallone conobbe il salesiano Piero Doveri, è lui che gli cambiò la vita. “La gioia di vivere con gli altri e per gli altri di questo prete mi ha completamente fulminato. E se diventassi anch’io un prete di Don Bosco? Diventando educatore posso stare al contatto con i ragazzi, cercando di aprire la loro anima, di aprire le loro potenzialità nella libertà, nella giustizia, nella democrazia nel benecomune, nella pace”. Così Don Gallo trovò la vocazione: “Don Bosco mi ha dato Gesù”. Un giorno gli chiesi il significato di queste parole e lui mi disse: “Io non son portato all’illuminazione o altro. L’incontro è come uno scambio di biglietti da visita. Gesù mi ha dato il suo biglietto: son venuto per servire e non per essere servito”. Dopo la cacciata dalla chiesa del Carmine, il Don capì che la diocesi non lo avrebbe mandato da nessuna parte. Grazie a un amico incontrò don Federico Re-bora, il parroco di San Benedetto. “Quando gli parlai la prima volta, mi rispose semplicemente: venite. Io e i miei ragazzi siamo accampati lì da quarantatré anni. Qualche anno dopo è nata la comunità di base San Benedetto al Porto”.

Don Gallo ha sempre ricordato che è ad essa che deve la sua maturazione come uomo, come cristiano, come prete. “Io so che devo rispondere alla mia coscienza di fede, ma è stando in comunità che ho capito che devo rispondere anche alla mia coscienza civica”. Ho scritto qualche anno fa dopo un nostro dibattito: “Peccato che il Don sia un prete, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro leader”. Ci hanno rubato il prete che parlava dell’amore, ci hanno rubato il prete che era monsignore.

Loris Mazzetti

Da Il Fatto Quotidiano del 23/05/2013.

La battaglia del 3 Giugno 1849 a Roma, poco fuori la Porta di San Pancrazio, fu decisiva per l’inizio della caduta della Repubblica Romana . Negli scontri con i Francesi del Generale Oudinot persero la vita centinaia di patrioti e soldati accorsi da ogni parte d’Italia e d’Europa, con presenze anche americane, per difendere il sogno di una democrazia e una repubblica, nate per riscattare la dignità del Popolo italiano, da secoli sottomesso a poteri che avevano represso la sua libertà.

Quest’anno la nostra Associazione vuole ricordare quei giorni gloriosi con una cerimonia commemorativa, per non dimenticare il sacrificio estremo di quei giovani.

 

La locandina dell’evento

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Malgrado la minaccia di pioggia e lo sciopero dei mezzi pubblici, si è conclusa felicemente il 3 giugno  la rievocazione di quegli scontri furiosi di 164 anni fa tra l’esercito della Repubblica Romana e quello della Repubblica Francese, in cui  perse la vita il fior fiore dei Patrioti Italiani  della metà dell’ottocento. La memoria, patrocinata dal Municipio Roma XII, cui hanno partecipato la Banda musicale della Guardia di Finanza in costume storico, il Coro LabBosio di Roma, le associazioni A.N.P.I, F.I.A.P. e Ambrosia, è stata celebrata in presenza della neo-eletta Presidente del Municipio Roma XII, avv. Cristina Maltese e del Generale di Brigata Raffaele Romano, comandante della Banda musicale.
L’alternanza delle citazioni importanti di Giuseppe Mazzini, Andrea Costa e Raffaele Tosi, con brani musicali eseguiti magistralmente dalla Banda della Guardia di Finanza diretta dal Maestro Maurizio Ambrosini e alcuni canti della libertà intonati con passione dal coro LabBosio diretto da Sara Modigliani, oltre alla lettura di venti nomi tra le centinaia di caduti di quel tragico giorno e della difesa di Roma,  hanno favorito la riflessione sulla Patria, sulle nostre radici storiche e culturali e sui destini dell’Italia.
 Si ringraziano tutti i partecipanti; in particolare l’attore e regista Vanni De Lucia e la garibaldina Enrica Quaranta per il loro importante contributo. L’Associazione Garibaldini per l’Italia, rinnovando l’impegno finalizzato alla divulgazione dei valori fondanti la nostra democrazia costituzionale, è sempre più convinta che il ruolo determinante per il progresso del Paese sia l’attualizzazione costante dei princìpi nati nel Risorgimento, con particolare riferimento alla Repubblica Romana del 1849 e alla Resistenza del 1943-’45.

IL FILMATO AMATORIALE   http://www.youtube.com/watch?v=0tl_cGcYMBE

Cuscino di fiori

Presidente Paolo Macoratti

Arturo De Marzi

Vanni De Lucia e Gianni Riefolo

Pres. Cristina Maltese e Gen. Raffaele Romano

Enrica Quaranta

Pupa Garribba

Vanni De Lucia

Maggiore Antonio Di Biagio

Sara Modigliani

Cinzia Dal Maso

Alcide Lamensa e Arturo De Marzi

Maurizio Santilli e Arturo De Marzi

Cristina Maltese e Raffaele Romano

Antonio Ladevaia

Gabriele Modigliani

Sara Modigliani

Maestro Maurizio Ambrosini

“ Gente che volta le spalle, persone concentrate a guardare un orizzonte vuoto. La legge, il clero, l’anziana col bastone, giovani uomini e donne d’ogni tipo che attendono con lo sguardo interessato che sul palcoscenico  spunti qualcosa. Intanto “l’indifferenza” regna sovrana ed ognuno guadagnando il suo posto in prima, seconda o ultima fila sta a guardare. Qualcuno chinandosi, sforzandosi di sbirciare, di infiltrare lo sguardo cerca di guardare oltre, è l’anziana signora che offre al bastone i suoi sforzi; Niente, ‘resti in coda’ sembrano dirgli infinite spalle, che come sbarre di un cancello respingono i suoi affannosi tentativi. Voci ondeggiano tra la folla, come un tam tam serpeggia un ‘ecco!. ‘comincia’, ‘arriva chissà!’. Niente, l’infinito orizzonte resta un infinito cielo. L’indifferenza è un mio scherzo figurativo inventato negli anni (…) gli anni appunto dell’indifferenza. Anni duri, che hanno visto il massimo della concentrazione, da parte dei partiti politici a smantellare i valori ed i presupposti essenziali della nostra Democrazia Costituzionale, legalità, giustizia e solidarietà. Da partigiano ed uomo della Resistenza, sentendomi come uno di quei tasselli che hanno contribuito a costruire il mosaico della Democrazia in questo Paese, ho avuto la netta sensazione che questo mosaico si stesse frantumando. Come? Perdendo di vista i presupposti costituzionali necessari.

In primo luogo i partiti (….) perdono il proprio ruolo di “formazione ed informazione” dei cittadini così come avevano previsto i Padri Costituenti. La distanza tra i cittadini ed essi aumenta vertiginosamente, le sedi si svuotano, il dibattito, le assemblee perdono valore, a volte non sono mai convocate e i ‘pacchetti di tessere’ anonimi e ‘monetizzati’ prendono il posto delle alzate di mano o delle opinioni democraticamente discusse. Il consenso, i voti, si raccolgono sempre di più come se si vendessero pentole, enciclopedie o assicurazioni. (…) A quel punto la politica diventa mera gestione del consenso (tecnicamente ottenuto) ed amministrazione del potere derivante da questo consenso, e finalizzata solo al raggiungimento del consenso, non all’interesse generale dei cittadini. (…)

L’orizzonte è ancora vuoto e la gente ancora nel mio quadro volta le spalle e comincia ad essere inquieta. Con il referendum (…) il sistema tecnico politico vacilla e perde. La gente vince. Vince quella folla voltata di spalle che vuole solo restituire alla politica ed ai partiti l’originale dignità. Ricostruire cioè quel democratico ambito nel quale si discutono e si affrontano gli interessi generali dei cittadini, al fine di migliorare la qualità della vita, socialmente, culturalmente ed onomicamente.

E’ come se tutti magicamente nel mio vecchio quadro cominciassero a voltarsi; la vecchietta ruotando il bastone, e a braccetto del Carabiniere, si ritrovasse improvvisamente in prima fila. Ritornano principi e valori forti costituzionali: legalità, solidarietà e giustizia. Certamente, mi direte questa è arte, non è politica. Infatti immaginiamo di cambiare mentre in realtà solidarietà e legalità stentano ad essere affermati come principi cardine. (…)

Non possiamo rimanere sordi all’appello del Presidente verso una “Nuova Resistenza”, contro la mafia e la svalutazione della democrazia, ed io partigiano della prima resistenza, rispondo a questo appello con rinnovato impegno. (…) Questa la scommessa, ma mi accorgo che non basta voltarsi, bisogna uscire dalla tela del quadro; perché le riforme abbiano senso, bisogna riappropriarsi da cittadini, degli spazi finora resi inaccessibili dal vecchio sistema tecnico politico; ognuno nel proprio lavoro, nelle scuole, nella città contribuisca a riaffermare quei principi costituzionali di base senza i quali non si ristabilisce l’assetto democratico del nostro Paese.

