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Questa pubblicazione a firma di Leandro Mais (apparsa su “Almanacco Maddalenino-Ed. Paolo Sorba-Numero unico-Bicentenario garibaldino 1807-2007″), in cui è riportata una lettera scritta dal Medico e Garibaldino Enrico Albanese e facente parte della collezione dello stesso Mais, costituisce per tutti gli estimatori del Risorgimento e dell’epopea garibaldina una preziosa, duplice testimonianza: da un lato il forte legame che univa Garibaldi ai Garibaldini, come appartenenti a un’unica, grande famiglia; dall’altro, la grandezza dell’uomo che seppe rifiutare onori e ricchezze dopo aver compiuto imprese straordinarie e che, depredato dei suoi beni materiali, seppe vivere comunque con umiltà e dignità nella sua Caprera. Ringraziamo Leandro Mais per averci dato la possibilità di conoscere questa bella pagina di storia e di umanità.
p.m.
Gli storici dell’epopea garibaldina e risorgimentale non hanno dato risalto dovuto alla figura di Enrico Albanese che viene ricordato, in particolare, per essere stato uno dei medici di Garibaldi. E’ opportuno dare un breve cenno dei più salienti episodi della vita di questa bella figura di patriota e del come e del perché si legò per la vita all’eroe, con un sentimento di ammirazione infinita che il duce dei Mille ricambiò fino alla morte.
Enrico Albanese nacque a Palermo il 12 marzo 1834 e da giovane medico partecipò, salvandosi fortunosamente, agli sfortunati moti della Gancia (aprile 1860). Purtroppo non riuscì a partire con i Mille da Quarto ma li raggiunse nella sua Palermo, ormai libera. Come medico e come soldato fu lodato dallo stesso Garibaldi per il suo eroico comportamento a Milazzo, per cui ottenne una medaglia d’argento. Ma l’episodio che legherà il Generale al medico-soldato fu quello infausto e sfortunato, ma glorioso, di Aspromonte. Quando il 29 agosto Garibaldi cadde ferito, tra i primi a soccorrerlo furono Enrico Cairoli, Francesco Nullo e proprio Enrico Albanese. Quest’ultimo, su ordine dello stesso Garibaldi, iniziò l’operazione per estrarre il proiettile. Purtroppo l’intervento del vecchio dottore Ripari (Capo dell’ambulanza garibaldina) bloccò il giusto e tempestivo intervento del giovane chirurgo, condannando l’Eroe a quasi tre mesi di dolori col rischio dell’amputazione del piede destro.
Durante la prigionia di Garibaldi al Varignano (La Spezia), l’Albanese fu scelto, oltre che come medico curante dell’eroe (insieme al Ripari e al Basile), anche come segretario. Dal Varignano, interessantissime sono le lettere scritte alla futura moglie Emilia Ginami e quella alle figlie del Duca Della Verdura (sindaco di Palermo), con la minuziosa descrizione della stanza e degli arredi dove giaceva Garibaldi ferito. Dopo l’estrazione della “regia palla” eseguita a Pisa dal professor Zannetti, Garibaldi tornò a Caprera accompagnato dall’Albanese e dal Basile.
Enrico Albanese non lascerà Caprera – nonostante i suoi impegni professionali in Palermo – se non quando il “suo Generale” tornerà a reggersi in piedi, seppure sulle stampelle (agosto 1863). L’Eroe, commosso dalle amorevoli cure dell’amico medico gli donò, al momento del saluto, la Camicia Rossa1 che egli indossava quel tragico 29 agosto. Solo allora l’Albanese poté chiudere il Diario della ferita di Garibaldi ad Aspromonte, che aveva tenuto giornalmente dalla data del ferimento2. Seguirono le altre Campagne garibaldine:Tirolo (1866) Mentana (1867) che videro sempre la presenza dell’ottimo volontario e dell’infaticabile medico. Ormai il rapporto di amicizia con Garibaldi era divenuto talmente forte che si poteva paragonare all’affetto di un figlio verso il padre. Naturalmente, quando gli impegni della professione glielo consentivano, l’Albanese si presentava a Caprera dal “suo Generale” e trascorreva bellissimi periodi insieme ai fidi compagni d’armi che costituivano la gioiosa compagnia del “Solitario di Caprera”. Un fatto, poco noto, è l’amore per la natura che l’Albanese condivideva con Garibaldi. Fra le tante testimonianze bellissime dell’archivio Albanese (lettere, foto, manifesti, documenti ecc.) vi è, infatti, un quaderno rilegato con la scritta in oro sulla copertina: CAPRERA3. In ogni pagina, l’Albanese ha posto una varietà di fiori e di piante, segnandovi il relativo nome. Cosa commovente, se si pensa che egli non era botanico, ma medico chirurgo! Quel quaderno costituiva per lui un tenero ricordo della bellezza di quest’isola ormai divenuta famosa.
La serena e idilliaca visione di Caprera sfumò il 27 luglio 1874 quando Albanese, chiamato urgentemente dal Generale, ritornò nell’isola dalla quale mancava da sette anni. Lo spettacolo che gli si presentò era talmente tragico da lasciarlo fortemente colpito. Egli trasmise questo turbamento, con parole emozionate fino al pianto, in una lettera inviata all’amata moglie Emilia (in essa, tra l’altro mise, in piego di carta velina, una ciocca di capelli con la scritta “capelli e barba del Generale, tagliati il 27 luglio 1874”. Anche questo cimelio è giunto intatto insieme alla lettera).
Caprera, 27 luglio ’74 – sera
Mia cara Milia,
L’uomo propone e Dio dispone : ecco l’adagio che mi viene sulle labbra guardando la luna e il mare quieto e tranquillo. Ti avea promesso di accompagnarti ai bagni la prima sera di luna piena ed invece sono qui in Caprera, chi di noi due poteva pensarlo allora? Sono le 8 ½ – ognuno si è ritirato nella propria stanza, ed io qui solo pria di cercare riposo sento il bisogno di restare con te un poco: è quattro giorni che sono via di Palermo e nella corsa diabolica accompagnata dalla bufera non ebbi un momento di tempo per restare con te a far quattro chiacchiere. Il giorno di venerdì fino a sera il tempo fu buono, la notte si fece cattivo e ci accompagnò così fino a Civitavecchia dove arrivammo alle ore 2 p. m. del sabato per ripartire subito alle 4. – All’uscire di Civitavecchia i cavalloni venivano su orribilissimi, ed in breve fummo presi da una vera bufera, grandine, lampi, pioggia, vento che parea il finimondo. E questo tempo durò fino a Livorno dove arrivammo con gran ritardo, sicchè ebbi appena il tempo di trasbordare a bordo la “Lombardia” che era pronto a partire per Maddalena. Anche il viaggio per la Maddalena fu infelice, ma sotto la Corsica al riparo dai venti, il mare era più calmo e potei restare per qualche ora sulla coperta. Al mal di mare questa volta si unì pure un fiero ed ostinato dolore di ventre che mi fece scalare la pancia di 4 dita. Alle ore 5 a. m. del 27 siamo alla Maddalena. Un barcaiolo ignoto dalla barba nera si presenta a me, e si mette ai miei ordini, comandato come era dal Generale. Scendo nella sua piccola barchetta e gli chiedo ancora del Generale. Mi risponde secco – Ha la moglie ammalata. Il vento non era finito si fece vela – ed in meno di mezz’ora siamo alla puntarella dove discendo. Sono in Caprera dopo 7 anni di assenza – Tutto è silenzio. Il sole mette fuori il naso dal Teggiolone, mentre io metto il piede nell’isola abbandonata e deserta. Oh! Come tutto è mutato; quei piccoli campi preparati con tanti stenti e con tanto amore dieci anni addietro, ora sono nuovamente pieni di erbe selvatiche, più si va avanti e più la campagna è deserta. Incontro una vecchia cavalla magra – è la Marsala poi due, tre, quattro, otto vacche magrissime – finalmente son presso alla casa le finestre son tutte chiuse a vederla sembra un a tomba, faccio ancora pochi passi ed un uomo della mia statura con un bizzarro cappello in testa, con certi baffetti neri mezzi unti, con lo sguardo incerto come quello di un ebreo mi viene incontro e mi da il ben arrivato. Chi è quest’uomo – sembra un contadino ma si dà l’aria del Maitre d’Hotel , gli rispondo con un buon giorno, e mi conduce in fino nella stanza del Generale che è ancora in letto. Il Generale ha bella cera, esso non è più invecchiato, la barba è ancora mezzo rossiccia e i capelli sono bigi come al ’66. La fisionomia vispa, nutrita è ancora bella, sembra quasi più giovane; mi abbraccia e mi bacia con effusione dicendomi:: “avete fatto da vero amico e non potea dubitare di voi. Vi ho fatto chiamare per la Signora”. La Signora? La Signora è Francesca la balia di Canzio. Essa è li coricata – a lato del Generale, e con essa nel letto vi è un altro bambino a 2 anni circa certo Manlio – è febbricitante da 5 giorni con sintomi un po’ gravi di bronchite – è molto magrito ma ha l’aria tanto buona, e tanto dolce che mi ispira della simpatia. Dopo un momento entra nella stanza un’altra bambina di 7 anni, forte, robusta, con occhi castani vivacissimi mezzo nuda; è la più grande e la chiamano Clelia.
