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REPUBBLICA ROMANA 1849

165° CELEBRAZIONE  BATTAGLIA DEL 30 APRILE 

SOCIETA’ DI MUTUO SOCCORSO “GIUSEPPE GARIBALDI” –  ISTITUTO DI STUDI INTERNAZIONALI “GIUSEPPE GARIBALDI” -  ASSOCIAZIONE NAZIONALE GARIBALDINA - GARIBALDINI PER L’ITALIA

L’ ASSOCIAZIONE GARIBALDINI PER L’ITALIA, PROMOTRICE DEL PREMIO “ALBERTO MORI”
PREMIA I VINCITORI DEL CONCORSO 
Partecipano gli studenti dell’ Istituto Comprensivo Maria Capozzi e dell’Istituto Comprensivo Parco della Vittoria  Succursale G.G. Belli di Roma 

La giuria del Premio, composta dalla Dott.ssa Quaranta Enrica  (Presidente) e dai soci: Prof.ssa Citoni Orietta, Sig.ra Simmons Monica, Prof. Lamensa Alcide, si è riunita a Roma in una sala delle Scuderie del villino  Corsini, all’interno di Villa Pamphili, gentilmente concessa da Veronica Olmi, Direttore artistico della Casa dei Teatri. I premi sono stati consegnati ai vincitori dal Presidente dell’Associazione “Garibaldini per l’Italia”, Arch. Macoratti Paolo, e dalla Direttrice del Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina, Dott.ssa Minasi Mara. Si ringraziano i professori Mori Silvia (Ist. Maria Capozzi) e Felici Carlo ( G.G. Belli) e la Direttrice del Museo Minasi Mara per il prezioso contributo offerto alla realizzazione del Progetto Scuola. Un ringraziamento particolare alla piccola orchestra e al coro della scuola G.G. Belli, classi I e III L, e all’impegno dei loro insegnanti, per aver saputo trasformare l’inno battagliero degli studenti del 1848 in una melodia pura di pace e armonia.

ISTITUTO MARIA CAPOZZI

CLASSE III C

Primo classificato                MAGGINI MARTA  &  TOMEI ROBERTA  “….Non focalizziamo sempre le nostre attenzioni sulle esteriorità della gente, ma cerchiamo di apprezzare gli altri soprattutto per i sani valori di cui sono portatori…”

Secondo classificato            FRULLANI FEDERICO “…Al giorno d’oggi pensiamo solo al futuro, alle nuove tecnologie, ma conoscere la nostra storia è altrettanto importante perchè se noi oggi siamo così, è solo grazie al sacrificio eroico di individui che hanno creduto in un mondo migliore…”

Terzo  classificato                DI MAGGIO ALESSIO “…Secondo me ricordare come è nata la repubblica è importante per sapere quali sono le nostre origini. Ricordare è importante ma rivivere ancora di più…”

 

CLASSE III D

Primo classificato                BORZI ALESSANDRO “…E’ stata una gita significativa che ha permesso a tutti di capire quali sono le fondamenta della Repubblica Italiana e soprattutto ci ha consentito di capire che una volta tra Nord e Sud, se uniti da un’ideale, non c’era distinzione. Forse al giorno d’oggi dovremmo prendere esempio dai valori di quell’epoca…”

Secondo classificato            MATTEI ALESSIA “…Tutte le persone morte per la Repubblica Romana ci fanno capire che se qualcuno crede in qualche valore o in qualcosa di veramente importante, e si impegna nel realizzarlo, riesce nel suo scopo, anche a costo della propria vita…”

Terzo  classificato                DE SANTIS ALESSIO “…Molto interessante è stato sapere che non ci sono solo esponenti maschili ma anche femminili che in quel periodo non avevano gli stessi diritti degli uomini. Io penso che pur essendo un Museo di piccole dimensioni, c’è tutto quello che bisogna conoscere. Del museo migliorerei i posti a sedere…”

 

GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI 

CLASSE III F

Primo classificato                CHIONNI GABRIELE “… Ora i miei fratelli ed io riposiamo al Mausoleo del Gianicolo, ma il nostro ideale non si è spento tra le gelide mura di Porta San Pancrazio e del Vascello, ma arde come fiamma nei cuori di chi crede nella Libertà, nella Democrazia e nella Repubblica…VIVA LA REPUBBLICA ROMANA – VIVA L’ITALIA UNITA

Secondo classificato            CIRAFICI MATILDE “…I Francesi si sono arresi e li vedo prigionieri sfilare ed entrare a Roma da Porta san Pancrazio. Sono così vicina che potrei toccarli sporgendomi leggermente dalla finestra. Poi un pensiero: forse oggi sono stata testimone di un avvenimento che cambierà la storia, o forse no…”

Terzo  classificato                NACCARI GIUSEPPE “…Tuttavia, all’indomani della sua proclamazione, il 30 aprile 1849 iniziò la fine della repubblica Romana, forse sorta in un momento storico non ancora capace di riconoscere una forma di governo democratica e innovativa per il contesto socio-politico del tempo…”

 IL FILMATO DELLA CERIMONIA DEL 30 APRILE 2014

http://youtu.be/yEeS6enx-nA

 

 

 

 

 

      

Tre anni sono passati dal cuore delle  celebrazioni del 150°  anniversario dell’Italia unita (vedi articolo 17 marzo 2011 ). Eravamo a Roma, sul piazzale del Gianicolo, quel 17 marzo, a testimoniare la nostra profonda amarezza; non certo per l’Italia unita, che abbiamo festeggiato e festeggiamo ogni giorno nei nostri cuori, quanto per l’Italia incompiuta che sempre  più soffoca il nostro vivere quotidiano, rendendoci complici involontari, ma non per questo incolpevoli, di una regressione culturale senza precedenti.

Quale personaggio storico potrebbe mai rappresentare più degnamente l’ unità del Paese, se non Giuseppe Mazzini, la vetta più alta del pensiero intellettuale, morale e civile dell’Italia e una delle più avanzate d’Europa? Il 10 marzo scorso, nel 142° della sua morte, solo pochissimi Italiani  si sono ricordati di Lui; eppure è stato perseguitato, ha subito il carcere, è morto sotto falso nome per restare fedele fino in fondo agli ideali democratici e repubblicani.

Questo Paese ha bisogno di  radici sane, e queste devono essere riconosciute dai semi buoni della storia, quelli autentici e puri. Si deve aver cura di separarli da innesti pericolosi, quando dominati dall’interesse e dalla cupidigia. Per questo occorre affrancare chi ha operato per l’Italia (Mazzini e Garibaldi) da chi se ne è servito (Cavour e Vittorio Emanuele II); si eviteranno così dannose paccottiglie, utili soprattutto a rafforzare coloro che speculano sull’ignoranza del Popolo.

Questo è il nostro pensiero – Il 17 marzo 2011 lo abbiamo condensato in un volantino (che oggi riproponiamo aggiornato)  e consegnato nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

 

VIVA L’ITALIA

di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi

NOI,

RAGAZZI VOLONTARI DEL RISORGIMENTO,

CHE ABBIAMO SOGNATO UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA LIBERTA’, SULLA GIUSTIZIA, SUL PROGRESSO, SULLA SOLIDARIETA’;

 NOI,

CHE ABBIAMO OFFERTO LE NOSTRE GIOVANI VITE PER L’ITALIA UNITA, E PER VOI, CHE OGGI GODETE IL FRUTTO DEL NOSTRO SACRIFICIO

OGGI, 17 MARZO 2014

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MANIFESTIAMO UN SENTIMENTO DI INTENSO DOLORE…

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PER UNA PATRIA E UNA DEMOCRAZIA INCOMPIUTE
 PER UNA SOCIETA’ CHE TRASCURA IL BENE COMUNE PER SETE DI POTERE E DI DENARO
 PER UN POPOLO DISEDUCATO ALLA RESPONSABILITA’, CHE IGNORA  L’OSSERVANZA DEI DOVERI E LA DIFESA DEI DIRITTI
 PER L’AGONIA DELLA SCUOLA PUBBLICA -  UNICA SPERANZA PER LE FUTURE GENERAZIONI

DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014 – ORE 10,30

La “Società di Mutuo Soccorso Giuseppe Garibaldi”,
l’ “Associazione Nazionale Garibaldina”,
l’Associazione “Garibaldini per l’Italia”,
l’ “Istituto di Studi Internazionali Giuseppe Garibaldi”

CELEBRERANNO IL 165° DELLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849

Roma – Mausoleo – Ossario di Via Garibaldi, 29/e

CONDUCE:        Enrica Quaranta  
      

 INTERVENTI:

Giuseppe Garibaldi

 Maria Grima Serra 

 Barbara Ruggeri De Luca 

 Paolo Macoratti   

Franco Tamassia   

 

Non dobbiamo mai stancarci di fare memoria del capitolo più significativo del nostro Risorgimento, degli uomini e delle donne che hanno gettato le fondamenta della nostra Patria, delle radici del nostro futuro
http://www.youtube.com/channel/UCEAIHhp5nYsTTnlTHi5eyyw

 

Alberto Mori, co-fondatore e Vicepresidente dell’Associazione

Garibaldini per l’Italia,

ci ha lasciato il 28 Gennaio 2014

Per molti di noi Alberto è stato un vero  e proprio amico fraterno; un amico onesto, intelligente, preparato culturalmente, modesto e sensibile. Un uomo “d’altri tempi”, si direbbe oggi; e questa è un’ affermazione che non sminuisce il suo valore, anzi  esalta la sua figura di uomo e di cittadino esemplare, rispettoso della Legge e amante della giustizia sociale.

 La sua persona ha saputo esprimere in ogni circostanza onestà, dignità, generosità; generosità che si manifestava, non solo nel sostegno di altri fratelli in difficoltà, ma soprattutto nella volontà di aiutare questa società a crescere in civiltà e  progresso, incitando le persone che incontrava durante il percorso di crescita dell’Associazione a mettersi in gioco e battersi per contrastare l’attuale, costante declino della società italiana.

Alberto è stato un nobile punto di riferimento per ognuno di noi e per l’Associazione Garibaldini per l’Italia; e lo sarà ancora, come tutti coloro che nel tempo hanno lottato e sperato nel miglioramento della condizione umana.