 Ognuno faccia la sua parte e…ci riusciremo! Da parte mia continuerò a parlare con le mie tele, i miei pennelli ed i miei colori, come un cronista, non voltando le spalle al nuovo.” Discorso di mio padre Osvaldo, artista, Segretario regionale  dell’Anpi – Puglia, medaglia d’argento al valor militare, pronunciato e pubblicato a Trani in occasione della Festa della Liberazione del 25 Aprile 1993. La tela che oggi è esposta nella Sala Azzurra della Città di Trani, la realizzò nel 1982. Il Presidente che invitò alla Nuova resistenza fu Scalfaro. Quel giorno sotto il palco fioccarono applausi ed alla fine tutti intonammo “Bella ciao”. Se oggi, ci fosse un’occasione, per parlare da un palco, saprei cosa dire; spero e lotto affinché non debba essere così in futuro per le mie figlie. Quando le opere d’arte, restano spaventosamente attuali per trent’anni, non c’è solo la bravura dell’artista, c’è qualcosa di terribile che non va nel Paese.

Massimo Pillera – Il Fatto Quotidiano 24 Aprile 2013

“Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà  all’uno e trascurerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammòna” (Vangeli di Matteo e Luca)

Così come l’insegnamento  cristiano impone al fedele l’osservanza di questa semplice e coerente scelta di campo, nello stesso modo il cittadino di una Repubblica democratica ha il dovere di scegliere tra chi opera per il bene della collettività e chi  utilizza le Istituzioni per soddisfare e potenziare  interessi privati che contrastano lo sviluppo e il progresso del Popolo.  

I recenti, incredibili  avvenimenti legati all’elezione del Capo dello Stato  hanno impedito che in Italia si realizzasse, almeno sulla carta, quel processo di reale cambiamento e quell’inversione di tendenza  politica e culturale da tempo invocata.

Nelle pagine di questo sito  abbiamo più volte sottolineato la coincidenza tra i comportamenti delle varie correnti politiche della seconda metà dell’ottocento (conservatrici, moderate riformiste o democratiche e rivoluzionarie) e quelle dei nostri giorni; comportamenti  drammaticamente simili per inciuci, ignavia, camaleontismo, superbia; e quanto tali posizioni fossero condannate molto duramente da Garibaldi, Mameli, Mazzini e tutti coloro che avevano compreso quanto fosse importante costruire una società nuova su solide e virtuose fondamenta, non solo per unificare un territorio culturalmente eterogeneo,  quanto per formare la coscienza civile di un intero Popolo. La maggior parte delle strade delle nostre città sono ora asfaltate e non più polverose come quelle dell’800, ma la personalità degli uomini che le calpestano  è cresciuta in cinismo e individualismo. Il problema di fondo, dunque, rimane: la maggioranza degli Italiani deve ancora essere “formata” alla civiltà e al progresso; e certo non aiuta aver affossato culturalmente e finanziariamente  la scuola pubblica, fonte indiscussa di formazione e crescita del cittadino.

 Non si può servire a due padroni! Come possiamo essere indifferenti alle vicende che hanno portato l’Italia a sprofondare ai livelli più bassi della sua storia repubblicana? Come possiamo ignorare le politiche sbagliate, gli scandali, le ruberie, i conflitti d’interesse, le concussioni, le corruzioni, le connivenze con le mafie,  che certi opportunisti  legati a Silvio Berlusconi  (compresa quella pseudo-opposizione e quelle figure istituzionali che ne hanno favorito il dilagare)  hanno inflitto al povero Popolo italiano, stordito dalle televisioni e ingannato da tali abili manovratori? Occorre scegliere: servire due padroni peggiorerà ulteriormente la grave crisi che stiamo vivendo.

Se solo ci fossimo liberati dalle scorie del passato, dai vincoli del partitismo autoritario, apparentemente democratico, che non vuole sacrificare il piccolo potere di una piccola casta al vero bene della collettività, avremmo visto, forse, nascere una  luce per l’Italia; la stessa luce sognata dalle nuove generazioni che avevano identificato Stefano Rodotà con l’uomo che incarnava  la speranza.

Paolo Macoratti 

PER CHIARIRE  IL SIGNIFICATO DELLA CANDIDATURA DI STEFANO RODOTA’, INSERIAMO LA LETTERA CHE LO STESSO HA SCRITTO A EUGENIO SCALFARI

Questa la lettera di Stefano Rodotà a Eugenio Scalfari, che lo aveva pesantemente attaccato per la sua scelta di offrire il fianco al Movimento 5 Stelle:

Caro direttore,

non è mia abitudine replicare a chi critica le mie scelte o quel che scrivo. Ma l’articolo di ieri di Eugenio Scalfari esige alcune precisazioni, per ristabilire la verità dei fatti.

E, soprattutto, per cogliere il senso di quel che è accaduto negli ultimi giorni. Si irride alla mia sottolineatura del fatto che nessuno del Pd mi abbia cercato in occasione della candidatura alla presidenza ella Repubblica (non ho parlato di amici che, insieme a tanti altri, mi stanno sommergendo con migliaia di messaggi). E allora: perché avrebbe dovuto chiamarmi Bersani? Per la stessa ragione per cui, con grande sensibilità, mi ha chiamato dal Mali Romano Prodi, al quale voglio qui confermare tutta la mia stima. Quando si determinano conflitti personali o politici all’interno del suo mondo, un vero irigente
politico non scappa, non dice «non c’è problema », non gira la testa dall’altra parte. Affronta il problema, altrimenti è lui a venir travolto dalla sua inconsapevolezza o pavidità. E sappiamo com’è andata oncretamente a finire.

La mia candidatura era inaccettabile perché proposta da Grillo? E allora bisogna parlare seriamente di molte cose, che qui posso solo accennare. È infantile, in primo luogo, adottare questo criterio, che enota in un partito l’esistenza di un soggetto fragile, insicuro, timoroso di perdere una identità peraltro mai conquistata. Nella drammatica giornata seguita all’assassinio di Giovanni Falcone, l’esigenza di una risposta istituzionale rapida chiedeva l’immediata elezione del presidente della Repubblica, che si trascinava da una quindicina di votazioni. Di fronte alla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, più d’uno nel Pds osservava che non si poteva votare il candidato “imposto da Pannella”. Mi adoperai con successo, insieme ad altri, per mostrare l’infantilismo politico di quella reazione, sì che poi il Pds votò compatto e senza esitazioni, contribuendo a legittimare sé e il Parlamento di fronte al Paese.

Incostituzionale il Movimento 5Stelle? Ma, se vogliamo fare l’esame del sangue di costituziona-lità, dobbiamo partire dai partiti che saranno nell’imminente governo o maggioranza. Che dire della Lega, con le minacce di secessione, di valligiani armati, di usi impropri della bandiera, con il rifiuto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con le sue concrete politiche razziste e omofobe? È folklore o agire in sé incostituzionale? E tutto quello che ha documentato Repubblica nel corso di tanti anni sull’intrinseca e istituzionale incostituzionalità dell’agire dei diversi partiti berlusconiani? Di chi è la responsabilità del nostro andare a votare con una legge elettorale viziata di incostituzionalità, come ci ha appena ricordato lo stesso presidente della Corte costituzionale? Le dichiarazioni di appartenenti al Movimento 5Stelle non si sono mai tradotte in atti che possano essere ritenuti incostituzionali, e il loro essere nel luogo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, e il confronto e la ialettica che ciò comporta, dovrebbero essere da tutti considerati con serietà nella ardua fase di transizione politica e istituzionale che stiamo vivendo.

Peraltro, una analisi seria del modo in cui si è arrivati alla mia candidatura, che poteva essere anche quella di Gustavo Zagrebelsky o di Gian Carlo Caselli o di Emma Bonino o di Romano Prodi, smentisce la tesi di una candidatura studiata a tavolino e usata strumentalmente da Grillo, se appena si ha nozione dell’iter che l’ha preceduta e del fatto che da mesi, e non soltanto in rete, vi erano appelli per una mia candidatura. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come mai persone storicamente appartenenti all’area della sinistra italiana siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano, invece, ollecitato l’attenzione del Movimento 5Stelle. L’analisi politica dovrebbe essere sempre questa, lontana da malumori o anatemi.

Aggiungo che proprio questa vicenda ha smentito l’immagine di un Movimento tutto autoreferenziale, arroccato. Ha pubblicamente e ripetutamente dichiarato che non ero il candidato del Movimento, ma una personalità (bontà loro) nella quale si riconoscevano per la sua vita e la sua storia, mostrando così di voler aprire un dialogo con una società più larga. La prova è nel fatto che, con sempre maggiore chiarezza, i responsabili parlamentari e lo stesso Grillo hanno esplicitamente detto che la mia elezione li avrebbe resi pienamente disponibili per un via libera a un governo. Questo fatto politico, nuovo ispetto alle posizioni di qualche settimana fa, è stato ignorato, perché disturbava la strategia rovinosa, per sé e per la democrazia italiana, scelta dal Pd. E ora, libero della mia ingombrante presenza, forse il Pd dovrebbe seriamente interrogarsi su che cosa sia successo in questi giorni nella società italiana, senza giustificare la sua distrazione con l’alibi del Movimento 5Stelle e con il fantasma della Rete.