Sto un momento in stanza un po’ confuso della confusione di tutti, faccio le mie prescrizioni e vengo fuori sul piazzale; vedo Basso – Basso è diventato vecchio, ha tutta la barba bianca, mi viene incontro e ci scambiamo un forte abbraccio, come da vecchi amici. “Ebbene”, mi dice, sei qui. Hai veduto? Era per lei! Il dispaccio l’ho fatto io, ma è stato il Generale che vi ha aggiunto la parola subito. Ora sei qui, hai veduto l’isola. Tutto abbandonato, è una fortuna se ci trovi vivi. Siamo tornati agli antichi tempi. Si vive di caccia – io ammazzo una capra selvatica per settimana e questo è il nostro pasto. Non ci sono più soldi, siamo senza provviste, nessuno ci manda più nulla – Menotti, Ricciotti e Canzio hanno tutto consumato, anco l’onore di questo povero vecchio. Ricciotti ha debiti per un milione, Menotti ha cambiali per 400 mila franchi e Canzio che aveva in deposito 160 mila lire che erano la sola ricchezza del Generale, ce le ha mangiate. Ora il Generale scrive, riscrive e guadagna qualche cosa tanto da comprare il pane. Siamo qui, l’isola non si coltiva più – e Fontanaccia stessa è abbandonata, giacchè Lui ha le mani storte e veramente il Generale ha le mani storte dai dolori artritici , e non può lavorarvi, e perché non abbiamo come pagare un uomo per la coltura. Siamo qui soli. Caprera è ipotecata ad un inglese per 300 mila lire per coprire certi debiti di Menotti; domani possono venire a cacciarci via! Questo discorso di Basso mi agghiaccia l’animo. Povero Generale ora sì che sei veramente povero. C’erano i tuoi figli che ti hanno immiserito! Più tardi il Generale mi invita a bere il caffè con lui, e passiamo tutti nella saletta da pranzo. “Si beve il caffè d’orzo, caro Albanese, non so se vi piacerà, ma non abbiamo più caffè neri qui a Caprera. Siamo poveri e vi adatterete a noi, non è vero?” mi dice il Generale, io ho bevuto una tazza enorme di caffè d’orzo, che mi pareva una porcheria, e che pure dissi che era buona eccellente! Finiamo di prendere questo caffè, ed andiamo in Fontanaccia. Il Generale cammina colle stampelle e l’accompagnano i due bambini, quell’uomo che venne ad incontrarmi, che seppi poi essere un vero cognato chiamarsi Antonio, ed un’altra ragazza bellina, che bada ai bambini e che è sorella della Signora. Per la strada nella discesa dell’uliveto, a sinistra, vi è una tomba di marmo bianco, piena di fiori – sulla tomba vi è scritto Rosa Garibaldi nata nel 1859 morta nel gennaio 1871. Fontanaccia è un deserto: le viti non sono zappate, gli alberi vi sono ben cresciuti. “Riposiamo qui all’ombre” mi dice il Generale, “non andiamo più avanti, vi è l’aranceto, non ho core di andare più in là. L’aranceto se lo vedeste, è un cimitero! E veramente tutto fontanaccia sembra un cimitero Cespugli per tutto, alberi sfrondati, viti per terra quasi perdute.” Più tardi si va a pranzo. E’ tutta la capra che fa la festa: capra in umido con cipolla, capra stufata, capra arrosto. Io mangio con fame tutto quanto mi danno, e mi par tutto squisito; vi bevo sopra per buona fortuna un bicchiere di marsala, di quella marsala che io avevo portato con me, ciò che non toglie per altro una pura indigestione e i dolori che son tornati più gagliardi di prima. Dopo pranzo, vaccino il bambino; poi si fa la siesta quindi vado a prendere un bagno e ricomincio sulla spiaggia a cogliere conchiglie e coralli per Manfredo.
La sera si cena: un grosso pollo fa gli onori di casa, mal cotto del quale io non vo mangiare. Di poi nella saletta di pranzo è un gran baccano. La Clelia va a suonare uno stonatissimo organetto, il Generale contento ne scorge nello stonamento che il pezzo è famoso. “Lo sentite?” mi dice, “E’ il barbiere di Siviglia!” A me parea un charivari ma finisce il pezzo rivedo la Signora che ha la febbre molto meno, e ritorno solo nella mia stanza. La mia stanza è a primo piano sulla terrazza, quella stessa che abitammo otto anni addietro – il letto è buono e la biancheria è pulita: Meno male. Solo qui ho pianto, non credeva a tanta miseria. E penso che Caprera ai nostri tempi era ricco terreno, e questo povero uomo era allora un Re! Cara addio. E’ tardi e sono stanco orribilmente. Domani all’alba riparte il corriere e non ho tempo di vedere ciò che ho scritto – addio. Salutami tutti. Le sig.E Nunan di cui specialmente le ragazze, Giannesina, la mamma grande a te a Corrado a Manfredo tanti baci, a te una stretta di core dal tuo sempre
Enrico
Il Generale ti saluta caramente.
Albanese morì improvvisamente mentre si trovava a Napoli per un congresso medico il 5 maggio 1889. Volle, come ultimo desiderio, essere sepolto entro un’urna di granito di Caprera, proprio come il suo Generale. Questo fatto è emblematico della “comunione d’affetti” che legò in un unico sentimento d’amore altissimo il trinomio Caprera, Garibaldi ed Enrico Albanese.
Leandro Mais
1 Oggi questo importante cimelio è conservato, insieme al altri pezzi dell’archivio Albanese, nella collezione dello scrivente
2 Anche questo autografo è conservato nella collezione Mais
3 Quaderno che contiene i fiori recisi raccolti dal Dottor Albanese, nel 1863, prima di lasciare Caprera
di Leandro Mais
A ricordare questa data storica, che segna la prima formazione di quasi tutte le sue parti finalmente unite in un unico regno (alla totale Unità mancava ancora il Veneto e il Lazio) ho pensato di illustrare questo avvenimento con quattro oggetti della mia collezione: due del 1911 e due del 2011.
Il primo oggetto è un bellissimo orologio da panciotto (con catena e moschettone della nota fabbrica svizzera “Roskopf”) appositamente realizzato per il primo 50° del Regno d’Italia e donato ai Deputati del Regno. Nel quadrante anteriore (Foto 1/A diametro mm. 53), al centro in alto, è raffigurata l’aquila sabauda con lo scudo Savoia nel petto; sotto, la data “1861-1911” e, in cerchio, “Ricordo patriottico”. Nel bordo di metallo, in cerchio ed a rilievo, “Cinquantesimo anniversario del Risorgimento – 1861 = scudo Savoia = 1911”. Nel retro (Foto 1/B), sulla calotta metallica e in cerchio: “Ai fondatori dell’Unità Italiana”. Al centro, una grande stella a cinque punte, in ognuna delle quali il busto dei quattro fattori dell’Unità: Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Cavour, Mazzini, più quello di Enrico Cialdini. Al centro della stella la scritta in tre righe: “L’Italia / farà / da se” (frase detta dal Re Carlo Alberto nel 1848). Sotto, un’aquila con lo scudo Savoia nel petto.
Il secondo oggetto, di natura popolare, è una scatola (Foto 2) in metallo (mm. 280 x H mm. 167 spessore mm. 105) per cioccolatini artisticamente decorata e a colori, con i ritratti di Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi e Mazzini. Al centro due tondi con, a sinistra, lo stemma della città di Torino e a destra quello di Roma. Sopra questi due stemmi un nastro tricolore con la scritta in due righe ”Cioccolato” / “Risorgimento”. Sul lato della scatola è presente la scritta “Società / anonima italiana cioccolato ed affini / Torino”. Le illustrazioni che decorano questo oggetto lo fanno (quasi certamente) datare al 1911 ovvero al primo 50° del Regno d’Italia.
Prima di descrivere gli altri due oggetti del 2011, 150° del Regno, è necessario un chiarimento. Se la data del 1911 è quella del primo 50° del Regno d’Italia, quella del 1961 dovrebbe essere, di conseguenza, quella del primo centenario sempre del Regno d’Italia e non come è stata ufficialmente dichiarata dell’”Unità d’Italia”. Di conseguenza nel 2011 si è celebrato il 150° della “così detta” Unità d’Italia, e quest’anno, 2021, ne ricorrerebbe il 160°.
Ciò premesso vengo a descrivere gli altri due oggetti del 2011: il primo oggetto è una scatola di biscotti (Foto 3) della ditta Lazzaroni di Lainate (Mi) (metallo mm. 283 x mm. 182 x H mm. 60) a ricordo del 150° dell’Unità d’Italia. Questa data (come abbiamo suddetto di fantasia) segue ad altro errore nella scelta della illustrazione stampata che riproduce l’ingresso di Garibaldi a Napoli il 3 settembre 1860 e non 1861, come scritto a destra dell’illustrazione.
Il secondo oggetto è un ricordo per il 50° delle prime Fiat 500 (1961-2011 Foto 4/A) Entro scatola di cartone a tre lati ed il quarto trasparente (cm. 14 x cm. 9 x H cm. 10). Al centro un modellino metallico di una “Fiat 500” di color rosso (cm. 6,5 cm. 2,6 x H cm. 3) alla cui destra è presente una riproduzione metallica a colori di Garibaldi (cm. 2 x H cm. 4), tratta dal quadro di Gerolamo Induno (Foto 4/B). In questa riproduzione nella parte superiore è stata stampata la scritta in quattro righe: “Qui si fa l’Italia o si muore – 150° anniversario Unità d’Italia 1861-2011. Sul fianco destro della scatola (Foto 4/C): “Giuseppe Garibaldi – Lo sbarco delle Mille 500 rosse – a Marsala 11 maggio 1860 – 150° anniversario Unità d’Italia 1861-2011”.