Alberto Mori è stato coerente con il pensiero mazziniano: “lo scopo della vita non è quello di essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori”

Grazie, Alberto, per la tua amicizia e fraternità 

 vivi e vivrai sempre nei nostri cuori

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L’ASSOCIAZIONE “GARIBALDINI PER L’ITALIA”, RINNOVANDO LA SUA VICINANZA A SILVIA E ALLA FAMIGLIA MORI,  RINGRAZIA LE ISTITUZIONI, LE ASSOCIAZIONI E I SINGOLI CITTADINI CHE HANNO PARTECIPATO CON AFFETTO

Domenica 8 settembre 2013 si è svolta a Roma l’Assemblea dei firmatari di un documento, che riportiamo in questa pagina, firmato da:  LORENZA CARLASSARE, DON LUIGI CIOTTI, MAURIZIO LANDINI, STEFANO RODOTA’, GUSTAVO  ZAGREBELSKI

L’Associazione Garibaldini per l’Italia, dopo aver letto il documento e ascoltato le ragioni dei firmatari, ha deciso di aderire alla manifestazione del 12 ottobre 2013, mobilitando tutti quei cittadini che intendano salvaguardare la Costituzione, attualizzandone e realizzandone i princìpi fondamentali.

1. Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato, invitiamo i cittadini a non farsi distrarre. Li invitiamo a interrogarsi sui grandi problemi della nostra società e a riscoprire la politica e la sua bussola: la Costituzione. La dignità delle persone, la giustizia sociale e la solidarietà verso i deboli e gli emarginati, la legalità e l’abolizione dei privilegi, l’equità nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici imposti dalla crisi economica, la speranza di libertà, lavoro e cultura per le giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace: questo sta nella Costituzione. La difesa della Costituzione non è uno stanco richiamo a un testo scritto tanti anni fa. Non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi più che mai, nella vita d’ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà? Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo bisogno d’una profonda rigenerazione bonificante nel nome dei principi e della partecipazione democratica ch’essa sancisce? Invece, si è fatta strada, non per caso e non innocentemente, l’idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l’ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare; che la partecipazione politica e il Parlamento siano ostacoli; che il governo debba essere solo efficienza della politica economica al servizio degli investitori; che la vera costituzione sia, dunque, un’altra: sia il Diktat dei mercati al quale tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s’è fatta strada l’idea che la democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-democratico: il tempo  della sostituzione del governo della “tecnica” economico-finanziaria al governo della “politica” democratica. Così, si spiegano le “ineludibili riforme” – come sono state definite –, ineludibili per passare da una costituzione all’altra. La difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare. Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa.

2. Eppure, per quanto si sia fatto per espungerla dal discorso politico ufficiale, nel quale la si evocava solo per la volontà di cambiarla, la Costituzione in questi anni è stata ben viva. Oggi, ci accorgiamo dell’attualità di quell’articolo 1 della ostituzione che pone il lavoro alla base, a fondamento della democrazia: un articolo a lungo svalutato o sbeffeggiato come espressione di vuota ideologia. Oggi, riscopriamo il valore dell’uguaglianza, come esigenza di giustizia e forza di coesione sociale, secondo la proclamazione dell’art. 3 della Costituzione: un articolo a lungo considerato un’anticaglia e sostituito dall’elogio della disuguaglianza e dell’illimitata competizione nella scala sociale. Oggi, la dignità della persona e l’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali, proclamate dall’art. 2 della Costituzione, rappresentano la difesa contro la mercificazione della vita degli esseri umani, secondo le “naturali” leggi del mercato. Oggi, il dovere tributario e l’equità fiscale, secondo il criterio della progressività alla partecipazione alle spese pubbliche, proclamato dall’art. 53 della Costituzione, si dimostra essere un caposaldo essenziale d’ogni possibile legame di cittadinanza, dopo tanti anni di tolleranza, se non addirittura di giustificazione ed elogio, dell’evasione fiscale. Ecco, con qualche esempio, che cosa è l’idea di società giusta che la Costituzione ci indica. Negli ultimi anni, la difesa di diritti essenziali, come quelli alla gestione dei beni comuni, alla garanzia dei diritti sindacali, alla protezione della maternità, all’autodeterminazione delle persone nei momenti critici dell’esistenza, è avvenuta in nome della Costituzione, più nelle aule dei tribunali che in quelle parlamentari; più
nelle mobilitazioni popolari che nelle iniziative legislative e di governo. Anzi, possiamo costatare che la Costituzione, quanto più la si è ignorata in alto, tanto più è divenuta punto di riferimento di tante persone, movimenti, associazioni nella società civile. Tra i più giovani, i discorsi di politica suonano sempre più freddi; i discorsi di Costituzione, sempre più caldi, come bene sanno coloro che frequentano le aule scolastiche. Nel nome della Costituzione, ci si accorge che è possibile parlare e intendersi politicamente in un senso più ampio, più elevato e lungimirante di quanto non si faccia abitualmente nel linguaggio della politica d’ogni giorno. In breve: mentre lo spazio pubblico ufficiale si perdeva in un gioco di potere sempre più insensato e si svuotava di senso costituzionale, ad esso è venuto affiancandosi uno spazio pubblico informale più largo, occupato da forze spontanee. Strade e piazze hanno offerto straordinarie opportunità d’incontro e di iconoscimento reciproco. Devono continuare ad esserlo, perché lì la novità politica ha assunto forza e capacità di comunicazione; lì si sono superati, per qualche momento, l’isolamento e la solitudine; lì si è immaginata una società diversa. Lì, la parola della Costituzione è risuonata del tutto naturalmente.

3. C’è dunque una grande forza politica e civile, latente nella nostra società. La sua caratteristica è stata, finora la sua dispersione in tanti rivoli e momenti che non ha consentito di farsi valere come avrebbe potuto, sulle politiche ufficiali. Si pone oggi con urgenza, tanto maggiore quanto più procede il tentativo di cambiare la Costituzione in senso meramente efficientistico-aziendalistico (il presidenzialismo è la punta dell’iceberg!), l’esigenza di raccogliere, coordinare e potenziare il bisogno e la volontà di Costituzione che sono diffusi, consapevolmente e, spesso, inconsapevolmente, nel nostro Paese, alle prese con la crisi politica ed economica e con la devastazione sociale che ne consegue. Anche noi abbiamo le nostre “ineludibili riforme”. Ma, sono quelle che servono per attuare la Costituzione, non per cambiarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

http://video.repubblica.it/politica/rodota-e-landini-ripartire-dalla-via-maestra/139464/138005

Riportiamo l’articolo di Roberta De Monticelli apparso su Micromega il 19 settembre 2013

1. Una ragione
C’è una ragione profonda per la quale torniamo oggi a sentire la difesa e l’attuazione della Costituzione come il solo richiamo che non è lecito non ascoltare: anzi, per la quale cominciamo a sentire – come con finezza nota il testo de “La via maestra” – che “i discorsi di politica suonano sempre più freddi; i discorsi di Costituzione, sempre più caldi”, soprattutto fra i giovani.

Questa ragione ha una parte visibile e una invisibile. Quella visibile è la degradazione sempre più evidente che subiscono da una ventina d’anni a questa parte – ma negli ultimi anni e mesi in misura crescente – l’attività, l’aspetto, il linguaggio, la competenza e perfino il decoro della maggior parte dei politici di professione, siano di lungo corso, siano giovani, rampanti e rapaci, o rampolli delle burocrazie correntizie dei partiti, o delle loro consorterie aziendali. Il testo de La via maestra apre su questo fenomeno: “Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato…”.

Dal punto di vista politologico, questa involuzione si può davvero descrivere come l’effetto di una oligarchica, sebbene in una sua chiave particolarmente italiana, cioè consortile e scilipotica, una chiave che mescola elementi universali di degenerazione populista della democrazia a elementi nazionali e locali di violenza (verbale, finora), conformismo servile e cinismo brutale.

Ma dal punto di vista “filosofico” questa involuzione corrisponde a un grado non ancora visto prima, nel secondo dopoguerra europeo, di erosione dell’elemento normativo nello spazio pubblico, sia esso quello istituzionale del Parlamento o quello dalla pubblica opinione, della discussione pubblica e dell’informazione. In altre parole, prevale ovunque la più pericolosa delle confusioni: quella fra diritto e potere, giurisdizione e politica, vigente dover essere e realtà di fatto, o di forza. E’ questa confusione o addirittura subordinazione del primo termine al secondo, la parte profonda, spesso nascosta alla coscienza distratta, della ragione per cui sentiamo la necessità di difendere la Costituzione – e di applicarla,
naturalmente. Siamo oggi arrivati all’estremo di un lungo processo di distruzione di quella sfera pre-politica – cioè sottratta in linea di principio tanto al negoziato che allo scontro politici – che è il patto di cittadinanza stesso, il recinto di regole entro cui può svolgersi l’agone politico, o infine la norma sottratta alla forza, senza la quale uno Stato non si distingue concettualmente da una banda di briganti.

Questa erosione della norma sotto il peso del fatto e della forza ha avvelenato non solo il diritto, che è stato contorto ad accogliere ogni perversione, fino a soffocare nella sua incoerenza ogni pratica e a umiliare nella sua ingiustizia ogni aspirazione, ogni speranza; essa ha avvelenato anche il linguaggio. Forse il veleno peggiore è proprio questo: che la normalità di questa Repubblica sia diventata il fatto di disprezzarla, che oggi pochi sentano più nella parola “normale” il significato della norma, della normatività che diamo a noi stessi per diventare civili, e ci distingue non dalle bestie, che incivili non sono, ma dalle cosche e dalle bande di briganti. Che per “normale” ciascuno intenda quello che di fatto va così, e “quindi” è giusto che vada così. E’ quel “quindi” che è osceno, anche quando resta implicito, muto nella testa di chi trova tutto questo “normale”: e poche sono le orecchie che ne restano ferite quando è ribadito ogni giorno sulle pagine di tutta la grande stampa nazionale, o ripetuto nei salotti televisivi.

L’oscenità di quel “quindi” è tutt’uno col veleno che uccide diritto, linguaggio e coscienza morale e civile. E questa è una situazione divenuta ormai intollerabile proprio per chi – come molti di noi – pensa che il bene più prezioso, accanto all’eguaglianza dei cittadini, sia precisamente la loro libertà. Chi pensa questo non vuole avere né accetterebbe altra difesa dalla nostra stessa libertà (la quale nove volte su dieci non è orientata al bene comune, e nonostante questo è irrinunciabile) che quella delle regole e delle istituzioni che noi stessi ci siamo dati per porre limiti alla nostra ferinità rapace. Ma oggi vediamo, semplicemente, che questa difesa non c’è più. Questo non è più tollerabile.