Non contesto il diritto di Scalfari di dire che mai avrebbe pensato a me di fronte a Napolitano. Forse poteva dirlo in modo meno sprezzante. E può darsi che, scrivendo di non trovare alcun altro nome al posto di Napolitano, non abbia considerato che, così facendo, poneva una pietra tombale sull’intero Pd, ritenuto incapace di esprimere qualsiasi nome per la presidenza della Repubblica.

Per conto mio, rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa, convinto che la cultura politica della sinistra debba essere proiettata verso il futuro. E alla politica continuerò a guardare come allo strumento che deve tramutare le traversie in opportunità.

Roma, Basilica di San Pietro La solenne funzione pasquale  si svolse anche quell’anno nella basilica di San Pietro: C’erano i pochi diplomatici stranieri rimasti a Roma, i triumviri, i ministri, i rappresentanti del Municipio e dei corpi militari e, come sempre accadeva a Pasqua, una grande massa di fedeli. Mancavano, e non era assenza da poco, il papa e i cardinali.

I romani erano venuti in gran numero – scrisse un disincantato osservatore – “parte per lo spettacolo, parte per abitudine, parte per religione”. Quanto a Mazzini, “mi par ancora di vederlo, in marsina nera e in cravatta bianca, con prete Arduini accanto, tutto assorto e pensoso, che mirava l’imponentissimo spettacolo. E quando fu finito si scosse e voltosi a me che pur gli ero accosto, disse: ” Questa religione si regge e si reggerà ancora per molto tempo per la gran bellezza della forma”. Quella di Mazzini voleva essere una scelta di continuità con le tradizioni, e insieme una testimonianza plateale del rispetto del governo repubblicano per la religione e i suoi riti. Ma l’esibizione – che parve a molti repubblicani contraddire i caratteri della laicità dello Stato e di separazione dalla Chiesa ufficialmente ribaditi – fu considerata scandalosa dall’organo dell’opposizione clericale , Il Costituzionale Romano, e irritò gli osservatori legati alla corte papale.

 Uno di loro così descrisse quella messa, giudicandola una sfacciata profanazione:” Vi fu, è vero, un certo consenso di popolo… Ma ov’era il corpo diplomatico? Ove la nobiltà e la borghesia romana, e gli equipaggi sfarzosi, e le livree di gala? Ove insomma quella eletta di tante celebrità della società umana che vi si accoglievano negli anni precedenti?… Non vedevi le mitre episcopali, non i prelati, non i principi assistenti al soglio. Tu vedevi in vece Mazzini, Armellini e Saffi colle sciarpe tricolori, ed i membri dell’assemblea assisi in alcune panche, e li vedevi con tali ceffi torvi, tali fisionomie indevote, che tutto all’infuori di un religioso raccoglimento ispiravano. …E pure non tutti i romani sepper comprendere siffatta abbominazione, e più d’uno sentivi ripeterti la parola d’ordine, scaltramente diffusa tra le masse, che “se era partito il vicario, restato era fra noi il Principale”.

Tratto da “La meravigliosa storia della Repubblica dei Briganti” di Claudio Fracassi

L’attualità della frase profetica di Giuseppe Mazzini è confermata dalla risposta devozionale di credenti (e riverente di non credenti ), che ancora oggi rimangono affascinati da quella “forma” imponente e spettacolare di rappresentazione degli eventi liturgici. Il condizionamento è talmente forte da far apparire “straordinari” atti e parole del nuovo Papa Francesco, come se l’umiltà, la sobrietà, la carità e in generale un atteggiamento compassionevole verso il prossimo,  fossero qualità insolite per un papa e non costituissero, invece,  il parametro minimo per essere considerati eredi e sostenitori del pensiero del Cristo.

Riportiamo le riflessioni espresse da Fiorella Mannoia, cittadina e cantante italiana, sul termine “rivoluzionario”, che una nostra lettrice ci ha gentilmente segnalato. Sono considerazioni  che aiutano a comprendere l’importanza della formazione culturale di un popolo, contrastata da poteri egemonici di vario orientamento politico e religioso.

Rivoluzionario è il coraggio,
rivoluzionaria è la sobrietà, l’educazione, la cultura, l’arte, rivoluzionario è il diritto alla scuola, al lavoro, alla salute, rivoluzionario è l’accesso alla conoscenza, rivoluzionario è il rifiuto della volgarità, anche quella dilagante dell’ostentazione del lusso, rivoluzionario è il rifiuto della violenza, anche quella verbale, rivoluzionario è dire a chi cerca di corromperti: “No, grazie”. Rivoluzionario è insegnare ai propri figli il rispetto di tutte le diversità, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza, la  capacità e la volontà di provare a condividere il dolore degli altri, rivoluzionario è combattere il pregiudizio, rivoluzionaria è la ricerca della bellezza, rivoluzionario è spegnere la televisione e dedicarsi ai propri cari, coltivare delle passioni, continuare a giocare, rivoluzionario è il sorriso, la gentilezza, l’umiltà, il saper ridere anche di noi stessi e delle nostre miserie, rivoluzionaria è la semplicità, il godere di un buon cibo, di un buon vino, rivoluzionario è  divertirsi ballando fino alle quattro del mattino senza bisogno di additivi chimici, rivoluzionario è guardarsi allo specchio senza vergognarsi di ciò che vediamo riflesso, rivoluzionario è non sentirsi al centro dell’universo e guardare altro oltre noi stessi, rivoluzionario è fare bene il proprio lavoro qualsiasi esso sia, rivoluzionaria è l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale, rivoluzionaria è l’etica, rivoluzionario è il coraggio delle proprie idee, rivoluzionario è chiedersi sempre che cosa si nasconda dietro le notizie dell’informazione ufficiale, non smettere mai  di cercare, ragionare con la propria testa e porsi sempre delle domande, rivoluzionario è l’approfondimento contro la superficialità, rivoluzionario è il giornalismo della “seconda domanda”, rivoluzionario è  non piegare la testa di fronte ai potenti, chiunque essi siano. Rivoluzionario è schierarsi sempre dalla parte degli ultimi, chiunque essi siano.

Rivoluzionaria è la curiosità, la libertà di pensiero, rivoluzionaria è la coerenza,  la gratitudine, la capacità di chiedere scusa, rivoluzionaria è la dignità, il rispetto, il perdono, rivoluzionaria è l’indignazione per l’ingiustizia ovunque si verifichi e avere il coraggio di gridarla, rivoluzionario è combattere l’avidità che è il più pericoloso dei mali, rivoluzionario è dare un senso alla propria vita rivendicando il diritto  alla felicità ma avendo la consapevolezza che questo non passa solo attraverso il denaro. Rivoluzionario è fare ognuno il proprio dovere di cittadino ricercando sempre la verità, che è la più grande delle rivoluzioni.

Parlare della nostra Costituzione, come ha fatto  Roberto Benigni dal pulpito di Rai Uno, è senz’altro encomiabile, visto che pochi nel Paese si cimentano nell’assolvere questo doveroso compito. Malgrado la consueta carica dell’artista che a nostro parere non è stato all’altezza dei suoi precedenti monologhi in tema civile, dobbiamo constatare l’assenza “ingiustificata” dai suoi commenti di un chiaro riferimento alla Costituzione della Repubblica Romana del 1849 cui, come è noto, si ispirarono i nostri Padri Costituenti.

Soltanto citare questo straordinario legame tra le due costituzioni avrebbe senza dubbio informato la stragrande maggioranza dei telespettatori, sicuramente ignara di questo importante riferimento,  delle vere radici storiche che legano il Risorgimento alla Resistenza; denominata quest’ultima, non casualmente,  “secondo Risorgimento”.

Un’occasione mancata.. . Restiamo comunque sempre affascinati dalla capacità linguistica e d’intrattenimento dell’artista Benigni, da sempre impegnato nella diffusione delle nostre migliori eredità storiche e culturali.

http://www.youtube.com/watch?v=SWkpb1Me72Q

        In questo “caldi” giorni di Dicembre accade che molte persone destinate a lavorare per la salute del prossimo  siano sul punto di  dover chiedere aiuto alla comunità dei cittadini per sopravvivere; questo a causa dei tagli improvvisati, quanto delittuosi, che un pugno di burocrati senza scrupoli si accinge a infliggere alla Sanità Pubblica e a quella privata convenzionata. Non è concepibile, nè giustificabile, penalizzare il diritto alla salute attraverso operazioni che potrebbero altrimenti essere risolte ridimensionando altri capitoli di spesa, come gli armamenti, le patrimoniali, la tassazione delle slot-machine, il finanziamento dei partiti, ecc.

Non è concepibile , nè giustificabile, che medici, infermieri e personale sanitario siano costretti a elemosinare viveri alla comunità dei cittadini, essendo loro stato sospeso lo stipendio da quattro mesi, come i dipendenti dell’Ospedale San Carlo di Roma, dei quali riportiamo l’appello:

Non è concepibile , nè giustificabile, accettare che la disperazione costringa i lavoratori di uno Stato democratico e repubblicano a chiedere, come ultima spes,  aiuto al Monarca di uno Stato straniero come la Città del Vaticano.