Credo che questo oggetto sia quello che contenga il numero più alto di errori, di cui qui appresso elenco:
(Foto 4/A) La Fiat è nata nel 1961 e quindi anche se per un anno non coincide con tutto ciò che riguarda lo sbarco di Garibaldi a Marsala (1860)
(Foto 4/B) La frase “Qui si fa l’Italia o si muore” fu detta da Garibaldi durante la battaglia di Calatafimi del 15 maggio 1860; quindi anche questa seconda frase non ha alcun riferimento al 1961
La frase “150° anniversario Unità d’Italia / 1861-2011“ ancora una volta ripete l’errore di UNITA’ D’ITALIA e non REGNO D’ITALIA
(Foto 4/B) “Giuseppe Garibaldi” Il nome dell’Eroe alla fine di questo scritto risulta come se fosse l’autore di tutto ciò che è scritto sopra, mentre andava posto sotto la prima frase.
(Foto 4/C) Per quanto riguarda la scritta sul lato destro della scatola, gli errori in essa contenuti sono stati già esaurientemente illustrati.
1A 1B 2
3 4A 4B
4C
Studiando il Risorgimento e in particolare l’epopea garibaldina, siamo sempre più consapevoli che il vero e autentico impulso finalizzato alla realizzazione dell’unità d’Italia sia da ricercare nel sacrificio offerto dal volontarismo popolare – guidato da quell’uomo straordinario che fu Giuseppe Garibaldi – per realizzare l’ideale di unificazione della Patria comune. La storia ci insegna, dunque, che dal sacrificio può nascere un bene superiore.
I secoli XIX e XXI ci appaiono come periodi storici apparentemente molto lontani, soprattutto per l’accelerato sviluppo tecnologico di questo iniziale terzo millennio che ha generato l’ascesa incontrollata e generalizzata di un capillare e globale materialismo. La velocità del cambiamento ha determinato, come sappiamo, una non pari evoluzione dell’umanità in senso etico; squilibrio che ha provocato e sta provocando disastri ambientali e biologici di portata epocale.
Malgrado ciò, e proprio in questo momento pandemico così difficile, ci è offerta la possibilità di cambiare; cambiare stile di vita nella direzione di un vero progresso, non più fondato sullo sviluppo incondizionato e sullo sfruttamento incontrollato di risorse ormai in fase di esaurimento, ma orientato al rispetto degli equilibri naturali che stiamo da tempo sovvertendo. Perché da questa situazione nasca un bene superiore dovremmo dunque sacrificarci, in modo serio e consapevole, rinunciando, questa volta, a privazioni assai minori.
p.m.
di Paolo Macoratti
E’ curioso come l’attualità di avvenimenti di cronaca, come la tragica morte dell’uomo di colore George Floyd, avvenuta a Minneapolis, nello Stato del Minnesota (USA) il 25 maggio 2020 ad opera di alcuni poliziotti assassini, e le conseguenti proteste, violenze e nuove uccisioni, peraltro non ancora esauritesi, possa dare lo spunto a talune persone, rispettose della storia risorgimentale del nostro Paese, di intraprendere una iniziativa che porti alla pubblica attenzione il nome di un altro uomo di colore caduto a Roma il 30 Giugno 1849, nell’intento di difendere la Repubblica Romana dall’assalto dell’esercito francese: Andrés Aguyar.
Per George Floyd, per la crudele morte subìta, resa ancor più tragica dalle immagini pubblicate sulla rete, si è scatenata l’indignazione di mezzo mondo, ma anche una serie di azioni contro monumenti e statue di uomini del passato finalizzate a mantenere alta l’attenzione dei media sull’irrisolto problema del razzismo, piaga mai sanata completamente. Uno di questi movimenti internazionali è il Black Lives Matter.
Ed ecco qui la mossa audace e “garibaldina” di Matteo Manenti, da sempre impegnato nella difesa dei valori fondanti la nostra Costituzione repubblicana e attivo per il bene della comunità e l’assistenza ai più deboli: coinvolgere il movimento romano dei Black Lives Matter nella “costruzione” di una statua e non nel suo abbattimento! Quale migliore occasione per proporre al Comune di Roma di dedicare ad Andrés Aguyar, unico garibaldino di colore (l’altro si chiamava Costa, scomparso in Uruguay) un’”ERMA” al Gianicolo? Da qui la petizione per la raccolta firme alla Sindaca Raggi (da cliccare a fine articolo).
Chi era dunque Andrés Aguyar? Era stato fedele compagno e devoto di Garibaldi e Anita in Montevideo, seguendoli nei loro viaggi e nelle loro battaglie, insieme alla Legione Italiana. Era tanto entusiasta degli Italiani che non volle abbandonarli alla loro partenza per l’Europa nel 1848. Racconta Giuseppe Garibaldi:” Andrés Aguyar era una di quelle paste d’uomini che natura formò per essere amati. Tranquillo, buono, freddo al pericolo, era prevenente per tutti coloro che sapevano destare la sua simpatia. Il suo colore era il puro nero ebano, senza miscuglio; colore che vale il biondo ed il bruno delle diverse razze europee. Aguyar era di forme atletiche e perfetto cavaliere (non di quei ridicoli cavalieri, di cui son sempre piene le quarte colonne dei giornali ufficiali e che non si sa per che diavolo siano stati creati cavalieri,) ma cavaliere nel vero senso della parola, cioè di coloro che, quando inforcano un cavallo, v’innamorano per la leggiadria ed il garbo con cui si lanciano e si posano in sella. Egli era nero, ma non africano; nato nella campagna di Montevideo da genitori africani, possedeva la vetustà delle forme caratteristiche del creolo. Destinato sin dall’infanzia a domare i cavalli nella estancia del general Aguyar – di cui i parenti del nostro nero erano schiavi, poi liberati dall’avvenimento della Repubblica – ,egli aveva passato tutta l’attiva sua gioventù in quell’arduo e marziale maneggio. Domatore di cavalli, non era strano ch’egli fosse perfetto cavaliere. E chi ha percorso l’America meridionale ricorderà che gran parte dei domatori appartengono alla razza nera, certo indebitamente per tanto tempo disprezzata e manomessa”. (Brano tratto da “La vita di Giuseppe Garibaldi – Gustavo Sacerdote Milano 1933)
VIDEO andresaguyar.mp4
PETIZIONE https://tinyurl.com/ydyrmdlv
La storia si fa con i documenti. Una novità per i simpatizzanti dell’epopea garibaldina e un materiale utile per i suoi detrattori. Ringraziamo Leandro Mais per questo ulteriore contributo.
DOPO NOVANTAQUATTRO ANNI SI RICOSTRUISCE IL CARTEGGIO “LANDI – GARIBALDI”
Una fortunata circostanza ci permette di poter disporre (il caso è veramente raro) dello scritto di Michele Landi (Bologna 1° ottobre 1861) figlio del Generale Francesco Landi, e la risposta (Caprera 1° novembre 1861) di Garibaldi.
Il carteggio si riferisce alle accuse che erano state rivolte al Generale Landi, comandante delle truppe borboniche sconfitte dai Mille di Garibaldi nella battaglia di Calatafimi, riguardanti sia l’inefficienza nel coordinamento delle sue truppe, sia un presunto incasso di una polizza di credito che avrebbe ricevuto dal Banco di Napoli come ricompensa per aver favorito l’avanzata di Garibaldi.
Della prima lettera sappiamo che faceva parte della collezione del grande storico Giacomo Emilio Curatulo. Essa fu acquistata, con tutti gli altri pezzi della collezione garibaldina, dal Museo del Risorgimento di Milano. Questo documento si trova pubblicato alle pagine 210/212 del volume “Scritti e Figure del Risorgimento Italiano”, con documenti inediti. (Emilio Curatulo – Ed. F.lli Bocca, Torino 1926 (vedi foto 1,2,3,4,)
Nel Vol. VI dell’Epistolario di Giuseppe Garibaldi 1983, a pag. 184 n° 2207, è riportata la risposta di Garibaldi, della quale però è citata solo la pubblicazione del Campanella. Sarà gradito sapere, ai lettori, che questa lettera fa parte della mia collezione garibaldina; il testo, vergato da Enrico Albanese e autografato dall’Eroe, è pubblicato a pag. 50 n° 10M nel libro “Giuseppe Garibaldi in 152 lettere e documenti autografi”, a cura di Paolo Macoratti e Leandro Mais – Ed. Garibaldini per l’Italia – Roma 2016. Di questa lettera si riporta la trascrizione.
Leandro Mais
10 M – Al figlio del Generale Landi – Testo scritto da Enrico Albanese e firma autografa di Garibaldi
Caprera 1° Novembre 1861
Mio caro Landi,
ricordo di aver detto nel mio
ordine del giorno di Calatafimi – : che
non avevo veduto ancora soldati
contrari combattere con più valore;
e le perdite da noi sostenute in quel
combattimento lo provavano bene.