Ci sono due momenti simbolici del punto estremo raggiunto da questa progressiva fagocitazione della norma da parte della forza, che potremmo chiamare autofagia della politica – con il suo caratteristico effetto: la trasformazione del corpo
politico in materiale da escrezione. Il primo momento simbolico è rappresentato da un parlamento che trasforma in negoziato politico quella che è a tutti gli effetti la rivolta di un singolo cittadino contro la legge che a tutti si applica. Un parlamento che accetta in maggioranza di mercanteggiare sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di farne oggetto di trattativa politica: c’è forse un modo migliore di svuotare le istituzioni di una res publica di qualunque  credibilità o autorevolezza? Ne discende l’incoerenza più spettacolare che la storia di questa Repubblica ricordi: un parlamento che a questo scopo, in una sua parte, rimette in questione una legge che quel parlamento stesso ha
approvato all’unanimità pochissimo prima – e per forza: dato che semplicemente la legge esige da chi ha condanne definitive per gravi reati, magari addirittura contro le istituzioni della Repubblica, che non continui a rappresentare di fronte ai cittadini e al mondo le istituzioni della Repubblica.

Il secondo momento simbolico di questa autofagia della Città si vede in un capo dello Stato che da un lato “prende atto” di una condanna definitiva di un cittadino, e dall’altro ritiene “legittime” le rimostranze contro magistrati e sentenza, e la difesa dalle sue conseguenze in sede politica (dichiarazione del 13 agosto 2013). Non è incredibile questa contrapposizione della legalità alla legittimità, da parte del Presidente di una Repubblica basata, fino a prova contraria, sul “governo della legge”, in quanto opposta all’arbitrio del potere? Ma questi due momenti simbolici sono soltanto il proscenio di ciò che accade, che continua ad accadere oggi – e che il clamore di cui sopra nasconde. Ecco: un parlamento che approva un decreto somigliante a un piè di porco: quello che serve per scassinare la serratura della Costituzione (l’art. 138) – nonostante le ragioni in contrario cui si sono appellati mezzo milione di cittadini, che sono poi le ragioni di tutti i migliori costituzionalisti. Si sostiene che non sia una deroga: e ancora una volta si stravolge il senso delle parole. Ma come non è una deroga, se l’articolo prevede determinati tempi e determinati modi per cambiare la Costituzione, e sia i tempi che i modi vengono modificati?

Sempre l’abbandono del limite pre-politico, cioè della norma che è condizione perché la politica resti civile, porta con sé le più spericolate contraddizioni: in etica pubblica questo è accertato, che violare l’etica (il pactum che era servandum)
è praticamente impossibile senza violare la logica. C’è una legge anticostituzionale, o almeno in fortissimo sospetto di esserlo (leggi Porcellum)? Bene, allora il solo modo di cambiarla è cambiare la Costituzione. Lo disse il Presidente del Consiglio, il 3 settembre 2013. Bisogna dunque inserire la nuova legge elettorale nel pacchetto di riforme che il Comitato dei Saggi (s’è mai vista una cosa simile? E il referendum vittorioso del 2006?) va elaborando.

Ma una democrazia non si fonda solo sulla divisione dei suoi poteri: si fonda anche sull’indipendenza dell’informazione, senza cui non può esserci libera discussione pubblica, spazio delle ragioni. Appunto: la grande stampa tratta tutto questo come se si trattasse di “normale” dialettica di opinioni. Fino a levar di mezzo i fatti: ad esempio – perché ben poco se ne è saputo sulla grande stampa – un appello ragionato contro questa deriva firmato da quasi mezzo milione di cittadini. Mezzo milione di cittadini che per giunta si sono sentiti dare delle vittime di una volgare iniziativa populista. Populisti sarebbero dunque quelli che si appellano alle procedure imposte dalla Costituzione a chi voglia cambiarla cambiarla, non quelli che la cambiano in modo truffaldino per limitare ulteriormente il ruolo di un Parlamento già tanto umiliato: tanto da non avere in questa trasformazione che un ruolo di spettatore, in pratica. Da legittimare una trasformazione della forma di governo che, se la lasciamo fare, avverrà quasi a sua insaputa. E a nostra insaputa, naturalmente.

Kant lo aveva spiegato con chiarezza. La corruzione di fatto, è tale e basta. Ma la corruzione del diritto, oppure la corruzione del linguaggio (nella menzogna quando è elevata a sistema: pensate al linguaggio dei politici italiani quasi senza eccezione), è semplicemente la fine della possibilità di distinguere la corruzione dall’onestà, o la verità dalla falsità. La corruzione dell’ideale, della norma, è infinitamente peggiore della corruzione entro la norma o sotto la norma. Per questo è così agghiacciante che un governo – e un governo che Barbara Spinelli ha definito “contro natura”, perché nato da un’infedeltà elettorale (“Il Fatto Quotidiano”, 12/09/2013) – si consideri seduto non sotto la nostra Costituzione, ma seduto sopra di essa, al punto di arrogarsi un potere costituente che non avrebbe se non entro quei limiti, quei tempi e quei modi che invece sta forzando.

Il veleno peggiore è proprio questa violenza fatta alle parole. Per cui una deroga non è una deroga, per cui si chiama illegittimità la legalità, “responsabilità” l’omertà, “democrazia” la consorteria…
Dove però il significato delle parole è rovesciato nel loro contrario, diventa impossibile ogni discussione, come ben sanno i “ministri della verità” in mondi possibili non tanto lontani dal nostro, con le loro “neolingue”, dove ‘La guerra è pace’, ‘La libertà è schiavitù’, ‘L’ignoranza è forza’. E naturalmente, l’illegalità è legge. Alla parola che esprime liberamente e con trasparenza il pensiero, nel faccia a faccia della discussione, non rimane allora più che il senso di una finzione teatrale. Anche il Parlamento è ridotto a un teatrino. Così le basi della democrazia sono veramente erose. Non ci si dovrebbe stupire se fra le rovine di una lingua, in mezzo a questa melma di parole violentate, non resti a chi chiede giustizia che l’urlo.

Che cosa abbiamo da perdere se accettiamo questa deriva? Tutto. Il terreno sotto i piedi, l’eredità di casa, il passato, la memoria. E l’aria per respirare, lo slancio per creare, il futuro, la speranza. I due valori che danno senso al nostro stare insieme, al nostro comune destino.
2.
Due valori – ovvero dell’amor di matria

Tutti lo sanno: niente ci appare più prezioso, di valore più inestimabile, di quello che rischiamo di perdere, o che abbiamo già perduto. Questa è l’esperienza che ciascuno conosce, e che oggi e qui possiamo esemplificare non solo con esempi tratti dalla sfera privata, ma anche dalla sfera pubblica. In effetti, la cognizione del dolore è la cognizione del valore. E qui ci sovviene il dolore della perdita che incombe – o che molti considerano già un lutto: quello di una perdita della patria. E se questa parola non convince, possiamo fare come i tedeschi, che meglio di noi hanno saputo far opera di catarsi di un passato tanto tragico. Facciamo pure come molti di loro, che la chiamano ormai Mutterland, e non più Vaterland. Chiamiamola pure matria.

Mi limiterò a due dei valori che risplendono nel lutto che per loro soffriamo. Il primo è la bellezza dissipata, lo scempio che si continua a fare dei paesaggi storici italiani, con la cementificazione più sregolata (e l’attuale governo, quanto a misure in questo senso, non sembra fare eccezione). Specie lungo le coste, nelle montagne squarciate dalle grandi strutture, nelle colline dei pittori rinascimentali e dei macchiaioli sbancate dalle autostrade inutili, nelle baie ancora piene di memorie archeologiche, umiliate da porti turistici spesso addirittura criminali per l’indicibile viluppo di soldi pubblici e interessi privati che ne sono all’origine, per gli stupri paesaggistici e le bombe ambientali che spesso costituiscono, per l’irreversibile distruzione di patrimonio comune non solo italiano, ma in alcuni casi “dell’umanità”. E poi c’è il dolore per le istituzioni infangate dalla confusione di diritto e potere, di norma e forza, di legge e calcolo politico: e anche questa è cognizione del valore di ciò che perdiamo. Ecco due esempi di cognizione del valore attraverso il dolore. Cognizione del valore in senso lato estetico – bellezza , e del valore in senso lato etico – giustizia. Non bisognerebbe affatto opporle, ed è ora di smetterla di pensare che la bellezza sia un lusso. In questo caso lo è anche la giustizia, sommamente violata con la distruzione di tutto ciò che dà senso e valore alla nostra vita. E una vita costretta a contemplare ovunque solo disarmonia,
disordine e brutture, una vita in ambienti privi di senso, molto somiglia alla condizione estrema denunciata da Kant: “dove la giustizia viene meno, non ha più valore la vita degli uomini”. Non vale la pena che costa, appunto. E si può mostrarlo.

La bellezza che era il volto e la carta di presentazione di questo Paese era anche il nostro volto, era parte della nostra identità. Appartiene al fondamento direi esistenziale e spirituale della nostra vita. E’ nostra eredità, nostro dovuto: è come la terra che ci sostiene e ci circonda in quanto è carica di passato e di memoria, terra dei nostri padri, patria. O matria, se preferite. (Simone Weil diceva che non c’è tragedia più grande che la perdita del passato, non in quanto tale ma in quanto nutrimento dell’anima, come un campo di grano non vale per se stesso ma per le vite che nutre…) . La giustizia invece fonda l’aspetto ideale della nostra convivenza – dove per “ideale” intendo appunto non ciò che è di fatto, ma ciò che dovrebbe essere, non il costume vigente, ma la norma civile, la norma pre-politica, appunto, il fondamento di una politica che non sia priva di vincoli o di limiti.

E anche questo valore fa di un paese una patria: una patria ideale, appunto, una specie di sogno per noi – il sogno che era quello dei padri e delle madri o degli avi, alcuni dei quali morirono ragazzi con questo sogno in cuore.  E così abbiamo anche, en passant, definito due sensi di questa cosa di valore, cosa da amare e cosa vicina ad essere perduta, che chiamiamo nostra. Patria o matria, è indifferente. Da un lato il patrimonio comune, il passato e il terreno sotto i piedi, l’ambiente di senso (o di nonsenso) che ci circonda. Dall’altro la casa e la cosa ideale di tutti, la Res Pubblica appunto, il patto che la regge, il sistema di limiti, equilibri e pesi in cui consiste il buon ordinamento, cioè la giustizia, che non a caso ha la bilancia come immagine. Patria sognata è una società giusta, o più giusta di questa. E questa non è una società giusta per molti aspetti, ma ce ne sono oggi di talmente plateali da togliere il respiro. Non è questa o quella particolare ingiustizia che è oggi sotto i nostri occhi semichiusi, è la possibile distruzione delle condizioni stesse di un ordine e di una giustizia, di una civitas. Ecco la ragione profonda e i valori traditi che mi spingono a sostenere con tutte le mie forze l’appello a un movimento per La via maestra, la via per noi ma soprattutto per i nostri figli.