Politici,  Amministratori e Burocrati della Repubblica devono finalmente prendere atto delle gravi ripercussioni che tali interventi potrebbero recare  a tutta la società italiana, al bene pubblico e a quello privato. Occorrono invece:  strumenti di controllo idonei che impediscano la propagazione della piaga della corruzione; l’individuazione di persone realmente qualificate in campo scientifico in grado di orientare le strutture sanitarie verso un servizio d’eccellenza al cittadino malato;  riprogrammare la spesa pubblica sanitaria partendo dai diritti degli ultimi, come la riabilitazione per le persone affette da deficit cognitivo.

      All’interno del fiume di promesse che quotidianamente ascoltiamo dai leaders di tutti gli schieramenti politici, emergono spesso annunci legati alla volontà di riformare Scuola e Sanità, pilastri fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. Riforme, più o meno condivisibili, hanno determinato dal dopoguerra ad oggi un lento e costante declino della Scuola Pubblica  che ultimamente ha subìto una rapida e tragica accelerazione, amplificata da ciechi tagli lineari che hanno messo in ginocchio le fondamenta stesse del nostro vivere civile. Inutile sottolineare l’importanza primaria che la Scuola assume nel progresso civile e sociale di una Nazione; inutile soffermarci sulle pesanti ricadute che un suo depotenziamento strutturale e culturale potrebbe comportare..
Da questo sito abbiamo più volte evidenziato l’interdipendenza tra i Principi Fondamentali della Costituzione della Repubblica Romana del 1849 e quelli della nostra attuale Costituzione del 1946; tale fondamento è determinante perchè tutti gli Italiani si riconoscano nelle loro uniche e vere radici storiche, democratiche e repubblicane. Infatti l’art. 8 della Costituzione della Repubblica Romana, propugnando la libertà d’insegnamento, ha aperto la strada all’art. 33 della nostra Costituzione che recita: L’arte e la scienza sono libere e libero è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
Senza avere la pretesa di essere dei campioni in fatto di diritti e doveri del cittadino, non possiamo non denunciare l’incostituzionalità degli stanziamenti pubblici alla scuola privata, che nella legge di stabilità per il 2013 sono arrivati a ben 223 milioni di euro; fondi che, se ben gestiti, avrebbero fornito un utile e sostanzioso contributo per una riforma seria e costruttiva della scuola pubblica . Invece cosa accade? Non solo si stornano fondi preziosi per il futuro della maggior parte dei nostri giovani (visto che i figli di coloro che possono permettersi una retta da scuola privata sono in minoranza), ma si aggrava la condizione degli studenti, del corpo docente e delle strutture pubbliche applicando   una serie di norme tendenti ad affossare il vero “libero insegnamento”, che appartiene solo ed esclusivamente alla scuola pubblica! Politici e tecnici senza scrupoli sembra abbiano deciso di cambiare le regole della democrazia, e continuano a farlo con disinvoltura e arroganza. Ci sorprendono anche le parole di Mario Monti quando definisce “conservatori” quei  professori che non accettano l’aumento di due ore di lezione che, a detta del Governo, servirebbero a recuperare fondi da investire nella scuola pubblica! Le regole sono le basi della democrazia; quando queste vengono sistematicamente violate, a dispetto del parere della maggioranza dei cittadini, si ha la certezza che la libertà sia un bene da riconquistare.
In questi giorni di manifestazioni e lotta nelle scuole e nelle piazze d’Italia, ci siamo avvicinati ad alcune realtà della nostra città; ci ha favorevolmente colpito la matura consapevolezza degli studenti dei licei e degli Istituti professionali romani sui problemi tecnici che hanno generato il disagio e la protesta. Tra queste realtà occorre menzionare l’operato dei Professori e della Dirigente scolastica del Liceo Terenzio Mamiani di Roma per aver dato spazio e voce agli studenti, segno di una sapiente comunicazione culturale, finalizzata alla formazione di un’autonoma capacità  di lettura critica delle Leggi e delle conseguenze delle loro applicazioni. 

Il Collegio dei Docenti del Liceo Mamiani ha redatto un documento, in difesa della Scuola Pubblica, esemplare per la società civile italiana. Ne riportiamo il testo integrale ringraziando gli autori per il prezioso contributo.

 

 

 

 DOCUMENTO APPROVATO DAL COLLEGIO DEI DOCENTI DEL LICEO MAMIANI

NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELLA SCUOLA STATALE 

NO ALLA FINE DELLA LIBERTA’ DI PENSIERO PER I DOCENTI


Dopo i durissimi attacchi dei Governi Berlusconi alla Scuola Statale, molti Docenti avevano sperato che, con il Governo del Professor Monti, la professionalità dei suoi Colleghi dei vari ordini di Scuola sarebbe stata finalmente riconosciuta, rispettata, onorata. Purtroppo la speranza si è dimostrata ancora una volta mal riposta. Ancora tagli agli organici. Otto anni di blocco sugli stipendi (con perdita dal 2006 del 25% del potere d’acquisto), senza più nemmeno l’indennità di vacanza contrattuale. Un patente disprezzo per il quotidiano lavoro dei Docenti spinge la nostra classe politica e dirigenziale persino ad ipotizzare un aumento secco di sei ore di insegnamento settimanale, un’ipotesi assurda che non tiene assolutamente conto né di quello che significa insegnare, né della fatica intellettuale che questo comporta, sia in termini di preparazione di lezioni che di lavoro con gli studenti. (Questa ipotesi sarà estesa anche ai docenti universitari? O è un regalo solo per chi insegna negli ordini di scuola precedenti alla formazione universitaria? E il Ministro pensa che l’insegnamento in questa fase sia una trasmissione pedestre? L’opera di catechizzazione era del regime fascista, e ci risulta che questo sia stato superato e che la nostra Costituzione affidi alla scuola ben più alti compiti…. Ma non dobbiamo essere certo noi a spiegarlo ad un Ministro della Repubblica…). Se tale scriteriata ipotesi è stata partorita in base ad una logica puramente ragionieristica, ciò significa che essa ha come scopo solo lo smantellamento della scuola statale. Come potranno infatti i Docenti (cui in pratica ormai si chiede di dover lavorare quasi gratis) sostenere almeno quarantotto-cinquanta ore effettive di lavoro a settimana, essere obbligati a correggere ogni anno centinaia di compiti e verifiche in più, a preparare molte più lezioni, a ricevere molti più genitori, a curare la crescita e l’educazione di molti più alunni, senza contare la moltiplicazione di riunioni e la partecipazione agli organi collegiali? Si tratta di una Soluzione Finale, per stroncare chi è di ruolo e per risolvere drasticamente il problema del precariato? Il tutto sembra rientrare nella tecnica tutta politica di depauperare i lavoratori e di togliere ai giovani finanche la speranza di trovare lavoro. Mentre si confermano gigantesche spese militari e privilegi per le caste di potere, non vi sono patrimoniali eque e non viene risolto il problema dei cento miliardi annui di evasione fiscale. Ciò nondimeno, la nostra preoccupazione di Docenti della Repubblica va soprattutto alla prossima trasformazione in legge del Ddl 953 (ex disegno di legge Aprea) sulla “Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche”: legge che molto probabilmente verrà varata, grazie all’inusitata armonia bipartisan tra partiti apparentemente avversi su tutto, tranne che sulla distruzione della Scuola Statale istituita dalla Costituzione.

Questa legge prevede la creazione di un «consiglio dell’Autonomia» al posto dell’attuale Consiglio d’Istituto, organo di indirizzo della scuola. Non ne farà più parte il personale non docente della scuola, al posto del quale troveremo invece «membri esterni, scelti fra le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, in numero non superiore a 2 […]» (art. 4), i cui dubbi criteri di individuazione hanno solo una certezza: un regalo di potere ideologico e finanziario al localismo territoriale. La logica della convenienza privata e della clientela si sostituirà così al controllo democratico dell’interesse collettivo, perché ogni scuola sarà esposta ai poteri forti presenti nel territorio. Ogni Consiglio dell’Autonomia elaborerà uno «Statuto autonomo», diverso per ciascuna delle diecimila scuole italiane, che regolamenterà (normalizzandole) l’amministrazione dell’Istituto, la strutturazione degli organi interni, nonché le delicate relazioni tra le diverse componenti che ne fanno parte: materie finora regolate da una normativa unitaria per tutto il territorio nazionale. Lo Stato, insomma, non garantirà più le pari opportunità degli studenti nell’esercizio del diritto allo studio. Si arriverà ad una scuola asservita ai “cerchi magici” che ben abbiamo visto all’opera in questo ultimo ventennio.

Inoltre lo Statuto definirà in ogni scuola le regole secondo cui studenti e genitori avranno il diritto di partecipare; cancellando così il Decreto Legislativo 297/94 (Testo Unico sulla scuola) che finora dettava le norme sugli organi collegiali. Quei decreti delegati, conquista di dignità e di democrazia, che hanno dato voce a tutte le componenti della scuola.

E non è tutto: lo Statuto autonomo di ogni singola scuola scavalcherà le competenze didattiche dei Docenti e la loro libertà di insegnamento, perché stabilirà «la composizione e le modalità della necessaria partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe (art. 6 c. 4)».

Verrà istituito un «nucleo di autovalutazione» con il compito di giudicare la “qualità” della scuola (art. 8). Ne faranno parte uno o più membri esterni, che giudicheranno in collaborazione con l’Invalsi e sulla base dei suoi famigerati quiz.