Circa i quattordici mila ducati
ricevuti dal vostro bravo Genitore in
quella circostanza – potete assicurare
gl’impudenti giornalisti che ne insulta_
no la memoria, – che 50 mila lire era
il capitale che corredava la prima
spedizione in Sicilia – e che servirono
ai bisogni di quella – non a comperar
Generali. -
Sorte dei Tiranni!.. – Il Re di
———————————————–
Napoli doveva soccombere! – Ecco il
motivo della dissoluzione del suo esercito.
- Ma vostro padre a Calatafimi e nel-
la sua ritirata su Palermo, fece il
suo dovere da soldato! -
Dolente in quanto avete perduto,
vogliate presentarmi alla vostra fami_
glia come un amico e credermi con
affetto. V.ro
G. Garibaldi
di Leandro Mais
I miei amici lettori saranno particolarmente curiosi di sapere quale sia il nesso che collega tra di loro i tre soggetti del titolo di questo mio articolo. Eppure l’unione dei tre nomi dovrebbe essere abbastanza nota in quanto la Francia è stata per i due celebri personaggi italiani la Nazione che è entrata, seppure in maniera differente, nella loro vita. Tutti infatti sanno che il grande genio italiano ha voluto chiudere in terra francese la sua eccezionale esistenza: moriva infatti il 2 maggio 1519 nel castello di Cloux ad Amboise, fra le braccia del Re di Francia Francesco I. Il nostro più grande eroe del Risorgimento, Giuseppe Garibaldi, aveva invece avuto il destino di nascere il 4-7-1807 in terra francese, ovvero a Nizza Marittima e, seppur suddito del grande Napoleone I, è bene ricordare che la sua famiglia, come molte altre, volle rimanere di nazionalità italiana.
Premessi pertanto questi importanti dati sulle due grandi figure storiche italiane, mi sembra giusto fare un po’ di luce chiarificatrice sul collegamento che ha stimolato la mia curiosità intorno ai fatti che legano i due personaggi alla terra di Francia. Il filo conduttore di questa ricerca e delle descrizioni che seguono hanno come base di partenza il francobollo. L’indiscusso valore documentale di questo antico e ormai scomparso adesivo di tassa postale mi ha permesso di costruire la “cronaca” delle due diverse commemorazioni in terra francese, celebrate in onore dei suddetti personaggi italiani.
15 aprile 1452/1952, 500 anni dalla nascita di Leonardo da Vinci. In questa occasione la Repubblica francese emette un francobollo da F. 30 (foto 1) dedicato al grande genio italiano; non solo, ma questo francobollo commemorativo reca il seguente annullo (foto 2): “Amboise 9 juil 1952″. Da notare che Amboise era la cittadina ove il grande genio morì, e non dove nacque. Ciò premesso, andiamo a vedere cosa viene invece commemorato, sempre in terra francese, ai 500 anni dalla morte, ovvero il 2 maggio 2019: solamente l’incontro nel castello di Cloux ad Amboise tra il Presidente della Repubblica francese Macron e il Presidente della Repubblica Italiana Mattarella, senza che l’evento sia stato valorizzato almeno da un ricordo filatelico del luogo ove morì il grande Leonardo.
Per quanto riguarda invece Giuseppe Garibaldi, il grande condottiero italiano del Risorgimento, la “sorella” Francia non ha mai emesso su di lui alcun ricordo di natura filatelica, anche se credo sia giusto rilevare un interessante riferimento di natura postale. Già dal 1941 l’ufficio postale di Nizza, sito in Piazza Garibaldi, recava la dicitura “Nice-Garibaldi” – Vedi annullo meccanico (foto 3) – e anche una raccomandata del 6-8-42 (foto 4) con bollo tondo “Nice Garibaldi”, nonché la stessa dicitura nel talloncino di raccomandata. Il fatto veramente particolare, poi, è quello che riguarda la commemorazione dei 200 anni dalla nascita dell’eroe. Notiamo infatti nel dispaccio navale speciale per Nizza (foto 5) che l’annullo ha la data del 4.7.2007/La Maddalena e bollo di arrivo “06 Nice Garibaldi/4.7.2007/Alpes Maritimes”. La novità importante è data dall’annullo figurato che la Francia ha apportato non come bollo di arrivo ma come annullo speciale figurato sul francobollo francese (foto 6). Queste cartoline recano a destra in alto il francobollo commemorativo italiano da 0,65 € per i 200 anni della nascita dell’eroe, e annullo speciale che riproduce la vignetta del francobollo; in basso, su francobollo francese da 0,60 €, il bollo speciale figurato (busto di fronte di Garibaldi). Ho voluto brevemente accennare a come siano stati ricordati, in terra francese, questi due grandi italiani attraverso la documentazione ufficiale di quel piccolo e meraviglioso, purtroppo non più esistente, adesivo: il francobollo
Come ultima notizia (sul tema Francia – Garibaldi) è da ricordare che quest’anno ricorre il 150° anniversario del generoso intervento di Garibaldi e delle sue più valorose camice rosse in difesa della nuova Repubblica contro l’invasione prussiana. I francesi, stretti in un durissimo assedio dai tedeschi in Parigi, risposero organizzando un ponte di comunicazione col territorio libero mediante la costruzione di palloni aerostatici (Ballon-Montè) la cui partenza veniva effettuata settimanalmente nella Piazza Tuilleries. Da notare che ogni pallone era intitolato ad illustri personaggi della storia passata e recente; ad uno di questi venne dato il nome di “Garibaldi”. Questi aerostati servivano per trasportare, oltre l’accerchiamento tedesco, la corrispondenza, carte topografiche, ordinanze varie, ecc.. La corrispondenza non recava, per motivi di tempo, il nome del “Ballon”, ma per identificarne il nome bastava controllare la data di partenza. La corrispondenza riguardante il “Ballon Garibaldi” è datata dal 19 al 22 ottobre 1870, come risulta da un documento dell’epoca con le varie date. L’esemplare che qui allego (foto 7) è un piccolo cartoncino che reca il bollo “Paris/20 ott 70″. Per completezza d’informazione ricordo che questo “Ballon”, nonostante fosse stato colpito dalle fucilate dei prussiani, riuscì ad oltrepassare l’accerchiamento e a consegnare quasi tutto il materiale trasportato. Un altro ricordo del “Ballon Montè Le Garibaldi” è una rarissima medaglia ricordo in piombo (O mm 28) nella quale sono riportati i vari materiali trasportati (foto 8 e 9).
Nel salutare caramente tutti gli amici di questa Associazione garibaldina, colgo l’occasione per ricordare che il 20 settembre prossimo si celebrerà il 150° anniversario dell’entrata dei bersaglieri a Roma, che da quel giorno divenne la capitale d’Italia finalmente tutta unita.
Una mente razionale, abituata a considerare reale solo ciò che viene percepito dai cinque sensi, avrebbe classificato la storia che ha portato al ritrovamento dello Scudo di Garibaldi come “un raro colpo di fortuna”. Ma la successione degli avvenimenti e la dinamica temporale degli stessi, quasi fossero propedeutici alla costruzione del risultato finale, distraggono la mente dal razionale per portarla inevitabilmente verso il mondo ancora misterioso delle coincidenze.
Qualche anno fa, durante uno dei frequenti incontri avuti con Leandro Mais, membro Onorario della nostra associazione e appassionato collezionista di una importante raccolta su Garibaldi e sui garibaldini, venivo a conoscenza di un fatto singolare accaduto nel 2002, in occasione della pubblicazione, in una rivista di Palermo specializzata in fotografia, di un articolo firmato da uno specialista, amico dello stesso Mais, sul fotografo palermitano dell’800 Giuseppe Incorpora. Poiché l’Incorpora era stato il primo, nel 1878, a fotografare lo Scudo di Garibaldi (All. 1), lo specialista aveva deciso di recarsi al Museo del Risorgimento di Roma, ove era conservata l’opera, per scattare una foto direttamente all’originale, e poi pubblicarla. Al suo ritorno dal Museo, l’amico aveva riferito al Mais che lo Scudo non era più in mostra in quanto alcuni ignoti ne avevano asportato l’altorilievo centrale raffigurante la testa di Garibaldi! Pertanto, nell’articolo, era stata riprodotta la vecchia foto eseguita dall’Incorpora, proveniente comunque dalla collezione Mais. Questa era la sola versione esistente del fatto, visto che la stampa non aveva riportato alcuna notizia dell’eventuale denuncia di furto presentata dal Museo del Risorgimento alle forze dell’ordine.
L’opera d’arte era stata donata dal Popolo Siciliano a Garibaldi l’11 maggio 1878 e, da quest’ultimo, ceduto al Comune di Roma nel 1879. L’11 giugno 1882, in occasione delle onoranze che il Comune aveva reso all’Eroe, lo Scudo era stato posto su di un carro celebrativo, accanto a varie corone di fiori (All. 2). In seguito, se ne era potuta ammirare la bellezza all’ Esposizione Italiana di Torino del 1884, sezione industriale e artistica (All. 3) e, sempre a Roma, in quella Garibaldina del 1932, nel cinquantenario della morte del grande condottiero (All. 4).