(19 settembre 2013)

 

Non illudiamoci! Il cosiddetto Governo di larghe intese, più propriamente definibile “Paccottiglia repubblicanoide”, non è e non sarà mai in grado di risanare in modo sostanziale la nostra disastrosa economia, né riformare radicalmente il sistema del mondo del lavoro, presupposti oggi indispensabili per uscire dalla crisi profonda in cui versa il Paese.

Non occorre essere grandi economisti, né politici o professori di alto lignaggio per capire che un Governo siffatto, continuamente ricattabile da sinistra e, maggiormente, da destra, secondo gli avvenimenti che giorno dopo giorno ne confermano l’ipocrita impostazione e che ci rivelano l’orientamento del suo operato nella direzione, pericolosissima, di un cambiamento delle regole costituzionali in corso d’opera (vedi in questo sito: Art. 138 della Costituzione..in pericolo), un siffatto Governo, dicevamo, non aiuterà le classi più deboli del Paese ad uscire dalla prospettiva, ormai incombente, della povertà assoluta: economica, morale, sociale.

Per questo la nostra Associazione si unisce ai Parlamentari e a tutte le donne e uomini di buona volontà per impedire che tali manovre scellerate possano compromettere la salute della nostra Democrazia, fondata, come sappiamo, sulla centralità del Parlamento e sulla divisione e autonomia dei poteri costituzionali.

Più volte abbiamo ricordato nelle pagine di questo sito quanto la nostra Costituzione repubblicana affondasse le sue radici in quella della Repubblica Romana del 1849; Repubblica in cui primeggiarono, unitamente a persone di grande spessore  culturale e umano, i Padri della Patria Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Cambiare la Costituzione Repubblicana odierna recherebbe offesa gravissima alla natura stessa della civiltà democratica italiana, così duramente conquistata con il sangue di migliaia e migliaia di Patrioti, nel Risorgimento, prima, nella Resistenza e nelle conquiste sociali del dopoguerra, poi.

Resistete, dunque, cari giovani e meno giovani Deputati e Senatori della Repubblica! Consideratevi depositari della volontà della maggioranza del popolo Italiano e dei Padri di due gloriose Costituzioni, tra le più evolute tra tutte le Costituzioni del mondo e della storia.

ITALIANI !

MODIFICARE LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA, NATA DALLE CENERI DEL PIU’ GRAVE DISASTRO UMANITARIO, CIVILE E SOCIALE DELLA STORIA, PER AVVENTURARSI IN ALTERNATIVE ISTITUZIONALI PRESIDENZIALI O SEMI-PRESIDENZIALI, EQUIVALE A NEGARE:

 

            1.      LE RADICI DEMOCRATICHE E STORICHE DEGLI ITALIANI CHE SI RIASSUMONO NEI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849; PRINCIPI AI QUALI SI ISPIRARONO I NOSTRI PADRI COSTITUENTI  DURANTE LA STESURA DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA VIGENTE;

 

            2.      LA SOVRANITA’ DEL POPOLO CHE, DELEGANDO I SUOI ELETTI, ORA NOMINATI DAI PARTITI, A RAPPRESENTARLO IN PARLAMENTO, AFFIDA ALL’ASSEMBLEA LA CENTRALITA’  DEL MANDATO;

 

            3.       GLI  INSEGNAMENTI, IL PENSIERO E L’AZIONE  DEI PADRI DELLA PATRIA, GIUSEPPE MAZZINI  E GIUSEPPE GARIBALDI,  E DEI PADRI DELLA  NOSTRA COSTITUZIONE, ENTRATA IN VIGORE IL 1° GENNAIO 1948;

 

           4.      IL SACRIFICIO DI MIGLIAIA DI MARTIRI DEL RISORGIMENTO E DELLA RESISTENZA, CHE SI SONO BATTUTI PER L’UNITA’ E LA LIBERTA’;

 

 

           5.      I DIRITTI  DEI MOLTI IN FAVORE DEI PRIVILEGI DEI POCHI, CHE INEVITABILMENTE SCATURIREBBERO DA UNO SQUILIBRIO TRA IL POTERE ESECUTIVO, PREVALENTE, E QUELLO LEGISLATIVO E GIUDIZIARIO;

 

 

           6.      IL PROGRESSO DEL POPOLO ITALIANO; POPOLO ANCORA IN FORMAZIONE E DUNQUE ESPOSTO  A SVOLTE DITTATORIALI

RESISTIAMO !

L’Associazione Garibaldini per l’Italia, insieme all’Associazione Nazionale Garibaldina, celebrerà il 29 Agosto 2013 alle ore 9,00, al Cippo Garibaldi in Aspromonte, il 151° anniversario dello scontro “fratricida” tra le truppe Italiane comandate dal Generale Pallavicini e i volontari comandati da Giuseppe Garibaldi.

Lo scorso anno, in occasione del 150°, mettemmo in evidenza l’indifferenza, oltre all’ignoranza, che gran parte della popolazione riserva allo scontro dell’Aspromonte , quasi rappresentasse per gli Italiani un episodio insignificante nel panorama complessivo del Risorgimento (vai all’articolo). A coloro invece che cercano di approfondire e comprendere  le motivazioni storiche e culturali che hanno formato lo Stato unitario, i cui sviluppi ancora oggi si ripercuotono con incredibile efficacia sulla nostra realtà politica e sociale, abbiamo voluto dedicare una giornata di celebrazione, memoria e dibattito nei luoghi stessi ove avvenne lo scontro.

 Giovedì 29 Agosto 2013 – ore 9,00 – Cippo Garibaldi – Comune di S. Eufemia (RC)
VIDEO DELL’EVENTO

http://youtu.be/Jt7ZKH0JXq0

La battaglia del 3 Giugno 1849 a Roma, poco fuori la Porta di San Pancrazio, fu decisiva per l’inizio della caduta della Repubblica Romana . Negli scontri con i Francesi del Generale Oudinot persero la vita centinaia di patrioti e soldati accorsi da ogni parte d’Italia e d’Europa, con presenze anche americane, per difendere il sogno di una democrazia e una repubblica, nate per riscattare la dignità del Popolo italiano, da secoli sottomesso a poteri che avevano represso la sua libertà.

Quest’anno la nostra Associazione vuole ricordare quei giorni gloriosi con una cerimonia commemorativa, per non dimenticare il sacrificio estremo di quei giovani.

 

La locandina dell’evento

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Malgrado la minaccia di pioggia e lo sciopero dei mezzi pubblici, si è conclusa felicemente il 3 giugno  la rievocazione di quegli scontri furiosi di 164 anni fa tra l’esercito della Repubblica Romana e quello della Repubblica Francese, in cui  perse la vita il fior fiore dei Patrioti Italiani  della metà dell’ottocento. La memoria, patrocinata dal Municipio Roma XII, cui hanno partecipato la Banda musicale della Guardia di Finanza in costume storico, il Coro LabBosio di Roma, le associazioni A.N.P.I, F.I.A.P. e Ambrosia, è stata celebrata in presenza della neo-eletta Presidente del Municipio Roma XII, avv. Cristina Maltese e del Generale di Brigata Raffaele Romano, comandante della Banda musicale.
L’alternanza delle citazioni importanti di Giuseppe Mazzini, Andrea Costa e Raffaele Tosi, con brani musicali eseguiti magistralmente dalla Banda della Guardia di Finanza diretta dal Maestro Maurizio Ambrosini e alcuni canti della libertà intonati con passione dal coro LabBosio diretto da Sara Modigliani, oltre alla lettura di venti nomi tra le centinaia di caduti di quel tragico giorno e della difesa di Roma,  hanno favorito la riflessione sulla Patria, sulle nostre radici storiche e culturali e sui destini dell’Italia.
 Si ringraziano tutti i partecipanti; in particolare l’attore e regista Vanni De Lucia e la garibaldina Enrica Quaranta per il loro importante contributo. L’Associazione Garibaldini per l’Italia, rinnovando l’impegno finalizzato alla divulgazione dei valori fondanti la nostra democrazia costituzionale, è sempre più convinta che il ruolo determinante per il progresso del Paese sia l’attualizzazione costante dei princìpi nati nel Risorgimento, con particolare riferimento alla Repubblica Romana del 1849 e alla Resistenza del 1943-’45.

IL FILMATO AMATORIALE   http://www.youtube.com/watch?v=0tl_cGcYMBE

Cuscino di fiori

Presidente Paolo Macoratti

Arturo De Marzi

Vanni De Lucia e Gianni Riefolo

Pres. Cristina Maltese e Gen. Raffaele Romano

Enrica Quaranta

Pupa Garribba

Vanni De Lucia

Maggiore Antonio Di Biagio

Sara Modigliani

Cinzia Dal Maso

Alcide Lamensa e Arturo De Marzi

Maurizio Santilli e Arturo De Marzi

Cristina Maltese e Raffaele Romano

Antonio Ladevaia

Gabriele Modigliani

Sara Modigliani

Maestro Maurizio Ambrosini

L’Associazione di promozione sociale “Ambrosia”,  in collaborazione con l’Associazione “Garibaldini per l’Italia” e Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina, promuove un ciclo di incontri e visite guidate per fare memoria della Repubblica Romana, nel 164° anniversario della nascita e della caduta

La locandina

 

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Il Consiglio Direttivo dell’Associazione Garibaldini per l’Italia ha conferito a Cinzia Dal Maso, giornalista e scrittrice, la tessera di Socia Onoraria n° 04/o. Sabato 23 marzo, in occasione del tesseramento annuale,  abbiamo  avuto il piacere di consegnarLe la tessera, il fazzoletto sociale e una copia dello Statuto

MOTIVAZIONE TESSERA ONORARIA N° 04/O

PER LA DOTT.SSA  DAL MASO CINZIA GIORNALISTA E SCRITTRICE

 Il Consiglio Direttivo. in conformità agli artt. 7 e 4 dello Statuto ha deciso all’unanimità di concedere alla Dott.ssa Dal Maso Cinzia la qualifica di Socia Onoraria dell’Associazione Garibaldini per l’Italia

per  lo studio e la diffusione della memoria storica, con particolare attenzione alle
figure femminili legate alla Repubblica Romana del 1849.
Si riconosce a Cinzia Dal Maso il merito di aver potenziato le sue ricerche con
interventi concreti che hanno contribuito a far emergere dal passato un patrimonio umano ricco di valori ed eroismo

La vittoria momentanea delle forze militari e volontarie della Repubblica Romana suscitò grandi entusiasmi nel Popolo di Roma; si era riusciti a battere sul terreno uno dei più potenti eserciti del mondo. La macchina bellica francese avrebbe schiacciato con le armi, solo un mese dopo, le speranze e le illusioni di quella meravigliosa stagione.