L’articolo 10 prevede l’opportunità di «ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico delle loro attività», rimarcando che tali fondazioni «possono essere soggetti sia pubblici che privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni no profit (art. 10 c. 2)». Tali soggetti avrebbero il proprio posto nel Consiglio dell’Autonomia, implicitamente condizionandone le scelte, secondo criteri altri rispetto a quelli della libertà di ricerca, di pensiero, di insegnamento, di apprendimento, sancita dalla Costituzione repubblicana.

Alla gravità del progetto si aggiunge la gravità del metodo usato per farlo diventare legge dello Stato. Infatti il 4 aprile 2012 la Camera ha trasferito il testo unificato alla VII Commissione Cultura in sede legislativa. Di conseguenza, il testo unificato sarà reso legge a tutti gli effetti dalla Commissione e non dall’intera Assemblea, perché subordinato alla procedura riservata ai progetti di legge privi di speciale rilevanza di ordine generale, o che rivestono particolare urgenza. Dunque, nonostante esso rappresenti uno stravolgimento della Costituzione, è stato trattato come una questione di eccezionale urgenza, senza pubblico dibattito e, spiace dirlo, con la complicità di tanti blasonati media che preferiscono non disturbare le cordate di “tecnico” affossamento della Scuola Statale. Tanto scomoda, perché l’unica libera, e ultimo baluardo di resistenza di formazione critica. Viene il sospetto che il famigerato disegno Aprea, bocciato nel 2008/09 dal grande movimento di contestazione di opinione pubblica, sia stato adesso rimesso in carreggiata con la segreta e malcelata speranza che i Docenti non se ne accorgessero, o che credessero alle imbarazzate giustificazioni di quei politici che, quasi in camera caritatis, surrettiziamente sovvertivano i principi su cui si basa la Scuola istituita dalla Costituzione della nostra Repubblica (democratica e fondata sul lavoro).

Ma i Docenti se ne sono accorti; dimostrando di non essere inquadrabili nel cliché ufficiale, comodo per la parte governativa, che da decenni cerca di squalificarli in ogni modo, nel delirio di una Brunetteide di regime che avrebbe voluto dipingerli come incompetenti, ignoranti e fannulloni.

Pertanto, noi sottoscritti Docenti del Liceo Classico Statale “T. Mamiani” di Roma, nella piena consapevolezza dei nostri diritti, delle nostre prerogative in ambito pedagogico-didattico e, soprattutto, della nostra dignità, rifiutiamo con forza la politica governativa sulla Scuola, e invitiamo i Colleghi di tutte le Scuole d’Italia a respingere con tutte le proprie forze il Ddl 953 (ex disegno di legge Aprea) sulla “Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche”, nel nome della Costituzione, delle leggi tuttora vigenti, della libertà di insegnamento, della libertà di pensiero, della libertà di apprendimento.

Rifiutiamo la logica, smaccatamente neoliberista ed antiliberale, che ha spinto il Presidente del Consiglio a tagliare ulteriori fondi alla Scuola Statale e a dichiarare, nell’agosto scorso, che «Il governo non farà mancare alle scuole non statali, cui riconosce una essenziale funzione, il necessario sostegno economico». Se questa logica prevalesse, se fosse varata la controrivoluzione che il Ddl 953 prefigura, noi Docenti non saremmo più liberi di decidere che cosa insegnare e come (con gravissimo pregiudizio per il progresso culturale e civile di questo Paese); il potere discrezionale dei Dirigenti Scolastici aumenterebbe enormemente (alla faccia della “autonomia”); la didattica verrebbe decisa non più dai Docenti, ma dai privati esterni.

Invitiamo i Docenti d’Italia, i Prèsidi e i lavoratori della Scuola tutti ad adottare ogni possibile e legale forma di lotta per impedire che questo scempio della comune libertà avvenga; a restituire le tessere di quei sindacati e di quei partiti politici che questo scempio non respingeranno esplicitamente e fattivamente; a premiare, al contrario, quelle forze politiche e sindacali che si mostreranno coerenti con il mandato costituzionale respingendo il Ddl 953.

Invitiamo i genitori e i cittadini d’Italia a sostenerci e a difendere con noi la Scuola Statale. Altrimenti, il destino delle nostre scuole e dei nostri figli sarà in balia delle caste e dei loro ricatti clientelari. Inoltre, le scuole dei territori più poveri verranno ulteriormente impoverite, perché lo Stato non sarà più il principale finanziatore dell’istituzione scolastica. Si realizzerà il principio della sussidiarietà, tanto caro ai gestori delle scuole private, che sognano la scuola del precetto, del libro unico, del maestro unico.

Invitiamo gli studenti d’Italia, nostri alunni e nostri figli, a sostenerci e a difendere con noi la Scuola Statale: per non avere Docenti ricattati, demotivati e costretti a diventare trasmettitori di quanto imposto da forze di potere ideologico-finanziario; per far valere ancora le proprie ragioni nei Consigli di Classe; per impedire che ogni scuola abbia il proprio regime, e che i diritti degli studenti non siano più garantiti.

Roma antica repubblicana 509 - 27 a.C.

 

            Il mondo etrusco, prima che Roma affermasse la propria egemonia sui territori limitrofi, si estendeva fino al confine naturale della sponda destra del Tevere, inglobando l’attuale colle Gianicolense. Il nome Gianicolo è tradizionalmente attribuito a Giano, antico re del Lazio, che avrebbe ospitato e nascosto Saturno scacciato dal cielo. Malgrado molti autori riferiscano tale tradizione, non si ha notizia in età storica di alcun culto locale di Giano, venendo citata soltanto un’ara dedicata a Fonto, figlio di Giano, presso la quale la tradizione poneva il sepolcro di Numa (Cic., De leg., II, 22, 56; Plut., Numa, 22, 2). L’antica Porta Aurelia, poi denominata intorno al V secolo Porta San Pancrazio in onore del martire giovinetto dell’epoca di Valeriano sepolto nelle catacombe di Ottavilla,  sottostanti all’omonima Basilica, faceva parte delle mura fatte costruire dall’Imperatore Aureliano nel 270 e costituiva l’ingresso occidentale a Roma attraverso la via Aurelia, arteria che penetrava nell’urbe fino a Ponte Emilio. La posizione strategica del Gianicolo, che i Romani sfruttarono per proteggersi dagli Etruschi in età repubblicana, si protrasse nel tempo. Nel 1643 il Pontefice  Urbano VIII cinse di nuove mura il colle, ampliando il perimetro delle mura Aureliane . Il carattere difensivo del Gianicolo e il suo stesso nome riferito a un’antichissima divinità latina strettamente connessa con ogni luogo di accesso o di transito, si consolidò nei secoli fino all’unità d’Italia.

           

Avant que Rome ait affirmé sa propre hégémonie sur les territoires limitrophes, le monde étrusque s’étendait jusqu’à la limite naturelle du bord droit du Tibre, de façon à englober la colline actuelle du Janicule.  Le nom Janicule est traditionnellement attribué à Janus, ancien roi de Latium (Lazio) qui aurait hébergé et caché Saturne chassé du ciel.  Malgré plusieurs auteurs se référent à une telle tradition, il y a un total manque de notation historique à propos d’un culte local attribué à Janus; il existe uniquement une citation à propos d’un autel dédié à Fonto, fils de Janus, la où la tradition plaçait le sépulcre de Numa (Cic., De leg., II, 22, 56; Plut., Numa, 22, 2).  L’ancienne Porte Aurélie , par la suite fu nommée la Porte San Pancrazio autour du V siècle en honneur d’un jeune martyre à l’époque de l’Empéreur Valérien, enterré dans les catacombes de Ottavilla, sous la Basilique homonyme, faisait part des murs construits par l’Empéreur Aurélien en 270 et constituait l’entrée occidentale à Rome à travers la Voie Aurélie, artère qui pénétrait la ville jusqu’au Pont Emilie.  La position stratégique du Janicule que les Romains exploitèrent afin de se protéger des étrusques en age républicain se prolonga au cours des siècles. En 1643 Pape Urbain VIII entoura la colline de nouveaux murs, de manière à amplier le périmètre des murs auréliens.  La nature defensive du Janicule, ainsi que son propre nom attribué à une ancienne divinité latine, rigoureusement connexe à tout lieu d’accès ou de transition, se consolida au cours des siècles jusqu’à l’Unité d’Italie.

Porta aurelia nel medioevo

Porta S. Pancrazio nel 1796 (Vasi)

La Porta nel 1826 (Rossini)

          L’Assedio del giugno 1849 ad opera del corpo di spedizione francese, che Napoleone III aveva inviato a Roma su richiesta di Papa Pio IX, con l’intento di porre fine all’esperienza della giovanissima Repubblica Romana, si concentrò principalmente in quell’area del colle Gianicolense compreso tra l’attuale Villa Pamphili e Porta San Pancrazio. Francesi e Italiani si fronteggiarono per un mese intero in scontri violenti e spietati che causarono, tra morti e feriti, più di 5.000 caduti. Poi, dopo un martellante bombardamento della città e l’apertura di alcune brecce nelle mura Urbaniane, l’esercito francese riuscì a penetrare nella città, ripristinando lo Stato della Chiesa.