Il prezioso oggetto si ripresenta sulla scena, in una forma del tutto inconsueta, sul finire del mese di ottobre del 2019, quando decido di attraversare la città per andare a tagliarmi i capelli a casa di un barbiere ultraottantenne, del quale sono stato cliente fedele per decine di anni, e dal quale continuo a recarmi saltuariamente, per amicizia, anche dopo il suo abbandono della professione. Dopo le rituali operazioni di taglio, l’amico, conoscendo la mia appartenenza a una Associazione Garibaldina, mi segnala che un negoziante di antiquariato da cui si reca ogni tanto per l’acquisto di piccoli oggetti d’epoca, ha sottoposto alla sua attenzione un pezzo di rara bellezza, propostogli, a sua volta, da un privato che ne è in possesso e che vuole vendere: uno scudo metallico, variamente decorato, con al suo centro una piccola scultura raffigurante la testa di Garibaldi. E aggiunge, inoltre, di non essere interessato all’eventuale acquisto, sia per l’alto costo (ottomila euro), sia perché il tema dell’opera potrebbe essere apprezzato solo da un estimatore del periodo risorgimentale. Mentre ringrazio per il pensiero, immagino come possa essere questo oggetto, senza preoccuparmi di collegarlo alla storia descritta precedentemente. Il primo dubbio, però, mi assale quando il barbiere, approfondendo la descrizione trasmessagli dall’antiquario, ne mette in evidenza il diametro, mimandolo con l’apertura delle braccia e asserendo che l’oggetto può essere spostato solo con la forza di due persone. Quest’ultimo particolare suscita in me la curiosità di vederlo, almeno in foto. Fingendomi interessato all’acquisto, chiedo all’amico di farmi inviare dall’antiquario, sul mio telefono cellulare, l’immagine dello Scudo.
Dopo qualche giorno senza comunicazioni né immagini, ripongo nel cassetto della dimenticanza oggetto, offerta e curiosità, fino al momento in cui, invitato a casa dei coniugi Mais, colgo l’opportunità per raccontar loro brevemente il fatto. Questi ultimi, certi che non si tratti del famoso Scudo, di cui conoscono la storia, compresa quella della “decapitazione”, condividono la mia curiosità, momentaneamente accantonata. Passano pochi minuti. Mentre siamo intenti a parlare d’altro, arriva inaspettata sul mio cellulare l’immagine che avevo precedente richiesto, inviatami, anche se con ritardo, dall’antiquario. A questo punto è facile immaginare sorpresa, stupore e incredulità nel riconoscere in quell’oggetto proprio lo Scudo di Garibaldi: integro, bellissimo e soprattutto identificabile in base all’immagine d’epoca del famoso fotografo siciliano Incorpora, posseduta dal Mais, e attraverso la descrizione tratta dall’articolo di un giornale d’epoca. Scudo integro, dunque, e non “decapitato”! Il fatto meritava un serio approfondimento (All. 5).
Decido dunque di contattare nei giorni seguenti l’antiquario per prendere un appuntamento e recarmi con lui a casa del privato, e vedere finalmente l’oggetto. Deciso il tutto, ci rechiamo nel giorno e nell’ora prefissata da un anziano ingegnere (poi risultato architetto) il quale, senza indugio, ci porta nella sua cantina e da qui estrae, aiutato dall’antiquario medesimo, uno scudo metallico circolare, policromo, molto pesante. A questo punto ogni dubbio svanisce: mi avvicino all’oggetto con trepidazione, e accarezzo la testa dorata dell’Eroe pensando che sicuramente anche Lui lo avesse fatto, in segno di ammirazione per la perfezione e bellezza dell’opera scultorea. Avevo portato con me la descrizione minuziosa dei simboli e delle incisioni praticate sullo Scudo e la loro collocazione nella ripartizione dei vari settori (All. 6); le ritrovo tutte, quelle incisioni, dai nomi dei Mille a quello di Anita, da Rosolino Pilo a Vittorio Emanuele II, emozionandomi insieme all’antiquario che inizia per la prima volta a comprendere l’unicità e l’importanza dell’oggetto che gli era stato proposto per una mediazione di vendita.
Chiedo all’ingegnere delucidazioni circa la provenienza dell’opera d’arte; lui mi risponde di aver lavorato per molti anni al Museo del Risorgimento di Roma come responsabile degli allestimenti delle mostre, e di aver ricevuto lo Scudo dall’allora Presidente dell’Istituto del Risorgimento, nel frattempo deceduto, in cambio di lavori eseguiti e mai liquidati! Chiedo allora, anche se non dovrei farlo, vista l’assurdità della sua risposta, se ci sia un documento che possa in qualche modo attestare questa dichiarazione. Naturalmente no! A questo punto chiedo all’ingegnere se il Direttore del Museo (lo stesso dirigente che aveva raccontato all’amico di Mais la storia del furto), sia a conoscenza di quanto asserito, ma ho da lui ancora una risposta negativa. Vedo se si riesce a uscire da questa situazione imbarazzante: propongo allora all’ingegnere, che accetta, di telefonare il giorno successivo al Direttore del Museo per informarlo della sua volontà di far rientrare lo scudo al Museo. Da parte mia avrei verificato, tramite l’antiquario, se l’operazione fosse stata puntualmente eseguita. Dopo una settimana, non ricevendo notizie, chiamo l’antiquario che mi informa dell’avvenuta telefonata tra l’ingegnere e il Direttore del Museo: costui gli avrebbe intimato di riportare subito lo Scudo nella sua antica sede storica. Trascorsa ancora una settimana senza notizie, temendo a questo punto che alle parole non fossero seguiti i fatti, e che lo Scudo potesse volar via, persino all’estero, decido di confidare il tutto al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Roma – Gianicolense, che conosco da una ventina d’anni. Il Comandante comprende subito l’importanza del caso e nel giro di 48 ore, prima convoca me alla Stazione dei CC per ascoltare, alla presenza di alcuni funzionari del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, da lui stesso convocati, la storia dello Scudo di Garibaldi e del suo “miracoloso” ritrovamento; successivamente si reca con gli stessi funzionari a casa di Leandro Mais che confermerà, non solo l’importanza documentata dello scudo, ma anche la storia dell’ormai famosa “decapitazione”.
Il resto è cronaca che si può ritrovare nel Comunicato Stampa dei Carabinieri apparso sulle principali testate giornalistiche italiane. Attualmente lo Scudo è in custodia del sopracitato Nucleo T.P.C. dei Carabinieri.
Con rispetto assoluto delle indagini in corso, che si spera possano far luce completa sulle responsabilità degli attori di questa storia e di quelli ancora sconosciuti, deputati al controllo del materiale custodito nei depositi dei Musei e non esposti, mi auguro che lo Scudo di Garibaldi, che l’Eroe aveva donato generosamente alla città di Roma, possa essere collocato nella sala più visitata dal pubblico del complesso dei Musei Capitolini, con una targa che ne illustri la vicenda storica, artistica e umana, e una riga finale dedicata alla sua scomparsa dal Museo Nazionale del Risorgimento di Roma e del suo funambolico ritrovamento avvenuto nel 2019.
Paolo Macoratti (Presidente Ass. Garibaldini per l’Italia)
Carissimi amici, mi permetto di far seguire a quanto illustrato dall’amico Presidente qualche notizia su questo “ritrovamento”, per la parte relativa alla mia collaborazione. Il sottoscritto ha semplicemente resi noti tutti i dati riguardanti la documentazione storica della preziosa opera di Antonio Ximenes. La medesima è stata consegnata ai Carabinieri del Reparto Tutela Patrimonio Culturale durante la visita al mio domicilio. Ciò premesso, mi resta solo da sottolineare negativamente quanto segue: Il comunicato stampa cui ha fatto seguito la pubblicazione in varie testate di giornali (con molti errori) del ritrovamento dello Scudo da parte del suddetto Reparto T.P.C. non ha fatto alcun cenno alla fattiva collaborazione dei due cittadini. Questa precisazione valga solamente, da parte mia, come realtà dei fatti; per il resto sono contento di aver operato negli interessi della collettività.
Leandro Mais
(le immagini 1-3-4-6 provengono dalla Collezione Mais)
Il documentario dal titolo “Combattente per la libertà e donnaiolo”, prodotto da “pretv” e “berlin producers”, in coproduzione con “2DF”, “ORF” e “Federal Ministry Education, Science and Research”, trasmesso in lingua tedesca e inglese, ha voluto ricostruire la vita di Giuseppe Garibaldi con l’aiuto di un cospicuo impianto scenografico, di documenti cinematografici e interviste a studiosi del Risorgimento Italiano.
Se il risultato finale dell’operazione fosse stato proporzionale alle risorse messe in campo, avremmo forse avuto di Garibaldi e della sua vita un’immagine, se pur condensata in 52 minuti di trasmissione, certamente degna della sua fama. Invece, salvando l’eccellente fotografia, abbiamo dovuto costatare la pessima scelta degli attori che avrebbero dovuto interpretare la nobile e intensa figura dell’eroe dei due mondi, oltre ad assistere all’inspiegabile costruzione di una scena in cui un Garibaldi sud-americano in tenuta semi-adamitica invita Anita a sparare con una pistola contro la croce posta sul campanile di una Chiesa! Ma ciò che colpisce di più è stata l’enorme carenza di informazioni a livello storico, incredibilmente escluse dal racconto in luogo di episodi minori (Bronte) e di una morbosa attenzione alla vita privata del Generale, già d’altronde preannunciata nel titolo del documentario. Tra le tante omissioni, clamoroso l’approfondimento sulle poche vittime garibaldine (30 circa) della battaglia di Calatafimi senza neppure citare quella di Milazzo, con i suoi centinaia di caduti garibaldini (800 tra morti e feriti).