 

 

E’ stata celebrata la ricorrenza del 30 Aprile con la Società di Mutuo Soccorso “Giuseppe Garibaldi”,  l’Istituto Internazionale di studi “Giuseppe Garibaldi”, ente promotore, l’Associazione Nazionale Garibaldina, l’Associazione Nazionale “Cacciatori delle Alpi” e l’Associazione culturale “Gli amici di Righetto”. Ha partecipato alla celebrazione la V classe dell’Istituto comprensivo “Via Crivelli”, accompagnata dal Dirigente scolastico e da due insegnanti ; la Presidente della Commissione scuola, cultura e sport del Municipio XVI, Avv. Cristina Maltese, la Direttrice del Museo della Repubblica Romana Dott.ssa Mara Minasi e varie Associazioni culturali e d’Arma. Alla presenza di Giuseppe Garibaldi, Presidente dell’Ist. Internaz. di Studi “Giuseppe Garibaldi”, della Signora Maria Antonietta Grima Serra, Presidente dell’Associazione Nazionale Garibaldina, dell’Arch. Paolo Macoratti, Presidente dell’Associazione Garibaldini per l’Italia, sono intervenuti il Prof. Giuseppe Monsagrati e il Prof. Franco Tamassia. La cerimonia è stata significativa per la presenza di alcuni discendenti di Goffredo Mameli e di Paolo Narducci, quest’ultimo tra i primi a cadere il 30 Aprile 1849 per la repubblica Romana.

http://www.youtube.com/watch?v=96ePk3QCS5o 

Roma, 30 Aprile 2013 – ore 11,30 - Museo Ossario Garibaldino - Via Garibaldi, 29/e – http://www.facebook.com/photo.php?v=451725671579134 

 

 

 

Alla vigilia delle elezioni nazionali programmate per il 24 febbraio 2013, assume particolare importanza la celebrazione della Proclamazione della Repubblica Romana del 1849. Riteniamo infatti utile analizzare le trasformazioni politiche in atto,  in rapporto alle vicende che precedettero la formazione di quella incredibile stagione civile. Invitiamo pertanto i lettori di questo sito ad approfondire la storia e gli avvenimenti che portarono a concepire una della Costituzioni più evolute della storia.
Le elezioni dei membri dell’Assemblea Costituente della nascente Repubblica Romana si svolse tra il 21 e 22 gennaio del 1849 e vi parteciparono ben 250.000 persone ( nella sola Roma 25.000 ). Fu un grande successo, tenuto conto della scomunica papale e dell’esiguo numero di abitanti dello Stato della Chiesa (a Roma circa 170.000 anime). Viva era nei repubblicani l’attenzione alla scelta di coloro che avrebbero dovuto rappresentare il Popolo in Parlamento. La stessa preoccupata attenzione di formare il Popolo e la sua classe dirigente la troviamo negli scritti di Mazzini, Mameli e Garibaldi, come risulta dai brani che qui riportiamo :

Giuseppe Mazzini -  Goffredo Mameli -  Giuseppe Garibaldi

AGLI
ELETTORI

“ DATE IL SUFFRAGIO A UN POPOLO CHE NON VI E’ PREPARATO, GOVERNATO DA CIECHE PASSIONI REAZIONARIE, ED ESSO LO METTERA’ IN VENDITA O NE FARA’ UN CATTIVO USO; VERRA’ INTRODOTTA L’INSTABILITA’ IN OGNI PARTE DELLO STATO; DIVENTERANNO IMPOSSIBILI QUELLE GRANDI CONCORDANZE DI OPINIONI, QUEI PROGETTI PER IL FUTURO, CHE RENDONO LA VITA DI UNA NAZIONE FORTE E PROGRESSIVA. SI POSSONO SVILUPPARE QUANTO SI VOGLIA GLI INTERESSI MATERIALI: SE UN RINNOVAMENTO MORALE NON LI GOVERNA,PROBABILMENTE SI ACCRESCERANNO LE GIA’ TROPPO GRANDI RICCHEZZE DEI POCHI, MA LA MASSA DI COLORO CHE PRODUCONO NON VEDRA’ MIGLIORARE LE PROPRIE CONDIZIONI; O ADDIRITTURA AUMENTERA’ L’EGOISMO”. 
  Giuseppe Mazzini ( People’s journal n°35 del 28 agosto 1846 )
” NOI VOGLIAMO UOMINI CHE SENTANO QUELLO CHE DICONO: RIFIUTIAMO QUELL’ABITUDINE D’IPOCRISIA CHE, DA UNA NAZIONE RICAVATA OR ORA ALLA VITA, PROPONE PER PRINCIPIO DI RIGENERAZIONE, PER PRIMO DOGMA POLITICO, LA MENZOGNA SISTEMATICA. NOI VOGLIAMO LA VERITÀ, CREDIAMO CHE IN LEI SOLA STIA LA FORZA. NOI FACCIAMO POCO CONTO DELLE PAROLE, MOLTISSIMO DELLA VITA DI UN INDIVIDUO. SCRUTEREMO NEI NOSTRI CANDIDATI I FATTI PASSATI; ELIMINEREMO GLI UOMINI CHE , O PER TRISTIZIA O PER INETTEZZA HANNO MANCATO ALL’ONORE E AGLI INTERESSI DEL PAESE; NON  APPOGGEREMO CHE I NOMI DI COLORO IL CUI PASSATO CI SIA PEGNO PERL’AVVENIRE.”
Goffredo Mameli  (  4 Gennaio 1849 )
“ LA NAZIONE DEVE AD OGNI CITTADINO LA TRASMISSIONE DEL SUO PROGRAMMA. OGNI CITTADINO DEVE RICEVERE NELLE SUE SCUOLE L’INSEGNAMENTO MORALE: UN CORSO DI NAZIONALITA’ COMPRENDENTE UN QUADRO SOMMARIO DEI PROGRESSI DELL’UMANITA’, LA STORIA PATRIA E L’ESPOSIZIONE POPOLARE DEI PRINCIPI CHE REGGONO LA LEGISLAZIONE DEL PAESE E L’ISTRUZIONE ELEMENTARE INTORNO ALLA QUALE NON V’E’ DISSENSO. OGNI CITTADINO DEVE IMPARARE IN ESSO L’EGUAGLIANZA E L’AMORE”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Giuseppe Mazzini ( Dei Doveri dell’uomo – 1860 )   
 ” BISOGNA SPAZZARE QUESTA MASSA D’INTRUSI CHE, COME LE FORMICHE NEGLI ALVEARI, NE DEPORTANO CERA E MIELE, E NON VI LASCIANO CHE PUTRIDUME E MACERIE.  VORREI DIRVI CHI SONO, CHI FURONO E DONDE VENGONO: MA TROPPO DOVREI INTINGERE LA PENNA NELLE SOZZURE, E MI RIPUGNA. BASTA VI DICA: RICORRETE AL LORO PASSATO, E SE NON SIETE PIU’ CHE CIECHI, PIU’ CHE IMBECILLI, PIU’ CHE  ODARDI, NON RICONFERMATELI NEL LORO SEGGIO.  CHE SPERATE DA ESSI ? IL PAREGGIO, LA DIFESA DELLO STATO, LA LIBERTA’ ? ILLUSI CHE SIETE ! SI, RICONFERMANDOLI, PREPARATEVI A NUOVE  SCIAGURE”.
   Giuseppe Garibaldi ( Caprera 29 settembre 1874 )                      

 

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Comunicato stampa 9 febbraio 2013

LA CERIMONIA DEL 9 FEBBRAIO

Un ringraziamento particolare alla Dott.ssa Enrica Quaranta, attrice e sceneggiatrice, che ha condotto con professionalità e passione gli interventi dei rappresentanti  delle Associazioni: Società di Mutuo Soccorso “Giuseppe Garibaldi”, Associazione Nazionale Garibaldina, Associazione “Garibaldini per l’Italia”, l’Istituto di Studi Internazionali “Giuseppe Garibaldi”
L’intervento completo di Paolo Macoratti
Nel pieghevole che vi abbiamo consegnato, abbiamo voluto condensare il percorso di quella meravigliosa e tragica stagione : sul frontespizio l’appello agli elettori di Goffredo Mameli; all’interno i Princìpi fondamentali delle due Costituzioni, quella della R.R. e l’ attuale, in ultima pagina gli atti legislativi e la difesa della Repubblica.
Insieme all’Associazione Gruppo Laico di Ricerca, da quattro anni, celebriamo appunto la difesa  con una fiaccolata-processione laica, in cui nominiamo, per non dimenticare, i nomi di 50 caduti per la Repubblica Romana; alcuni noti, altri sconosciuti.
La Memoria è importante, ma non avrebbe senso se non fosse attualizzata ! La camicia rossa, il logo della nostra associazione e il fazzoletto rappresentano , simbolicamente, l’ESSERE VOLONTARI, come lo erano i Garibaldini; e questo si concretizza, per noi,  nell’impegno costante di ciascuno nella società civile perchè sia rispettata la Costituzione: nella difesa dei più deboli, nella lotta alle mafie – di qualunque natura esse siano – nella salvaguardia del territorio e dei beni comuni.
Repubblica Romana: Democrazia Pura ! Cinque mesi di progresso morale e civile voluto da uomini e donne di grandissimo spessore culturale e umano; dietro di loro le idee e gli scritti di Giuseppe Mazzini e l’azione di Giuseppe Garibaldi, che incarnava quelle idee; e poi, IL POPOLO.
Ed è proprio dal Popolo che è arrivata una delle spinte più forti per la realizzazione della Costituente attraverso le grandi adunanze popolari del 12 e del 15 gennaio ai teatri Metastasio e Tor di Nona in cui si è proposta per la prima volta la costituente italiana sulla base di quella romana, con il Comitato dei circoli d’Italia. Pertanto possiamo affermare con sufficiente certezza che a Roma è nata l’Italia repubblicana che conosciamo. Sono dunque qui le nostre vere radici storiche e culturali. Senza la Repubblica Romana non ci sarebbe stato, forse, quello slancio di volontarismo postumo che portò Garibaldi alle sue più importanti imprese italiane, sia con il comando dei cacciatori delle Alpi, sia con l’impresa dei Mille.
In quest’ottica si riesce a capire la disperata ed eroica resistenza in difesa di Roma dei volontari italiani del 1849, malgrado lo strapotere numerico, logistico e tattico dell’esercito francese. E qui voglio citare le parole che Garibaldi indirizzò ai ragazzi “Cacciatori delle Alpi” che il 19 maggio 1859, in Andorno, lo accompagnavano e seguivano gridando: “Viva l’Italia, Viva Garibaldi: ““Non ho mai veduto militi combattere con tanta franchezza e audacia come una coorte di ragazzi che avevo a roma; figuratevi, si scagliavano contro i francesi fino a un trarre di sasso, e molti di loro infatti non possedevano altre armi che sassi”.
Nell’altro stampato  abbiamo voluto evidenziare la preoccupazione di Mameli e Garibaldi, anche se in tempi diversi, per il peso delle qualità morali e civili dei candidati che si sarebbero dovuti presentare alle elezioni; leggendo questi brani si resta colpiti dalla loro straordinaria attualità; ma anche la preoccupazione di Giuseppe Mazzini per il programma di formazione del popolo italiano; programma che Egli stesso  condensò nel 1860 scrivendo “I Doveri dell’uomo”; testo che ogni insegnante, ogni uomo politico, ogni cittadino dovrebbe consultare quotidianamente.
Ci sono voluti cento anni per arrivare ad un ordinamento repubblicano; dunque,  in quella Costituzione sono le radici dell’attuale Costituzione  italiana, nata dalle ceneri del fascismo e della monarchia sabauda e ricollegata, con la resistenza partigiana, alla Repubblica Romana del 1849.
In questo momento di crisi della finanza mondiale, della politica e dell’economia nazionale; in questa Italia ove da anni la Costituzione è minacciata dalla corruzione e dagli interessi di parte, assume maggior rilievo la straordinaria avventura della R.R., dei suoi valori e delle sue finalità.
Possiamo imparare molto dallo studio e approfondimento di quella stagione; e forse una delle lezioni più importanti che dovremmo ereditare è la responsabilità personale, sostituendo la cultura del “fatalismo” con la cultura della “partecipazione”. Noi tutti, cittadini d’Italia, dobbiamo essere consapevoli che la nostra azione quotidiana debba servire, con l’esempio, ad educare ed elevare i giovani e il popolo alla civiltà e al progresso.
VIVA LA REPUBBLICA ROMANA – VIVA L’ITALIA
IMMAGINI FOTOGRAFICHE
 