           

             Le Siège en juin 1849, conduit par un corps d’expédition française que Napoléon III avait envoyée à Rome, sur requete du Pape Pie IX, avec l’intention de mettre fin à l’expérience de la toute jeune République Romaine, se concentra principalement dans la zone de la colline Janicule qui comprend l’actuel Villa Pamphili et la Porte San Pancrazio.  Les français et les italiens se tenèrent tete pendant un mois entier à des combats cruels et violents causant, entre les morts et les bléssés, plus de 5,000 morts. Successivement,, à la suite d’un bombardement incessant et de l’ouverture de plusieurs brèches dans les murs urbaniens, l’armée française réussit à pénétrer la ville et à rètablir l’Etat de l’Eglise.

La porta dopo l'assedio

Plastico della battaglia

Aprile e Giugno 1849

 

     L’ostinata e inattesa resistenza dei repubblicani alle soverchianti forze dell’esercito doltr’Alpi, una delle potenze militari più importanti del tempo, sorprese e impressionò il comando francese che aveva previsto, fin dal primo assalto del 30 Aprile,  una rapida soluzione del conflitto. Il prolungarsi dei combattimenti, l’impegno logistico finalizzato soprattutto alla realizzazione di una miriade di trincee di avvicinamento alle mura di Roma e le gravi perdite subite indussero il comandante del Genio, Generale Jean Baptiste Philibert Vaillant , a compiere, a fine ostilità, un gesto di forte valore simbolico: l’acquisizione delle Chiavi d’ingresso a Roma attraverso Porta San Pancrazio. Il fatto, se da un lato potrebbe essere interpretato come un segno di conquista e sottomissione, dall’altro si potrebbe leggere, e crediamo sia questa seconda ipotesi la più vicina alla realtà, come espressione dell’orgoglio militare francese per aver saputo neutralizzare un così strenuo e valoroso avversario.

            La résistance obstinée et inattendue de la part des républicains aux forces surabondantes de l’armée au delà des Alpes, une des plus puissantes forces militaires de l’époque, étonna et impressionna le commandement français qui avait prévu, dès le premier assaut du 30 avril, une solution rapide du conflit. Le prolongement des combats, l’engagement logistique finalisé à la réalisation d’une myriade de tranchées d’approchement aux murs de Rome et les sérieuses pertes subies, provoqua la decision de la part du Commandant du Génie, le Générale Jean Baptiste Philibert Vaillant, à effectuer, à la fin des hostilités, un geste de forte valeur symbolique: l’acquisition des Clefs d’entrée à Rome à travers la Porte San Pancrazio.  Ce fait, si d’un coté cela pourrait etre interprété come un signe de conquete et de soumission, d’un autre coté l’on pourrait lire, et nous croyons que cette seconde hypothèse soit la plus proche à la réalité, come expression d’orgueil d’une force militaire français qui a su neutraliser un adversaire aussi courageux et vaillant.

Porta San Pancrazio - 2012 Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina

 

            Il simbolo ha sempre avuto nella storia umana un’importanza fondamentale. La Bandiera, nel cui emblema i popoli riconoscono la propria identità, è forse la rappresentazione più efficace per sintetizzare intenzioni e valori di intere generazioni; essa nasce da un percorso circolare, idea – oggetto-simbolo, che la mente percepisce all’istante. Diversamente, oggetti privi di contenuti di particolare rilevanza, seguendo un percorso inverso, ovvero dall’oggetto reale al simbolo, acquistano valori di straordinaria importanza in quanto legati alle vicende umane. E’ il caso delle Chiavi di Porta San Pancrazio. Se il loro possesso ebbe un rilevante significato simbolico per l’assediante vincitore, quanto valore avrebbe oggi per noi,  posteri di quei Patrioti sconfitti, che difesero con tanto onore l’Idea di una Repubblica, poterle rivedere a Roma?

                Le symbole a toujours eu une importance fondamentale dans l’histoire humaine.  Le drapeau, dont l’emblème représente l’identité d’un peuple, est peut-etre la représentation plus efficace afin de synthétiser les intentions et les valeurs de générations entières; cela nait d’un parcours circulaire: une idée, un objet, un symbole que l’esprit perçoit à l’instant. Diversement, des objets sans teneur d’importance particulière, suivant un parcours inverse, c’est-à-dire, d’un objet réel à un symbole, acquèrent des valeurs d’une importance straordinaire vu leurs liaisons à des vicissitudes humaines .  C’est exactement le cas des Clefs de la Porte San Pancrazio.  Si la possession eut une signification symbolique aussi importante de la part des assiègeants vainqueurs, quelle valeur cela aurait pu représenter pour nous aujourd’hui – qui sont les postérités des patriotes vaincus chi défendèrent avec un si grand honneur l’idée une République –  si nous aurions pu les revoir à Rome?

LE CHIAVI DI PORTA SAN PANCRAZIO

                  Oggi le Chiavi di Porta San Pancrazio sono custodite in una teca del Musée dell’Armée di Parigi (Inv. 1044, Cd 178), che gentilmente ci ha concesso di esporle nel nostro sito.

                Aujourd’hui les Clefs de la Porte San Pancrazio son gardées dans la thèque du Musée de l’Armée à Paris (Inv. 1044, Cd 178), or, ce dernier nous a accordé de les mettre en exposition à travers notre site informatique.

 

 

Il mese scorso abbiamo chiesto ad alcune persone se conoscessero la storia dell’episodio in cui venne ferito, in Aspromonte, Giuseppe Garibaldi; alcuni ammettevano di ricordare la nota canzoncina “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…”, ma non sapevano darci altre spiegazioni. Altri erano certi di aver studiato a scuola che lo scontro a fuoco di quel 29 Agosto 1862 fosse  avvenuto addirittura durante la spedizione dei Mille (1860), tra i Garibaldini guidati dall’Eroe dei due mondi e le truppe Borboniche!
Oggi, grazie a wikipedia, per fortuna o per disgrazia, possiamo accertarci come andarono veramente le cose (http://it.wikipedia.org/wiki/Giornata_dell%27Aspromonte) La mancanza di una corretta informazione, non sempre casuale o addebitabile a superficialità, ha prodotto nelle giovani generazioni la caduta della formazione critica che proprio gli avvenimenti più controversi della storia avevano fornito attraverso la semplice lettura degli eventi.
 La massa degli studenti, purtroppo,  non riesce più a distinguere il vero dal falso; a comprendere, con ragionevole approssimazione, le differenze politiche e ideali dei personaggi che caratterizzarono il periodo storico del Risorgimento, dalle cui vicende sono nate la nostra Repubblica e la nostra Costituzione. Così diviene automatico mettere sullo stesso piano le politiche e gli ideali di Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini e Garibaldi, senza curarsi troppo delle loro profonde differenze. Si dice che, in fondo, questi quattro personaggi avessero in comune la volontà di arrivare all’unità d’Italia; è vero, ma i distinguo sono necessari quando il fine è diverso: da un lato l’espansione del Regno di Sardegna nei territori italiani, dall’altro l’unione dei popoli in una stessa identità nazionale che realizzasse un sistema  socio-politico egualitario. Questo equivoco e le sue ricadute politiche, sociali ed economiche, che si sono materializzate principalmente nello squilibrio tra il nord e il sud d’Italia, hanno creato un danno enorme che si perpetua di generazione in generazione.
Provate a chiedere allo studente medio italiano se conosce i motivi che portarono i Bersaglieri comandati dal Generale Pallavicini a sparare contro i Garibaldini e, soprattutto, contro Garibaldi, per….ucciderlo? Si, ucciderlo! Provate a chiedere allo studente universitario medio se conosce le umiliazioni, il carcere, la fucilazione di tanti patrioti seguaci di Garibaldi che furono passati per le armi dal Regio Esercito soltanto perché avevano creduto nella libertà e nell’indipendenza dell’Italia e in colui che aveva reso possibile e reale l’unificazione? Domande del genere se ne possono fare a decine, senza ottenere adeguate risposte. Alcuni cineasti, come l’ultimo film di Mario Martone dal titolo emblematico “Noi credevamo”, hanno tentato di far emergere dalla polvere del tempo le crude problematiche dello scontro da guerra civile dell’Aspromonte, senza riuscire, però, ad incidere la spessa coltre d’indifferenza dell’opinione pubblica italiana.
 Di Garibaldi si è detto, si dice e si dirà di tutto, perché è un mito, un’icona, un santino che si può adorare o demonizzare a piacere. La stampa italiana dovrebbe cogliere queste ricorrenze come occasioni uniche e irripetibili (150 anni ) per fare un po’ di chiarezza sull’uomo, sincero e onesto, che amava così tanto la Patria e i propri fratelli da esporre la sua stessa vita per evitare lo scontro fratricida dell’Aspromonte. Perché uomini e avvenimenti importanti sono stati dimenticati nelle loro espressioni  più nobili e significative per dare spazio a  retoriche paccottiglie unitarie? C’è ancora un’Italia che non vuole fare i conti con la storia, per puro opportunismo o per malcelate connivenze con monarchie totalitarie che ancora oggi insistono sul nostro territorio? Oppure c’è ancora un’Italia  Sabauda e del Fascismo, mai scomparse dalla scena politica, che continuano ad operare sotto falso nome per conservare privilegi e disuguaglianze, negando e impedendo quell’unificazione ideale e sociale desiderata ardentemente da Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi? Forse entrambe.
Cosa fare, dunque? Oggi, paradossalmente, occorre fare contro-informazione per riaffermare i valori legati alle nostre migliori radici storiche e culturali; soffocate, come sono, da piante carnivore insaziabili.