Non conosciamo quale sia stato lo scopo di questa operazione, ma restiamo perplessi di fronte a una tecnica di rappresentazione che ha “utilizzato strumentalmente” i brevissimi interventi degli studiosi del Risorgimento (ivi compreso il pronipote dell’eroe) per screditare un grande e glorioso personaggio della storia italiana e mondiale. Con Garibaldi si sono oltraggiati quanti, a rischio della propria vita, lo avevano seguito nelle varie campagne per l’indipendenza italiana. Si può avere un facile riscontro di questa strumentalizzazione valutando lo spazio vocale riservato al “commentatore fuori campo”: decisamente prevalente rispetto a quello degli intervistati, come risulta dalla trascrizione di Monica Simmons, qui sotto riportata, e dal link del filmato nella versione in inglese.
Paolo Macoratti
FILMATO AUSTRIACO (Versione inglese) – https://vimeo.com/327569974/f28415acca
COMBATTENTE PER LA LIBERTA’ E DONNAIOLO
Giuseppe Garibaldi, un eroe di guerra per la libertà dell’Italia.
FULVIO CONTI (storico)
Garibaldi è l’uomo che ci ha unito. Garibaldi per decine di anni ha combattuto per unificare l’Italia. E in Italia è riverito come se fosse un santo. Occorre distinguere quanto è riuscito a realizzare e quanto di tutto questo è mito.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
Garibaldi ha una parte bella e una parte oscura. Era un rivoluzionario che manipolava i media.
SILVIA CAVICCHIOLI (storica)
In quel tempo la gente era affascinata da Garibaldi.
COMMENTATORE
Era un maschio che era tutto per le donne.
LUCY RIALL (storica)
Ha avuto tante storie d’amore che rasentavano il patologico per il numero di donne che ha avuto.
COMMENTATORE
Era un campione, nel suo tempo, che anticipava i diritti politici della donna. Un uomo di tante contraddizioni.
COMMENTATORE
Montevideo 26 marzo 1842
Anita e Giuseppe Garibaldi, il giorno dopo la loro prima notte di matrimonio.
Era stato condannato a morte in Italia come rivoluzionario e aveva fatto la stessa cosa in sud America. Anita era nata in Brasile e aveva appoggiato la rivoluzione contro la dinastia imperiale. Dopo tre anni vissuti nel peccato si erano sposati. Anita era l’amore della sua vita. Anita aveva seguito il marito in battaglia contro l’oppressione da parte dei sistemi politici dell’aristocrazia e contro la Chiesa. Torniamo in Italia. Chi era veramente Giuseppe Garibaldi? Garibaldi, figlio di un semplice pescatore, era vissuto vicino al porto. Da giovane amava l’avventura, il mare e viaggiare, cose che sarebbero state importanti per tutta la sua vita. Disegnava persino un’onda sotto la sua firma. In Genova durante i suoi anni giovanili aveva partecipato a dei moti rivoluzionari per la costituzione di una repubblica italiana indipendente e per questo era stato condannato a morte in contumacia. Garibaldi scappò da Nizza (1835) per l’America giungendo a Rio de Janeiro dove formò una Legione Italiana e iniziò una nuova battaglia combattendo come corsaro per la repubblica del Rio Grande do Sul (1837). Ci fu una battaglia a Rio della Plata. Garibaldi aveva guadagnato la reputazione di un intrepido combattente nei fiumi, nelle paludi e nelle foreste, reputazione che si era diffusa in tutta l’Europa.
GIUSEPPE GARIBALDI (pronipote)
La battaglia più importante fu quella di San Antonio del Salto. Una piccola forza di circa 190 uomini sono riusciti a sconfiggere qualche migliaio di soldati nemici
COMMENTATORE
Questo eroe sembrava capace di compiere miracoli e qui cominciano ad emergere le prime contraddizioni della sua biografia. Una di queste riguarda la storia dell’orecchio.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
In sud America una delle punizioni per chi rubava i cavalli era quella di tagliare l’orecchio. Garibaldi aveva rubato cavalli perciò perse un orecchio; in conseguenza di ciò si fece crescere i capelli per coprire l’orecchio.
COMMENTATORE
Garibaldi: un ladro di cavalli! Però c’è una versione più eroica
GIUSEPPE GARIBALDI (pronipote)
Garibaldi non perse nessun orecchio: era una voce che girava. Durante una battaglia in sud America fu ferito nel collo un po’ sotto l’orecchio, passando sotto la gola; soffrì moltissimo, ma non perse mai un orecchio.
COMMENTATORE
Qual’é la versione giusta, visto che le sue orecchie erano sempre coperte?
Ci sono molte leggende e contraddizioni nella biografia di Garibaldi: si narra che avesse partecipato a 67 battaglie e più di duecento duelli. La sola sua presenza poteva influenzare i suoi nemici ad arrendersi. Sorprendentemente questo incredibile uomo era alto solo 1 metro e sessantatre centimetri
COMMENTATORE
Dopo tredici anni d’esilio Garibaldi ritornò in Patria nel 1848. In quell’epoca Nizza apparteneva al Regno Sabaudo del Piemonte; quest’ultimo divenne poi l’Italia moderna. La violenza delle rivoluzioni del quarantotto aveva infiammato l’Europa. L’Italia era frazionata nel territorio: il Re di Savoia regnava su Piemonte e Sardegna; il Papa regnava e controllava gli stati papali e altri territori erano dominati da potenze straniere: l’Austria dominava il lombardo-veneto e qualche altro ducato; i Borboni spagnoli governavano la Sicilia, il sud e Parma. Nel nord ci furono rivolte contro gli Asburgo che chiedevano l’annessione di questi territori al Piemonte. I Rivoluzionari ebbero il loro primo successo a Milano e l’esercito austriaco fu costretto a lasciare la città. A torino il Re Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria e prese il comando del movimento di unificazione. La sua intenzione era quella di rendere l’Italia uno Stato indipendente sotto l’egida del Piemonte. Garibaldi chiese udienza al Re e gli offrì i suoi servigi. Tredici anni prima quello stesso Re lo aveva condannato a morte; ora lo aveva perdonato.
GIUSEPPE GARIBALDI (pronipote)
Garibaldi avrebbe fatto sicuramente un patto col diavolo pur di raggiungere il suo scopo, condiviso con molti Italiani che lo avevano seguito.
COMMENTATORE
Lo scopo di Garibaldi era quello di unire Roma capitale all’Italia ma il suo approccio fu insolente :”Mi permetta di offrire i miei servigi da Generale”. Voleva essere nominato Generale ma Carlo Alberto non prese la briga di rispondergli e lo inviò in un fronte secondario, perché si aspettava da lui che formasse volontari a Bergamo. Si aspettava che il rivoluzionario professionista americano si facesse valere nella sua Patria. Garibaldi lo fece al Lago Maggiore: con un’azione temeraria catturò due piroscafi usati per fare la spola dalla riva della Svizzera neutrale a quella italiana ed ebbe alcuni scontri con la guarnigione austriaca. La città di Luino è dove Garibaldi affrontò il test. Lui e i suoi uomini si scontrarono con gli Austriaci. Lì si svolse una battaglia e il racconto degli eventi che seguirono è contrastante
CHRISTIAN ORTNER (storico militare)
La battaglia ebbe successi da ambedue le parti. Alla fine gli Austriaci considerarono la situazione giunta a un punto morto. Certamente la situazione era ben diversa alla luce del mito di Garibaldi. Nella testa di Garibaldi questo piccolo scontro fu considerato una grande vittoria.
COMMENTATORE
E questa vittoria è la prima battaglia vinta sul territorio italiano; ma politicamente non ha avuto nessun effetto.
Carlo Alberto perse la battaglia contro gli Austriaci: a Custoza i suoi soldati furono duramente sconfitti. Gli Austriaci ripresero Milano e lo Stato Sabaudo capitolò. Un po’ più tardi il Re Carlo Alberto abdicò e fu rimpiazzato da suo figlio Vittorio Emanuele II. Il passaggio di V.E. al trono e gli sforzi di Garibaldi sono strettamente correlati. La rivoluzione del ’48 esplose a Roma; Garibaldi vide il suo sogno avvicinarsi per la capitale di un’Italia libera. Pio Nono scappò dagli Stati papali e gli venne dato asilo nel Regno delle due Sicilie. Il 9 febbraio del 1849 Giuseppe Mazzini proclamò la Repubblica Romana in Campidoglio. Mazzini aveva due scopi: unificare l’Italia e abolire la monarchia. Le idee repubblicane di Mazzini coincidevano con quelle di Garibaldi; i due uomini avevano bisogno l’uno dell’altro benché fossero lontani dall’essere amici.
SILVIA CAVICCHIOLI (storica)
La distanza tra i due si vede nel loro approccio nel modo di operare. Garibaldi nel 1849 pensava che l’unica maniera per raggiungere l’unità e la liberazione dell’Italia dovesse realizzarsi con le armi.
COMMENTATORE
Mazzini pensava che la soluzione dovesse raggiungersi pacificamente attraverso una Costituzione repubblicana basata sulla libertà di stampa e della Chiesa.
MARA MINASI (storica)
Fu una Costituzione esemplare di un altissimo profilo giuridico. Si riconosceva da tutte le parti essere una effettiva, moderna e progredita costituzione per il diciannovesimo secolo in Europa.
COMMENTATORE
Più tardi, un secolo dopo, le norme basilari della Costituzione di Mazzini furono incluse nella legge italiana ancora vigente. Ma la Repubblica Romana fu una costruzione fragile perché mancava un solido apparato difensivo dell’esercito . Si aspettava da Garibaldi che ne costituisse uno.