I Cairoli - Benedetto, Ernesto, Enrico, Luigi, Giovanni - Adelaide

               Il 23 ottobre 1867, 76 coraggiosi Garibaldini  comandati da Enrico Cairoli,  giunti  fino alle porte di Roma nel tentativo di suscitare un’insurrezione armata nello Stato della Chiesa (nell’ambito della campagna Nazionale dell’Agro Romano del 1867 che si concluse con la sconfitta di Mentana), resistettero eroicamente  alle truppe pontificie accorse in gran numero per contrastare la loro iniziativa.

Agli atti eroici dei volontari che, consapevoli della notevole inferiorità numerica e dell’armamento tecnicamente inferiore, cercarono di intimorire il nemico con un disperato assalto, si contrappose la spietata ferocia dei Pontifici, in un clima di forte tensione emotiva dovuta all’attentato del giorno precedente alla caserma Serristori in Trastevere.

L’Associazione Garibaldini per l’Italia onorerà i caduti insieme all’A.N.G. Associazione  Nazionale Garibaldina e all’Istituto Internazionale di Studi Giuseppe Garibaldi

Sarà presente la Banda Municipale del Comune di Roma e il Picchetto armato dei Lancieri di Montebello

 L’appuntamento per i partecipanti è alle ore 10,00 di venerdì 26 ottobre 2012 all’ingresso del parco di Villa Glori (P.le del Parco della Rimembranza-angolo Viale Pilsudski) Per i membri dell’Associazione : camicia rossa garibaldina, fazzoletto e cappello

 

 

 

 

 

 

Il mese scorso abbiamo chiesto ad alcune persone se conoscessero la storia dell’episodio in cui venne ferito, in Aspromonte, Giuseppe Garibaldi; alcuni ammettevano di ricordare la nota canzoncina “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…”, ma non sapevano darci altre spiegazioni. Altri erano certi di aver studiato a scuola che lo scontro a fuoco di quel 29 Agosto 1862 fosse  avvenuto addirittura durante la spedizione dei Mille (1860), tra i Garibaldini guidati dall’Eroe dei due mondi e le truppe Borboniche!
Oggi, grazie a wikipedia, per fortuna o per disgrazia, possiamo accertarci come andarono veramente le cose (http://it.wikipedia.org/wiki/Giornata_dell%27Aspromonte) La mancanza di una corretta informazione, non sempre casuale o addebitabile a superficialità, ha prodotto nelle giovani generazioni la caduta della formazione critica che proprio gli avvenimenti più controversi della storia avevano fornito attraverso la semplice lettura degli eventi.
 La massa degli studenti, purtroppo,  non riesce più a distinguere il vero dal falso; a comprendere, con ragionevole approssimazione, le differenze politiche e ideali dei personaggi che caratterizzarono il periodo storico del Risorgimento, dalle cui vicende sono nate la nostra Repubblica e la nostra Costituzione. Così diviene automatico mettere sullo stesso piano le politiche e gli ideali di Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini e Garibaldi, senza curarsi troppo delle loro profonde differenze. Si dice che, in fondo, questi quattro personaggi avessero in comune la volontà di arrivare all’unità d’Italia; è vero, ma i distinguo sono necessari quando il fine è diverso: da un lato l’espansione del Regno di Sardegna nei territori italiani, dall’altro l’unione dei popoli in una stessa identità nazionale che realizzasse un sistema  socio-politico egualitario. Questo equivoco e le sue ricadute politiche, sociali ed economiche, che si sono materializzate principalmente nello squilibrio tra il nord e il sud d’Italia, hanno creato un danno enorme che si perpetua di generazione in generazione.
Provate a chiedere allo studente medio italiano se conosce i motivi che portarono i Bersaglieri comandati dal Generale Pallavicini a sparare contro i Garibaldini e, soprattutto, contro Garibaldi, per….ucciderlo? Si, ucciderlo! Provate a chiedere allo studente universitario medio se conosce le umiliazioni, il carcere, la fucilazione di tanti patrioti seguaci di Garibaldi che furono passati per le armi dal Regio Esercito soltanto perché avevano creduto nella libertà e nell’indipendenza dell’Italia e in colui che aveva reso possibile e reale l’unificazione? Domande del genere se ne possono fare a decine, senza ottenere adeguate risposte. Alcuni cineasti, come l’ultimo film di Mario Martone dal titolo emblematico “Noi credevamo”, hanno tentato di far emergere dalla polvere del tempo le crude problematiche dello scontro da guerra civile dell’Aspromonte, senza riuscire, però, ad incidere la spessa coltre d’indifferenza dell’opinione pubblica italiana.
 Di Garibaldi si è detto, si dice e si dirà di tutto, perché è un mito, un’icona, un santino che si può adorare o demonizzare a piacere. La stampa italiana dovrebbe cogliere queste ricorrenze come occasioni uniche e irripetibili (150 anni ) per fare un po’ di chiarezza sull’uomo, sincero e onesto, che amava così tanto la Patria e i propri fratelli da esporre la sua stessa vita per evitare lo scontro fratricida dell’Aspromonte. Perché uomini e avvenimenti importanti sono stati dimenticati nelle loro espressioni  più nobili e significative per dare spazio a  retoriche paccottiglie unitarie? C’è ancora un’Italia che non vuole fare i conti con la storia, per puro opportunismo o per malcelate connivenze con monarchie totalitarie che ancora oggi insistono sul nostro territorio? Oppure c’è ancora un’Italia  Sabauda e del Fascismo, mai scomparse dalla scena politica, che continuano ad operare sotto falso nome per conservare privilegi e disuguaglianze, negando e impedendo quell’unificazione ideale e sociale desiderata ardentemente da Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi? Forse entrambe.
Cosa fare, dunque? Oggi, paradossalmente, occorre fare contro-informazione per riaffermare i valori legati alle nostre migliori radici storiche e culturali; soffocate, come sono, da piante carnivore insaziabili.
Il 7 Agosto 2012, le ossa di Paolo Narducci, 20 anni, ufficiale artigliere caduto il 30 Aprile 1849 sui bastioni di Santa Marta (lato occidentale dei Giardini Vaticani), primo dei migliaia di caduti per la difesa della Repubblica Romana, sono state tumulate finalmente nel Sacrario Gianicolense che accoglie le spoglie di Mameli e altri 187 caduti per Roma, la maggior parte anonimi. E’ stata lunga la sua permanenza al Verano: 163 anni! Grazie all’interessamento dei discendenti e della Dottoressa Cinzia Dal Maso, oggi questo giovane romano può riposare accanto ai suoi fratelli d’armi e d’ideali.
Come spesso accade, nessuna risonanza, né mediatica, né politica, eccetto la cortese disponibilità della responsabile del Sacrario Gianicolense, Dott.ssa Francesca Bertozzi e del personale di custodia. Eppure la sua giovane vita è stata sacrificata per  quelle idee che hanno fatto grande il nostro Paese e che oggi dobbiamo necessariamente rilanciare con fermezza per rifondare una società che ha perso la bussola delle sue radici più nobili e profonde.
La vita di Paolo Narducci è stata esemplare e assume maggior valore se comparata con quella dei militari che non aderirono, come lui fece senza esitazione, alle forze militari della Repubblica Romana, minacciata da ben quattro eserciti europei. Di questi “rifiuti”, spesso opportunistici, è utile ricordare quello dell’Architetto Andrea Busiri Vici che dalle vicende belliche trasse grandi vantaggi, consistenti in prestigiosi incarichi professionali che Pio IX, riconoscente, gli elargì durante la restaurazione dello Stato della Chiesa (Edicola ai caduti Francesi e Arco dei Quattro Venti, all’interno di Villa Pamphili..).
La strategia dell’ esercito francese prevedeva lo sfondamento di Porta Pertusa, da un lato, e l’ingresso da Porta Angelica dall’altro, per ricongiungersi poi insieme a Piazza San Pietro. La resistenza accanita di Narducci e compagni sul bastione di Santa Marta scombinò l’iniziativa francese, contribuendo a favorire il contrattacco repubblicano, con la vittoria che mise i Francesi in fuga verso Castel di Guido.