L’intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.

Caro Paolo,

oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.

E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.

Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.

Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.

Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.

Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.

E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.

Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.

Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.

Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.

Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”. 

Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.

Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.

Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.

Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.

E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.

Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.

Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.

Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.

E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.

Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.

Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.

Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.

E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.

Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.

Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.

Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.

Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.

E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà

Riportiamo la lettera che Antonio Ingroia ha inviato al Blog di Beppe Grillo in data 1/7/2012 . Ci uniamo alla volontà del Magistrato palermitano che si è proposto di  diffondere questo prezioso messaggio agli Italiani.

Illuminare gli angoli bui del proprio passato
Buongiorno a tutti, al blog di Beppe Grillo, mi presento, sono Antonio Ingroia, pubblico Ministero alla Procura distrettuale antimafia di Palermo ormai da 20 anni, quando iniziai la mia attività con Paolo Borsellino; ero a Palermo quando vi furono le stragi terribili del ’92 di Falcone e Borsellino. Sono ancora a Palermo e svolgo le funzioni di Pubblico Ministero.
Io credo che il nostro paese sia un paese strano, anomalo. Lo è soprattutto perché ha un rapporto difficile con la verità, da un lato, e dall’altro ha una forte esigenza di verità. Troppi fatti determinati della sua storia, del suo passato, sono rimasti ancora avvolti da una nebbia di silenzi, di menzogne, di reticenze a volte perfino anche istituzionali, di una verità dimezzata e negata.
Un Paese che non riesce a conquistare tutta la verità sulla sua origine, sulla storia di fatti sanguinosi come le tante stragi che hanno contrassegnato la storia del nostro paese, è un Paese che non potrà mai crescere, mai conquistare la democrazia.
Noi siamo un Paese incapace di ricordare il proprio passato, di appropriarsene attraverso la verità, perché poi la verità è anche uno strumento per ricostruire il passato. È un Paese che rimane senza passato e senza memoria perché non ha verità sul suo passato, un paese che non può costruire nessun futuro.
L’Italia è un paese senza verità sulle stragi, sui grandi delitti polico-mafiosi, su tutte queste tragedie dello Stato, incapace di illuminare gli angoli bui e sporchi del suo passato, senza coraggio, dove a volte la ragione di Stato è finita per prevalere sulle ragioni del diritto, sulle ragioni della giustizia. Per esempio, c’è una verità che si è andata concretizzando quella sullo stragismo del 92/93, la verità su quella trattativa stato – mafia che nello sfondo del ‘92/’93 si è sviluppata. Su questa ragione la Magistratura in questi anni ha svolto un’opera complicata, con un obiettivo preciso, cercare di fare il proprio dovere fino in fondo, col dovuto rigore, individuare fatti, reati concreti, accertare le responsabilità penali.
Credo che in un Paese normale di fronte a questa azione della Magistratura, il paese delle istituzioni e la società si stringerebbero attorno ai magistrati, li si sosterrebbe in questo compito difficile, anzi ciascuno cercherebbe di fare la propria parte. La politica dovrebbe occuparsene, accertando quello che alla politica tocca accertare rispetto al passato, la verità politica, la verità storica – politica. Non tocca alla Magistratura appurare la verità storica. La politica dovrebbe anche individuare responsabilità storiche e responsabilità politiche, non certo le responsabilità penali e invece questo in Italia non è avvenuto. Almeno fino a oggi non è avvenuto perché per esempio tante e tante commissioni parlamentari antimafia si sono avvicendate in questi vent’anni, nessuna di questa ha messo al centro della propria attenzione, al centro della propria indagine, l’accertamento della verità su quel terribile biennio 92/93, che è poi il biennio sul quale è nata questa Repubblica. Perché questa Seconda Repubblica affonda letteralmente i suoi pilastri nel sangue di quelle stragi, in quella trattativa che si sviluppò dietro le quinte di quelle stragi.
Non solo la politica non ha fatto questo, ma né dalla politica, né dal mondo dei mass media, il mondo dell’informazione è venuto un sostegno nei confronti della Magistratura, anzi queste iniziative di verità, di realtà giudiziaria ovviamente – non tocca alla Magistratura scoprire la verità storica – sono state accolte con freddezza, fastidio, a volte con ostilità come se questo Paese la verità non la volesse, come se ci fosse una grande parte del Paese che preferisce vivere in quell’eterno presente immobile senza conoscere le proprie origini, forse per la paura di scoprire qualcosa di cui vergognarsi nella propria vita.

Le istituzioni hanno una grande occasione
Perché alla verità inevitabilmente corrisponde sempre la responsabilità e c’è gran parte del Paese che è allergico alla verità, è anche allergico al principio di irresponsabilità, troppo affezionato, soprattutto la nostra classe dirigente, al principio di irresponsabilità attraverso la ricerca dell’impunità, dell’impunità penale e dell’impunità politica secondo il criterio per cui nessuno deve rispondere dei fatti che ha commesso, esattamente il contrario dei principi di uno stato di diritto e di una democrazia.
Allora probabilmente questa allergia verso la verità nasce da quel peccato originale: rifiutare qualsiasi forma di responsabilità. Alla verità integrale dovrebbe corrispondere la responsabilità penale, quella politica per i politici, quella etico-morale davanti ai cittadini, quei cittadini che sono tanti, assetati di verità e di giustizia.
Noi fino a quando non conquisteremo una sufficiente parte di verità, fino a quando non ristabiliremo principi di responsabilità, non diventeremo mai una democrazia.
Il nostro è un Paese senza responsabilità: troppi assassini in libertà, troppi mandanti di stragi ancora col volto coperto, perché alla Magistratura non vengono dati strumenti efficienti per trovare i colpevoli, perché non ci sono circuiti di responsabilità che vigilano in un paese avanzato e democratico di responsabilità politica e morale. Perché l’Italia è un paese di irresponsabili, senza giustizia e senza verità. La giustizia e la verità a cui hanno diritto le vittime, i familiari delle vittime, a cui hanno diritto i cittadini. Per riconquistare il piacere di sentirsi cittadini di questa Repubblica.
Negli ultimi anni è calato di molto la credibilità delle istituzioni. Abbiamo ora a portata di mano, un momento di un pieno accertamento della verità, una grande occasione, le istituzioni hanno una grande occasione: cercare di riconquistare la verità, riconquistare la fiducia dei propri cittadini che la verità vogliono. Per fare questo occorre che i cittadini interpretino il loro ruolo di cittadini nel modo più attivo possibile. Loro sanno quanto tengono alla verità a per quanto tempo questa verità gli è stata negata.
Noi siamo un po’ orfani, non solo di tanti grandi uomini che hanno fatto la storia più nobile del nostro Paese, e mi riferisco a uomini dello Stato, ai servitori dello Stato, mi riferisco in particolare a quelli che sono stati i miei maestri da magistrato come Falcone e Borsellino. Ma noi ancora più che orfani di questi uomini, siamo orfani della verità, orfani della verità su quella stagione, orfani della verità su quelle nostre origini.
Allora io credo che di fronte a questo scandalo di un Paese che non riesce a conquistare la verità su quella stagione cruciale della sua storia, non vogliamo che l’Italia resti soltanto un paese degli scandali. Vogliamo costruire un’Italia diversa, vogliamo costruire un’Italia libera per liberarla dal ricatto dei poteri criminali di ogni specie. Io credo che i cittadini debbano impegnarsi ciascuno per la sua parte, ciascuno nel suo ruolo, ciascuno nel ruolo che svolge nella società per dare il proprio contributo per conquistarla insieme questa verità, pretendendo ed esigendola, da cittadini, perché la verità è difficile, imbarazzante, può essere solo frutto di una conquista collettiva, di uno sforzo collettivo.
Bisogna spalancare ogni porta chiusa, ripristinare il binomio verità e giustizia per costruire il Paese, per costruire una vera democrazia come fecero i nostri padri costituenti. Dobbiamo, abbiamo il diritto (e il dovere, ndr), non soltanto noi da magistrati, ma ognuno di noi cittadini fare tutto ciò che possiamo per conquistare tutta la verità e pretenderla a voce alta, passate parola tra voi cittadini, per conquistare tutta la verità.