MARA MINASI (storica)
Garibaldi aveva con sé 400 uomini ma molti altri lo raggiunsero attratti dal suo carisma. Le descrizioni dei suoi contemporanei lo raffigurano con una criniera come quella di un leone e gli occhi chiari che mandano scintille.
COMMENTATORE
Come leader di questo esercito rivoluzionario si insediò nel suo quartiere generale sul Gianicolo, una collina sopra la città, da dove guiderà la sua prima battaglia contro la Chiesa cattolica.
Dal suo esilio il Papa voleva restaurare il suo Regno. Gli Austriaci venivano dal nord, i Borboni dal Sud, gli Spagnoli dall’Ovest. I Francesi avevano portato con loro un’artiglieria molto avanzata. Dopo l’arrivo dei Francesi Garibaldi si rese conto che per tenere Roma si doveva confrontare con una forza superiore e sarebbe stato impossibile. Comunque nella pineta del Gianicolo condusse una battaglia senza speranza; 800 dei suoi uomini morirono. Negli ultimi giorni di Giugno del 1849 Garibaldi combatté con disperazione resistendo a Villa Spada, suo ultimo quartier generale. In quel momento critico arrivò Anita da Nizza.
SILVIA CAVICCHIOLI (storica)
Alessandro Dumas nella biografia di Garibaldi descrive il drammatico arrivo di Anita. Garibaldi rimase alquanto sorpreso; l’abbracciò e poi disse ai suoi: “Vi presento mia moglie; abbiamo un altro combattente tra noi”. Ma in realtà niente di tutto questo è vero perché Anita non era in condizione di partecipare alla battaglia; in quel momento era incinta e soffriva di una grave forma di malaria.
COMMENTATORE
Dopo due mesi di dure battaglie i Francesi riuscirono a prendere Roma in favore di Pio IX. La repubblica di Mazzini collassò. Garibaldi lasciò Roma in fretta affrontando un viaggio tortuoso verso l’Adriatico, a causa delle condizioni della moglie. Nell’autobiografia, Garibaldi ha glorificato le circostanze della sua fuga con una splendida descrizione di sua moglie. Anita indossava la camicia della Legione, pantaloni da uomo e stivaloni di un cuoio scintillante. Le chiese di tagliare i capelli per sembrare un uomo.
SILVIA CAVICCHIOLI (storica)
Ancora una volta è stato enfatizzato l’aspetto virile di Garibaldi per sottolineare le sue virtù morali e il coraggio indomito.
COMMENTATORE
Ma la fatica era troppo grande per lei; infatti l’8 agosto 1849 morì vicino a Ravenna.
LUCY RIALL (storica)
Per spiegare questo, è importante sapere che in Italia l’idea di un martire era incredibilmente importante nelle rivoluzioni. Questo permetteva ai rivoluzionari italiani di fare appello ai cattolici; e questo era il linguaggio che i cattolici capivano.
SILVIA CAVICCHIOLI (storica)
L’idea era quella di spiegare che il sacrificio e il martirio di Anita lo fosse anche di Garibaldi. In qualche modo la morte di Anita è stata interpretata come il sacrificio di Garibaldi.
COMMENTATORE
I Fascisti italiani si sono riappropriati di questo mito; Benito Mussolini ha fatto erigere una statua di Anita a Roma dedicata a una donna che ha sacrificato la sua vita e del suo bambino per la Patria di suo marito.
LUCY RIALL (storica)
Quando Anita muore io credo che Garibaldi fosse sinceramente distrutto. Se si leggono le sue lettere e quello che ha fatto in seguito si capisce che Garibaldi soffriva realmente.
COMMENTATORE
Garibaldi per cinque anni abbandonò l’Italia e viaggiò negli oceani del mondo, godendosi la sua indipendenza. Nel 1855 ritornò in Italia e grazie ad una eredità comprò metà dell’isola di Caprera. Lì Garibaldi costruì una villa bianca in stile sud americano. Niente era cambiato nella scena politica italiana. Mentre i preti condannavano i rivoluzionari senza Dio, molte donne andavano a Caprera per venerare questo carismatico ribelle. Una di queste era Esperance Von Swartz
SILVIA CAVICCHIOLI (Storica)
Esperance aveva alle spalle due matrimoni, un figlio, ed era ricca. Colta e raffinata, scrittrice e giornalista, parlava molte lingue. Era quindi inevitabile che queste due personalità si incrociassero.
COMMENTATORE
Esperance supportò Garibaldi anche economicamente. In cambio le fu concesso di scrivere, prima di Dumas, una biografia di Garibaldi. Garibaldi chiese varie volte la mano di Esperance -” Sono già stata sposata due volte e non sono fatta per il matrimonio”- ma lo rifiutò sempre. Garibaldi aveva difficoltà ad essere rifiutato e così trovò consolazione altrove. Nove mesi più tardi, la sua cameriera Battistina Ravello diede alla luce una bambina; comunque Garibaldi non era presente alla nascita.
Ancora una volta esplosero combattimenti nel nord Italia. Nel 1859 Garibaldi sconfisse gli Austriaci nel Ferrarese. Fu un anno turbolento per lui.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
Si può dire che la sua vita privata, senza dare un giudizio troppo severo, sia stata caotica. Nell’estate del ’59 si era follemente innamorato di una giovane donna, Giuseppina Raimondi, ma allo stesso tempo chiese la mano di altre due donne alle quali dichiarò il suo amore, mentre continuava il suo rapporto con la Esperance: una tedesca, una sua amica, e la contessa italiana Maria Della Torre. C’erano donne da tutte le parti e dichiarava amore a tutte.
COMMENTATORE
In ultimo la diciottenne Giuseppena Raimondi figlia di un nobile che possedeva grande quantità di terreni, cedeva agli sforzi romantici di Garibaldi e accettava di sposarlo. Mentre il prete celebrava la cerimonia, uno degli Ufficiali di Garibaldi tentò, in fretta e furia, di comunicargli un messaggio importante; ce l’avrebbe fatta a consegnarlo? Troppo tardi! Garibaldi rimproverò l’uomo per la maniera impropria di interrompere la cerimonia ma seppe qualcosa che avrebbe dovuto sapere prima della cerimonia: Giuseppina Raimondi era incinta. Il padre del bambino era uno dei suoi ufficiali. Benché Garibaldi fosse diventato padre di un bambino illegittimo, aveva alte aspettative sulla moralità delle donne. Anni dopo lui scrisse:” Io pensavo di aver sposato una donna nobile invece era una puttana”. Per 20 anni provò invano ad annullare il matrimonio
A questo punto iniziò la fase decisiva dell’unificazione italiana: la Lombardia venne annessa al Piemonte con l’appoggio della Francia e il Veneto rimaneva sotto l’Austria. Per il suo aiuto erano stati donati alla Francia Nizza e Savoia. Camillo Benso conte di Cavour, Primo ministro del Piemonte e della Sardegna, cedette la casa natale di Garibaldi e per questo divenne suo acerrimo nemico.
Poco dopo, nei primi giorni di maggio del 1860, Garibaldi preparò una spedizione per la Sicilia che si può considerare storica, con una forza di oltre mille uomini per insorgere contro i Borboni Spagnoli. L’intento di Garibaldi era quello di appoggiare gli insorti con lo scopo di realizzare l’unità d’Italia iniziando dal profondo sud. Garibaldi con la sua spedizione di volontari approdò a Marsala. Questo leggendario esercito in inferiorità numerica si confrontò con un esercito di 20.000 soldati. Garibaldi aveva bisogno di un miracolo, oppure l’aiuto di potenze straniere.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
L’’esercito britannico svolse un ruolo importante per questi mille volontari: aiuto economico e protezione. Due piroscafi aspettarono di sbarcare mille volontari garibaldini; due navi da guerra inglesi gli permisero di entrare nel porto, proteggendoli in questa maniera dagli attacchi della Marina Borbonica.
FULVIO CONTI (storico)
L’esercito britannico aveva l’interesse strategico di creare un Regno italiano e considerava i Borboni Spagnoli nemici. Garibaldi godette di un importante aiuto britannico.
COMMENTATORE
Gli Inglesi controllavano il commercio dei vini di Marsala e non erano affatto contenti che i Borboni applicassero alti dazi. Ma gli Inglesi sapevano che un altro prodotto siciliano era più prezioso del vino: lo zolfo. L’isola soddisfaceva l’80% della richiesta globale di zolfo. In quel tempo, lo zolfo, insieme a sale e carbone erano i componenti essenziali per la produzione di polvere da sparo.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
L’importanza della solfatara di allora era paragonabile a una miniera di uranio di oggi: tutte le importanti industrie belliche lo usano.
COMMENTATORE
Dopo l’arrivo di Garibaldi sulla costa occidentale, le sue truppe avanzarono verso Palermo. Molti volontari dei vari villaggi incontrati sulla loro strada lo raggiunsero. In particolare squadre di “Picciotti”, ragazzi che oggi sono considerati mafiosi di bassa lega. A Salemi, più o meno sulla loro strada, Garibaldi si auto-dichiarò Dittatore dell’isola. Comunque, come rivoluzionario, aveva rigettato sempre qualsiasi titolo di autorità.
GIUSEPPE GARIBALDI (pronipote)
Malgrado Garibaldi fosse socialista, era repubblicano, un po’ monarchico, un po’ fascista, perché si era auto dichiarato dittatore delle due Sicilie.