La cronaca

All’alba del 30, deposti i sacchi alla Maglianella, Outinod si accostò a Roma. Qual fosse il suo disegno di guerra lo dice un foglio trovato in tasca di un ufficiale francese estinto. Il colonnello Masi trasmise questo foglio al governo. Egli si proponeva di dividere il corpo in due colonne; con una assalire Porta Cavalleggeri, con l’altra Porta Angelica: punto di riunione la piazza di S. Pietro. Secondo alcuni militari di vaglia fu sbagliato, e il disegno di attacco e il moto. I punti del doppio assalto meditato distavano 630 metri l’uno dall’altro entro la città. E in Piazza S. Pietro le riserve romane erano pronte ad accorrere o a porta Angelica o a porta Cavalleggeri; mentre la distanza esteriore tra le forze nemiche superava i 2400 metri, i quali, considerata la tortuosità delle strade, diventavano quasi 4000. Giunti prima dell’alba, i francesi presero la via di porta Cavalleggeri, spingendo i volteggiatori a dritta in luoghi scoscesi e selvosi, e i cacciatori di Vincennes sulle alture a sinistra. Allo spuntar del nemico, Avezzana dalla vedetta sulla cupola fece suonare a stormo tutti i campanili. In un attimo i ripari e i bastioni nereggiarono di popolo il quale aveva ottenuto armi dal ministro della guerra; e quanti non le ottennero si accontentarono di trasportare feriti e morti o di recare provviste da fuoco e da bocca; e le ardite donne di Trastevere incoraggiavano i mariti e i fratelli e mandavano i figli adolescenti al battesimo del fuoco. Giunto il nemico a 150 metri dalle mura, i bravi artiglieri dal bastione di S. Marta diretti dal Calandrelli diedero il primo saluto ai cacciatori, i quali risposero con colpi così ben aggiustati che cadde morto il tenente Paolo Narducci, romano, primo martire della Repubblica, e furono feriti mortalmente Enrico Pallini, aiutante maggiore, e altri artiglieri. Ma trovatisi sotto i fuochi incrociati delle mura e del Vaticano, collocarono una controbatteria a 360 metri, micidialissima. La colonna nemica non poté avanzare, ma fece coi pezzi e colle carabine una strage terribile: caddero in un colpo Della Vedova, morto, il capitano Pifferi, il tenente Belli, il sottotenente Mencarini, il maresciallo Ottaviano, feriti; e finalmente fu smontato un cannone romano. Il popolo portò via i morti e feriti; ed altri prendevano il posto dei caduti senza ombra di timore o di confusione, Mancando gli artiglieri, supplirono i soldati di linea, e caddero il belga Leduell e i caporali De-Stefanis e Lodovich. La prima brigata sotto Moliére ebbe ordine di spingersi alle mura, ma gli artiglieri raddoppiarono gli sforzi, e le colonne di Marulay e Banat dovettero ripiegare a dritta. Irritato, Oudinot fece piantare altri due cannoni: due volte si batté la carica dai francesi; ma essi dovettero desistere e ritirarsi tutti.

 

 

L’associazione Garibaldini per l’Italia ha accolto e onorato  con spirito fraterno i gloriosi  resti del Tenente di artiglieria Paolo Narducci.

Con una cerimonia semplice ma intensa, resa possibile dalla commozione partecipata dei discendenti di Paolo Narducci, di Cinzia Dal Maso e di sua figlia, delle Dottoresse  Bertozzi e Romaniello della Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, del custode Panichelli, dei Soci Garibaldini Monica Simmons e Gianni Blumthaler, dal Vice Presidente Alberto Mori e dal Presidente Paolo Macoratti, si è conclusa una vicenda nata dalla volontà popolare che riscatta con l’impegno della memoria il sacrificio dei propri martiri.

LE IMMAGINI

Verso il Sacrario

Fiori tricolori per Paolo Narducci

 

 

 

 

 

 

Saluto della Dott.ssa Bertozzi

 

Verso la cripta

La tumulazione

Fratello tra i Fratelli

Cinzia Dal Maso (terza da sinistra) insieme ai discendenti

Da destra: Mori, Macoratti, Romaniello, Dal Maso, Bertozzi

Alcuni discendenti del difensore della R.R.

Il Presidente Macoratti ricorda la figura di Paolo Narducci

Il Sacrario dei caduti per Roma

La cassetta con i resti di Paolo Narducci

La fiaccolata del 10 giugno 2012 a Roma sul colle del Gianicolo, organizzata dalle Associazioni Garibaldini per l’Italia e Gruppo Laico di Ricerca, patrocinata dal Comune di Roma ( Municipii I e XVI ), con la partecipazione attiva dell’A.N.P.I. e della F.I.A.P, per celebrare il 163° anniversario della Difesa della Repubblica Romana del 1849, ha voluto rendere onore ai caduti, ai combattenti, agli esiliati, ai giustiziati che testimoniarono  con il loro sangue e la loro partecipazione la volontà di cambiare il mondo, dando vita al momento forse più alto della nostra storia risorgimentale.

http://www.youtube.com/watch?v=PcriprLpOQg&feature=g-upl

“Pochi contro moltissimi”, è scritto sulle lapidi e sui testi di storia, per ricordare quanto grande fosse stato il loro sacrificio, quanto forte la spinta che li animava. Quale misteriosa forza aveva prodotto quelle volontà, così determinate  da sfidare con furore le potenze militari più organizzate e potenti dell’epoca? I nostri fratelli del 1849 anelavano a realizzare su questa terra l’archetipo del bene comune, l’utopia per antonomasia, la fraternità e la giustizia sociale; in due parole la DEMOCRAZIA PURA. Parole che terrorizzavano Re e Papi e che ancora oggi imbarazzano le caste e i potentati economici e religiosi.
La memoria di quei giorni e degli uomini e le donne che fecero grande il nostro Paese spesso si riduce alla sola celebrazione di questa o quella ricorrenza,  che individui più o meno preparati storicamente, s’impegnano a rinnovare periodicamente per non sentirsi lontani da quel passato glorioso. E’ questa una delle basi di partenza per coltivare la memoria, ma il rischio che assuma il carattere di un’autocelebrazione sterile e infruttuosa è molto alto.
Potrebbe sembrare difficile mettere a frutto l’eredità di Mazzini, Garibaldi, Mameli e tutti coloro che parteciparono alla costruzione di una  Patria comune fondata sul progresso dell’essere umano e sulla convivenza civile; in realtà è solo una questione di volontà e di scelte personali. Si può ricominciare, partendo dalla scuola, trasferendo costantemente nelle giovani generazioni ciò che è già  scritto nelle opere dei nostri Padri Costituenti, nella Repubblica Romana del 1849 e nella Costituzione della Repubblica Italiana tuttora vigente. E’ questione di volontà e di scelte personali lottare con ogni mezzo legale perchè siano salvaguardati i principi di libertà, giustizia, eguaglianza attraverso i quali poter continuare a costruire quell’utopia del 1849,: la Democrazia Pura.
La fiaccolata del 10 Giugno non avrebbe avuto senso, o lo avrebbe avuto solo concettualmente, se non fosse stata finalizzata  alla realizzazione pratica dei nobili concetti trasmessici dai Padri della Patria, che prima di noi hanno difeso la Repubblica con tutte le loro forze.  Difendere la Repubblica , oggi, vuol dire dunque partecipare alla sua vita attivamente, controllare che le leggi emanate siano effettivamente in favore della maggioranza del Popolo e non di una risibile contrada;  vuol dire ancora denunciare gli abusi, il malcostume nella politica e nel sociale, costruendo il progresso attraverso un cambiamento culturale, anche profondo, se necessario; e a ognuno di noi è affidata la responsabilità morale di questo cambiamento.
Presto in Italia dovremo tornare a votare in un contesto di forte abbassamento delle difese immunitarie , civili e sociali.  Ai tentativi di mantenere alti i privilegi di una piccola parte della popolazione si sommano i disagi di una regressione progressiva dalle conquiste civili e sociali ottenute in 65 anni di storia repubbicana.  Le conseguenze le conosciamo bene ed è superfluo ripeterle. Non ci rimane che sottolineare un AVVISO AGLI ELETTORI che ieri, come oggi, sono il manifesto della nostra volontà di cambiamento.

” NOI VOGLIAMO UOMINI CHE SENTANO QUELLO CHE DICONO: RIFIUTIAMO QUELL’ABITUDINE D’IPOCRISIA CHE, DA UNA NAZIONE RICAVATA OR ORA ALLA VITA, PROPONE PER PRINCIPIO DI RIGENERAZIONE, PER PRIMO DOGMA POLITICO, LA MENZOGNA SISTEMATICA. NOI VOGLIAMO LA VERITÀ, CREDIAMO CHE IN LEI SOLA STIA LA FORZA. NOI FACCIAMO POCO CONTO DELLE PAROLE, MOLTISSIMO DELLA VITA DI UN INDIVIDUO. SCRUTEREMO NEI NOSTRI CANDIDATI I FATTI PASSATI; ELIMINEREMO GLI UOMINI CHE , O PER TRISTIZIA O PER INETTEZZA HANNO MANCATO ALL’ONORE E AGLI INTERESSI DEL PAESE; NON APPOGGEREMO CHE I NOMI DI COLORO IL CUI PASSATO CI SIA PEGNO PER L’AVVENIRE.”  ( Goffredo Mameli – 4 Gennaio 1849 )

” BISOGNA SPAZZARE QUESTA MASSA D’INTRUSI CHE, COME LE FORMICHE NEGLI ALVEARI, NE DEPORTANO CERA E MIELE, E NON VI LASCIANO CHE PUTRIDUME E MACERIE.  VORREI DIRVI CHI SONO, CHI FURONO E DONDE VENGONO: MA TROPPO DOVREI INTINGERE LA PENNA NELLE SOZZURE, E MI RIPUGNA. BASTA VI DICA: RICORRETE AL LORO PASSATO, E SE NON SIETE PIU’ CHE CIECHI, PIU’ CHE IMBECILLI, PIU’ CHE CODARDI, NON RICONFERMATELI NEL LORO SEGGIO.  CHE SPERATE DA ESSI ? IL PAREGGIO, LA DIFESA DELLO STATO, LA LIBERTA’ ? ILLUSI CHE SIETE ! SI, RICONFERMANDOLI, PREPARATEVI A NUOVE SCIAGURE “. (  Giuseppe Garibaldi – Caprera 29 Settembre  1874 )


20 marzo 2012
21:00a23:00
Settimo incontro sulla  Repubblica Romana del 1849. Tema centrale l’arrivo a Roma di Giuseppe Mazzini. E’ un momento storico di altissimo valore per la conquista delle libertà civili e democratiche di ogni popolo, che videro Roma e l’Italia protagoniste di una rivoluzione culturale senza precedenti.
Conferenza a cura dell’Associazione Gruppo Laico di Ricerca

SETTIMA PARTE :

http://www.gruppolaico.it/category/incontri-di-ricerca/

Appuntamentio a Roma, via Caffaro, 10

  • MARTEDI’  20 marzo  2012 – ore 21,00    

PER CONSULTARE I DOCUMENTI SULLA REPUBBLICA ROMANA, VAI  ALLA PAGINA DEI  “LINK A SITI AMICI”