 

La fiaccolata del 10 giugno 2012 a Roma sul colle del Gianicolo, organizzata dalle Associazioni Garibaldini per l’Italia e Gruppo Laico di Ricerca, patrocinata dal Comune di Roma ( Municipii I e XVI ), con la partecipazione attiva dell’A.N.P.I. e della F.I.A.P, per celebrare il 163° anniversario della Difesa della Repubblica Romana del 1849, ha voluto rendere onore ai caduti, ai combattenti, agli esiliati, ai giustiziati che testimoniarono  con il loro sangue e la loro partecipazione la volontà di cambiare il mondo, dando vita al momento forse più alto della nostra storia risorgimentale.

http://www.youtube.com/watch?v=PcriprLpOQg&feature=g-upl

“Pochi contro moltissimi”, è scritto sulle lapidi e sui testi di storia, per ricordare quanto grande fosse stato il loro sacrificio, quanto forte la spinta che li animava. Quale misteriosa forza aveva prodotto quelle volontà, così determinate  da sfidare con furore le potenze militari più organizzate e potenti dell’epoca? I nostri fratelli del 1849 anelavano a realizzare su questa terra l’archetipo del bene comune, l’utopia per antonomasia, la fraternità e la giustizia sociale; in due parole la DEMOCRAZIA PURA. Parole che terrorizzavano Re e Papi e che ancora oggi imbarazzano le caste e i potentati economici e religiosi.
La memoria di quei giorni e degli uomini e le donne che fecero grande il nostro Paese spesso si riduce alla sola celebrazione di questa o quella ricorrenza,  che individui più o meno preparati storicamente, s’impegnano a rinnovare periodicamente per non sentirsi lontani da quel passato glorioso. E’ questa una delle basi di partenza per coltivare la memoria, ma il rischio che assuma il carattere di un’autocelebrazione sterile e infruttuosa è molto alto.
Potrebbe sembrare difficile mettere a frutto l’eredità di Mazzini, Garibaldi, Mameli e tutti coloro che parteciparono alla costruzione di una  Patria comune fondata sul progresso dell’essere umano e sulla convivenza civile; in realtà è solo una questione di volontà e di scelte personali. Si può ricominciare, partendo dalla scuola, trasferendo costantemente nelle giovani generazioni ciò che è già  scritto nelle opere dei nostri Padri Costituenti, nella Repubblica Romana del 1849 e nella Costituzione della Repubblica Italiana tuttora vigente. E’ questione di volontà e di scelte personali lottare con ogni mezzo legale perchè siano salvaguardati i principi di libertà, giustizia, eguaglianza attraverso i quali poter continuare a costruire quell’utopia del 1849,: la Democrazia Pura.
La fiaccolata del 10 Giugno non avrebbe avuto senso, o lo avrebbe avuto solo concettualmente, se non fosse stata finalizzata  alla realizzazione pratica dei nobili concetti trasmessici dai Padri della Patria, che prima di noi hanno difeso la Repubblica con tutte le loro forze.  Difendere la Repubblica , oggi, vuol dire dunque partecipare alla sua vita attivamente, controllare che le leggi emanate siano effettivamente in favore della maggioranza del Popolo e non di una risibile contrada;  vuol dire ancora denunciare gli abusi, il malcostume nella politica e nel sociale, costruendo il progresso attraverso un cambiamento culturale, anche profondo, se necessario; e a ognuno di noi è affidata la responsabilità morale di questo cambiamento.
Presto in Italia dovremo tornare a votare in un contesto di forte abbassamento delle difese immunitarie , civili e sociali.  Ai tentativi di mantenere alti i privilegi di una piccola parte della popolazione si sommano i disagi di una regressione progressiva dalle conquiste civili e sociali ottenute in 65 anni di storia repubbicana.  Le conseguenze le conosciamo bene ed è superfluo ripeterle. Non ci rimane che sottolineare un AVVISO AGLI ELETTORI che ieri, come oggi, sono il manifesto della nostra volontà di cambiamento.

” NOI VOGLIAMO UOMINI CHE SENTANO QUELLO CHE DICONO: RIFIUTIAMO QUELL’ABITUDINE D’IPOCRISIA CHE, DA UNA NAZIONE RICAVATA OR ORA ALLA VITA, PROPONE PER PRINCIPIO DI RIGENERAZIONE, PER PRIMO DOGMA POLITICO, LA MENZOGNA SISTEMATICA. NOI VOGLIAMO LA VERITÀ, CREDIAMO CHE IN LEI SOLA STIA LA FORZA. NOI FACCIAMO POCO CONTO DELLE PAROLE, MOLTISSIMO DELLA VITA DI UN INDIVIDUO. SCRUTEREMO NEI NOSTRI CANDIDATI I FATTI PASSATI; ELIMINEREMO GLI UOMINI CHE , O PER TRISTIZIA O PER INETTEZZA HANNO MANCATO ALL’ONORE E AGLI INTERESSI DEL PAESE; NON APPOGGEREMO CHE I NOMI DI COLORO IL CUI PASSATO CI SIA PEGNO PER L’AVVENIRE.”  ( Goffredo Mameli – 4 Gennaio 1849 )

” BISOGNA SPAZZARE QUESTA MASSA D’INTRUSI CHE, COME LE FORMICHE NEGLI ALVEARI, NE DEPORTANO CERA E MIELE, E NON VI LASCIANO CHE PUTRIDUME E MACERIE.  VORREI DIRVI CHI SONO, CHI FURONO E DONDE VENGONO: MA TROPPO DOVREI INTINGERE LA PENNA NELLE SOZZURE, E MI RIPUGNA. BASTA VI DICA: RICORRETE AL LORO PASSATO, E SE NON SIETE PIU’ CHE CIECHI, PIU’ CHE IMBECILLI, PIU’ CHE CODARDI, NON RICONFERMATELI NEL LORO SEGGIO.  CHE SPERATE DA ESSI ? IL PAREGGIO, LA DIFESA DELLO STATO, LA LIBERTA’ ? ILLUSI CHE SIETE ! SI, RICONFERMANDOLI, PREPARATEVI A NUOVE SCIAGURE “. (  Giuseppe Garibaldi – Caprera 29 Settembre  1874 )


 

Articolo e video Agenzia “DIRE”

http://www.dire.it/welfare/4684-forum-ex-articolo-26-roma.dire

Centri di Riabilitazione

I Decreti Commissariali della Regione Lazio n° 89 e 90 del 10/11/2010, successivamente modificati dai Decreti Commissariali n° 8 del 3/02/2011 e n° 29 del 20/03/2012, sono stati “pensati” per giustificare i tagli lineari operati  sulla Sanità, e in particolare sulle strutture pubbliche o private convenzionate  di Riabilitazione, a danno di quei cittadini Italiani affetti principalmente da deficit cognitivi.

Le conseguenze di tali scelte operative hanno favorito il progressivo sgretolamento delle assistenze qualificate ai disabili con gravi ripercussioni, sia sul mondo del lavoro altamente specializzato, con conseguente declassamento della Riabilitazione a puro e semplice assistenzialismo, sia sui diritti dei cittadini diversamente abili che potrebbero perdere progressivamente le loro autonomie, così faticosamente raggiunte attraverso i progetti di  riabilitazione individuali.

Ci uniamo alla battaglia che il Forum exarticolo26 , Comitato nato con il concorso dei genitori e degli operatori delle persone diversamente abili, ha intrapreso con la raccolta di firme per una Petizione Popolare finalizzata al ritiro dei Decreti sopracitati e l’pertura di una trattativa con le autorità della Regione Lazio.

E’ possibile scaricare da questo sito la Petizione e il modulo per la raccolta firme che potrà essere inviato a : forumexarticolo26@libero.it  o collegandosi al sito www.forumexarticolo26.it

PETIZIONE

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MODULO

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ASCOLTA LA SEDUTA DEL 26 GIUGNO 2012 RELATIVA ALL’AUDIZIONE DEL FORUMEXART26 ALLA COMMISSIONE DI INCHIESTA DEL SENATO

http://www.radioradicale.it/scheda/355497/commissione-di-inchiesta-sullefficacia-e-lefficienza-del-servizio-sanitario-nazionale-del-senato

Logo PdfDOCUMENTO UNITARIO DEL 2 FEBBRAIO 2013

VIDEO TAVOLA ROTONDA SULLA DISABILITA’ INFANTILE – ROMA 22 FEBBRAIO 2013

http://farea9.wordpress.com/2013/02/22/disabilita-infantile-evitare-un-genocidio/

Il nove febbraio 2011, al Gianicolo,  ricorrenza annuale in cui si celebra la Proclamazione della Repubblica Romana del 1849, era presente tra i bambini delle scuole elementari e di alcuni licei della Capitale, un ospite d’onore: il Dottore Rosario Bentivegna. Il Partigiano, medaglia d’argento al V.M., durante la cerimonia è intervenuto sollecitando tutti, giovani e meno giovani, a Resistere in ogni tempo e in ogni luogo ai fascismi espliciti o nascosti, e  non stancarsi mai nella  difesa della giustizia e della libertà.

 

 

 

 

 

Foto di Gianni Blumthaler

 

L’associazione Garibaldini per l’Italia, ricordando la matrice garibaldina e repubblicana della  famiglia Bentivegna,  abbraccia fraternamente i famigliari nel doloroso commiato.  L’esempio e l’impegno di Rosario trovano la loro giusta dimensione nel dovere dell’ espressione mazziniana, già citata più volte nel nostro sito:

dobbiamo offrire un degno obiettivo a tutta questa gioventu’ pensosa che, nata in mezzo alle rovine, cade subito nel dubbio e nello scoraggiamento; dobbiamo ricercare per l’uomo un’esistenza morale per mezzo dell’entusiasmo e dell’amore”

La vita di Rosario Bentivegna è scritta in:   http://it.wikipedia.org/wiki/Rosario_Bentivegna