Giovedì 9 Febbraio alle ore 15,00 l’Associazione “Garibaldini per l’Italia” ha celebrato  il 163° della Proclamazione della Repubblica Romana del 1849 insieme all’Associazione culturale “Gruppo Laico di Ricerca” e all’ “A.N.P.I. “  presso il Musoleo-Ossario Garibaldino del Gianicolo, via Garibaldi 29/e – Roma

 

Sintesi del testo letto dal Presidente dei Garibaldini per l’Italia

Il logo dell’Associazione Garibaldini per l’Italia esprime ciò che vorremmo essere per il nostro Paese: volontari, attenti e vigili
I simboli sono importanti perché rappresentano l’universo dei valori e delle aspirazioni di tante persone; così il tricolore rappresenta i valori e le aspirazioni migliori degli italiani, di coloro che l’hanno ideato, di tutti noi e di coloro che verranno dopo di noi.  La bandiera è dunque sacra, perché in essa si sono riconosciute e hanno lottato, fino all’estremo sacrificio della vita, intere moltitudini di patrioti.
La camicia rossa che indossiamo con orgoglio è anch’essa un simbolo sacro perché incarna tutti i Garibaldini che hanno impegnato la loro esistenza per il bene comune e il progresso dei popoli.
Pertanto, essere garibaldini, oggi, non significa solo partecipare alle cerimonie celebrative di questa o quella ricorrenza, pur necessarie e indispensabili, ma rappresenta un duplice dovere: da un lato l’impegno a mantenere vivi e trasmettere ai giovani e meno giovani gli ideali risorgimentali, tutt’ora insuperati per ricchezza di valori e spinte innovative – e realizzati solo in minima parte – dall’altro il dovere di essere attivi e propositivi nella società complessa in cui viviamo con iniziative finalizzate al progresso civile e sociale del nostro Paese..
Per questo abbiamo bisogno di punti fermi di riferimento che abbiamo individuato nella centralità dell’essere umano, con i suoi doveri e i suoi diritti; nella Costituzione Repubblicana Italiana e nelle radici ideali nate dalla Costituzione della Repubblica Romana del 1849.

Oggi siamo appunto qui per fare memoria della Proclamazione della Repubblica Romana.

In questo momento di crisi della finanza mondiale, della politica e dell’economia nazionale, in questa Italia ove da anni la Costituzione e’ oscurata dal malaffare, dalla corruzione, dal camaleontismo politico, assume maggior rilievo la straordinaria stagione della R.R. del 1849, dei suoi valori  e delle sue finalita’. Gli ideali della R.R. non sono finiti 163 anni fa ma, paradossalmente, potrebbero essere  il nostro futuro

Dall’analisi dei documenti del gennaio 1849 che l’Associazione culturale Gruppo Laico di Ricerca ha messo a disposizione nelle conferenze  degli ultimi anni, si percepisce con maggiore evidenza la grandezza di quel momento storico e degli uomini che lo hanno animato.
Risulta infatti evidente la volontà, da parte dei Costituenti, di rivoluzionare lo Stato della Chiesa con segnali e provvedimenti importanti, come l’abolizione della pena di morte, l’abolizione della censura, l’abolizione del tribunale del sant’uffizio, della tassa sul macinato, l’abolizione del monopolio del sale, oltre all’istituzione del matrimonio civile, del ministero della istruzione pubblica, la riforma agraria,  la libertà di culto  religioso, valida soprattutto per i 3000 ebrei residenti nel ghetto.
Questi e altri provvedimenti furono realizzati in soli 5 mesi, ma soprattutto ci sorprende ancora oggi la volontà, da parte dei Costituenti, di educare il popolo alla sovranità che gli spettava. e di elevarlo moralmente e civilmente, stravolgendo le regole che fino ad allora lo avevano sottomesso per secoli. E proprio dal popolo è arrivata una delle spinte più forti alla realizzazione della Costituente attraverso le grandi adunanze popolari del 12 e del 15 gennaio ai teatri Metastasio e Tor di Nona in cui si propose per la prima volta la Costituente Italiana sulla base di quella Romana. Per cui possiamo affermare con sufficiente certezza che a Roma è nata l’Italia repubblicana che conosciamo, o meglio, che abbiamo conosciuto nel primo dopoguerra, dopo la Resistenza.

Possiamo imparare molto dalla Repubblica Romana ; e forse una delle lezioni più importanti che dovremmo ereditare è la responsabilita’; come, per esempio, sostituire la cultura del fatalismo con la cultura della prevenzione. Noi tutti cittadini dobbiamo essere consapevoli che la nostra azione quotidiana debba servire, con l’esempio, ad educare ed elevare il popolo.

Viva la Repubblica Romana, viva l’Italia

 

 

In questo angoscioso settembre 2011, uniti nella difficoltà di individuare riferimenti politici su cui poter contare per riscattarci dal profondo abisso in cui siamo scivolati, sentiamo la necessità di lanciare dal nostro osservatorio garibaldino un forte grido di allarme e di riscossa.

 Le vicende risorgimentali ci hanno insegnato a riconoscere i segnali inquietanti che l’esercizio del potere, non finalizzato al bene della collettività, trasmette al popolo sotto forma di oppressione politica, ideologica, economica e sociale. Nel periodo pre-risorgimentale, la distanza tra le classi dominanti e la gente comune, che si manifestava attraverso l’operato di una miriade di feudi e centri di potere minori, era ben riconoscibile da tutti,  sebbene le cause che nei secoli ne avevano determinato la formazione fossero attribuite più ad un fatale destino che alla consapevolezza di una reale assenza delle più elementari libertà civili.

 Oggi, malgrado la possibilità di utilizzare sofisticati congegni di comunicazione e d’informazione con i quali poter leggere criticamente la realtà politica e sociale del nostro Paese, ci troviamo paradossalmente in una situazione più complessa di quella pre-unitaria: all’assenza di discernimento che ha portato alla ribalta politica personaggi culturalmente squalificati, si è aggiunta una classe dirigente per lo più corrotta e collusa con il malaffare; i privilegi non sono cambiati, né l’arroganza del potere e neppure i servi e i faccendieri a servizio del sovrano di turno. C’è però una differenza sostanziale, con il passato, che ci costringe a riflettere con più severità sul presente: la nostra incapacità di sottrarci al dominio del denaro, all’uso della mafiosità sociale e ancor di più famigliare, radici d’annebbiamento delle coscienze e generatrici d’egoismo. E’ un problema di educazione e di formazione non ancora risolto.

 Le vicende degli ultimi anni, stracolme di episodi intollerabili d’inciviltà etica e politica, non hanno ancora acceso, nell’Italiano-medio, il sacrosanto diritto alla ribellione per tanto scempio: dal vilipendio alla bandiera alla violazione quasi giornaliera della Costituzione repubblicana; dalle regole infrante della convivenza civile all’assenza di rappresentanti eletti direttamente dal popolo in Parlamento (legge porcellum). E’ triste constatare come l’Italiano-medio,  indignato a parole, si mobiliti solo quando vede il pericolo aggirarsi intorno alle sue tasche!

 Il risveglio delle coscienze sollecitata dal Pensiero di  Mazzini e dall’Azione di  Garibaldi  che infiammarono nel 1848 i cuori di una limitata parte di Italiani, per lo più istruiti e appartenenti alla piccola e media borghesia, sovvertì il dogma del potere dell’uomo sull’uomo, riconducendo la civiltà a equilibri sociali più tollerabili. Potremo noi sovvertire il dogma del potere e del denaro e ridare dignità ad un popolo “calpesto e deriso”, quale oggi siamo diventati ?

Il grido d’allarme è stato già lanciato da una nuova generazione di Italiani; ora non ci resta che farci coraggio e andare alla riscossa !

 

Il 16 Giugno 2011 le Associazioni Gruppo Laico di Ricerca e Garibaldini per l’Italia  hanno guidato, nell’ambito delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, la Fiaccolata commemorativa che si è svolta a Roma sul colle del Gianicolo, per celebrare il 162° anniversario della difesa della Repubblica Romana del 1849. Polizia, Carabinieri e Vigili Urbani hanno scortato il corteo che, partendo dall’Arco dei Quattro Venti (Villa Corsini), all’interno di Villa Pamphili, si è snodato toccando punti nevralgici della difesa di Roma del 1849: Villa Giraud (il Vascello), Porta San Pancrazio, Villa Savorelli, passando per il Piazzale Garibaldi, fino al Sacrario dei caduti per Roma.

 Le celebrazioni del nostro Risorgimento sono prevalentemente retoriche; non solo per la presenza unilaterale degli “addetti ai lavori” che, in sostanza, si auto-celebrano, ma per l’assenza del mondo giovanile e di quello straordinario bagaglio culturale ottocentesco, rimasto sconosciuto a gran parte della popolazione italiana. La “processione laica” del 16 giugno ha invertito questa tendenza, dimostrando che esiste ancora, in nuce, la volontà inconscia di alcuni Italiani di sentirsi membri di una comunità che ha in custodia una riserva immensa di valori, decisivi per migliorare la condizione umana e civile di ciascun cittadino.

 Una “processione laica”, come è stato detto più volte, durante la quale il pensiero e le parole di Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Carlo Pisacane, Pietro Calamandrei, uniti ai nomi di 41 caduti per la Repubblica Romana, sono echeggiati nei luoghi stessi ove 162 anni prima avevano prevalso il fragore delle armi e il lamento dei feriti. Parole e concetti importanti, ancora oggi attualissimi; parole e concetti inascoltati o dimenticati, e per questo ancora in attesa di un popolo che li possa  realizzare compiutamente. Una stagione, quella della Repubblica Romana del 1849, fondamentale per le nostre radici storiche e culturali. Durante il percorso, mentre le strade si svuotavano, come per incanto, dalla presenza delle automobili che pochi secondi prima le avevano affollate  (grazie al sapiente coordinamento delle forze dell’ordine),  un silenzio irreale avvolgeva tutto e la storia fatta da quegli uomini e quelle donne di 162 anni fa tornava a scuotere i pensieri dei partecipanti, a mostrar loro la cruda realtà dei nostri giorni, la realtà di un popolo che non è ancora in grado di far germogliare i semi prodotti dai suoi figli migliori. Mentre la  luna rossa sorgeva a oriente e la lunga fila delle fiaccole accese camminava,  con cadenza di tamburo solenne, verso il Sacrario, riaffiorava per incanto la speranza che univa questo popolo a quello che aveva difeso la Repubblica Romana: la presenza dei giovani e anche di molti bambini.