COMMENTATORE
Un po’ più tardi le sue truppe si radunarono su una collina vicino a Calatafimi dove si scontrarono con un esercito due volte superiore per numero. Pare che qui Garibaldi abbia con emozione dichiarato il grido di battaglia “Qui si fa l’Italia o si muore!”. Ci si aspettava che le future generazioni di studenti avessero imparato a valutare questa battaglia. Il film “Viva l’Italia” ha raccontato la saga dell’eroe. I Borboni tenevano la cima della collina. La situazione era disperata per Garibaldi. Malgrado ciò le camice rosse attaccarono e furono immediatamente respinte. E poi la sorte cambiò. Con un coraggio inimitabile i Garibaldini iniziarono una controffensiva costringendo i Borboni a ritirarsi. E’ verità o finzione? Un monumento molto dimenticato commemora questa simbolica battaglia. Andare a vederlo è molto istruttivo. Per cinquant’anni Gerolamo Amato ha custodito questo memoriale; lui stesso fornisce un’introduzione in questo luogo sacro della storia della fondazione d’Italia. Questa lapide è dedicata agli uomini caduti; qualcosa salta fuori subito: mentre varie migliaia hanno partecipato a questa battaglia, pochi sono morti qua.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
I morti in battaglia furono 12 però il conto visivo era di 30 e non necessariamente avevano partecipato attivamente alla battaglia stessa. Per esempio, uno morì di tetano dopo essere stato ferito, perché un suo compagno, per fermare il sangue, lo aveva tamponato con una moneta. Un altro fu ferito nella parte inferiore del braccio e il chirurgo l’aveva cucito in modo provvisorio; mentre con passione suonava la fisarmonica per celebrare la battaglia, i punti si sono aperti e lui è morto dissanguato. Questo uomo è contato come caduto a Calatafimi benché fosse morto due giorni dopo, e così altri 18 in circostanze simili.
COMMENTATORE
Il guardiano Girolamo racconta la storia in modo diverso rispetto ai testi scolastici e al film:
“C’erano 6.000 Borboni e circa 3.000 garibaldini. Si suppone che ci fossero state frodi e corruzione. Un anello d’oro fu offerto al Generale dei Borboni Landi dicendogli che valeva 14.000 ducati. Landi lo prese e diede ordine ai suoi di ritirarsi. Questo gesto fece vincere la battaglia a Garibaldi. Ma al generale Landi la cosa non gli andò bene. L’anello valeva solo 14 ducati. Quando Landi andò in banca per prendere i soldi, ebbe un infarto, morì di dolore”.
Girano delle storie su Garibaldi, che usasse sistematicamente la corruzione. Un suo scrigno conteneva alcune donazioni di Massoni Inglesi e Nord Americani. Gruppi di donne inglesi avevano raccolto fondi per il loro eroe e allestito dei banchi di vendita. Ci sono prove che quei fondi siano stati raccolti per finanziare la spedizione dei Mille senza sapere poi per cosa siano stati usati. Si suppone che le ricevute siano state inviate dalla Sicilia a Torino ma questa nave affondò vicino Capri e nemmeno piccoli pezzi del relitto furono trovati. Questo ha dato adito a speculazioni fino ad oggi e cioè che una esplosione intenzionale abbia distrutto la nave con tutti i suoi documenti.
Tra i seguaci di Garibaldi c’erano giornalisti e corrispondenti di guerra che lo veneravano. Una di questi giornalisti era l’inglese Jessie White Mario, membro di una famiglia facoltosa, che raccontava storie di guerra e affari sociali. Come infermiera aveva accompagnato Garibaldi in quattro campagne
LUCY RIALL (storica)
Durante le sue battaglie Garibaldi dedicava sovente spazio di tempo per lavorare con i giornalisti per cui, piuttosto che lasciarli mentre saliva la penisola, lasciava indietro metà del suo esercito.
COMMENTATORE
I corrispondenti di guerra si occupavano di una grande quantità di servizi d’intelligence; un corrispondente ungherese diede a Garibaldi informazioni strategiche decisive circa le posizioni dell’esercito dei Borboni vicino a Palermo
LUCY RIALL (storica)
Garibaldi era particolarmente abile a trovare la posa per i fotografi e ad essere fotografato, così da permettere una larga diffusione della sua immagine.
COMMENTATORE
Grazie ai giornalisti, al suo team di pubbliche relazioni al servizio d’intelligence, Garibaldi riuscì a bypassare l’esercito borbonico e guadagnare le colline a sud di Palermo senza opposizione. Palermo era davanti a Lui. Nella città di Palermo, ad oggi, il nome di Garibaldi occupa un posto speciale.
Il mimo Coticchio con il suo spettacolo di burattinaio anima la figura di Garibaldi. In uno di questi spettacoli teatrali, una scena ben conosciuta è quella nella quale la notte prima dell’attacco Garibaldi con il suo generale Bixio guardando dall’alto la città di Palermo, dice:” Bixio, o a Palermo o all’inferno”. Per Garibaldi Palermo non fu un inferno. Le sue truppe marciarono verso il Ponte dell’Ammiraglio; velocemente riuscirono ad occupare tutti i posti strategici della città. Si suppone che le camice rosse di Garibaldi siano passati per questa strada (inquadratura di una strada)
UNA PALERMITANA
Garibaldi è venuto da qui ma solo con il permesso della mafia.
COMMENTATORE
Garibaldi stabilì il suo quartier generale al Palazzo Pretorio. Da quel balcone giurò che avrebbe resistito. Per tre giorni si scatenò l’inferno a Palermo; i soldati Borbonici rimasero intrappolati nelle strade strette e nelle piazze. La gente aspettava questa rivoluzione e urlava :”I topi, i topi”. E riferendosi ai Borboni che scappavano, urlavano :”Catturate questi topi con i gatti”. Dopo di che i Borboni si ritirarono verso la fortezza del Castello a Mare, e da lì bombardarono la città.
Nella distante Napoli il Re Francesco II e sua moglie bavarese continuavano a considerarsi i governatori della città. Il bombardamento causò seicento morti; i pionieri della fotografia di guerra hanno fotografato questa distruzione. In ultima analisi i Borboni non riuscirono a riconquistare la città. Qualche giorno dopo il mondo apprese con stupore le notizie sui giornali e Ferdinando Lanza chiese a Garibaldi una tregua; gli Inglesi erano felici di essere utili e a tale scopo misero a disposizione le loro navi ancorate a Palermo per firmare la capitolazione. Le truppe di Garibaldi lasciarono l’isola senza lottare.
LORENZO DEL BOCA (pubblicista)
Solo la corruzione può giustificare che i Garibaldini abbiano lasciato l’isola senza combattere e che i governanti siciliani per risolvere i loro problemi abbiano sposato la causa della rivoluzione. Questa è l’unica spiegazione per capire come questo Regno sia stato distrutto in un tempo relativamente breve. Come poteva essere conquistato senza una battaglia?
COMMENTATORE
Garibaldi divenne così in una notte la massima autorità regale in Sicilia. Questo aumentato potere ha causato uno degli episodi più oscuri della sua biografia. In cambio per aver preso parte alla lotta contro i Borboni promise riforme agrarie ai contadini e i contadini senza terre lo presero in parola. Dopo la partenza dei Borboni, i contadini deposero le armi e occuparono vasti possedimenti terrieri. All’est del monte Etna ci furono dei sanguinosi scontri nella città di Bronte. Delle bande armate incitarono alla violenza; ne seguì una vera caccia all’uomo. I proprietari terrieri e i loro notabili, conniventi con la mafia, furono gettati in strada; i contadini superarono il limite. Nel nome di Garibaldi 15 uomini furono assassinati. Un buon numero di queste vittime era innocente. A quel tempo un enorme possedimento apparteneva ad una donna inglese; la nipote dell’Ammiraglio Nelson gestiva una enorme possedimento intorno alla città. Il suo notaio Ignazio Canata fu portato in istrada, castrato e grigliato vivo su due aste di ferro.
Garibaldi, quando apprese la notizia di questa atrocità, divenne furioso. L’ambasciatore inglese John Goodwin lo informò che queste enormi brutalità erano state consumate sul territorio inglese ed esigé una risposta. All’improvviso il rivoluzionario sociale si trovò in una situazione molto imbarazzante. Da quale parte doveva stare? O dai proprietari terrieri o da quelli senza terreni? Infine ordinò a Bixio di sedare la rivolta dei contadini. Il generale di Garibaldi prese delle misure drastiche in favore dei proprietari terrieri. Bixio diede ordine di allineare 5 di questi sospettati rivoltosi contro il muro della chiesa di Bronte. Ancora una volta pagarono un innocente disabile mentale e un notaio. Nella Regione dove erano avvenuti questi fatti, 37 di quei ribelli furono poi condannati all’ergastolo. Dopo di che la pace fu ristabilita.
Garibaldi dovette continuare la sua campagna senza l’aiuto dei contadini e con 3500 soldati sbarcò in Calabria. Marciò attraverso Reggio Calabria, Cosenza, Salerno e infine giunse a Napoli.
Francesco II e la moglie bavarese avevano capito che il loro tempo stava terminando e il 5 settembre scapparono. Due giorni dopo Garibaldi entrò a Napoli.
Il vittorioso Garibaldi mostrò la sua gratitudine per i fondi ricevuti dagli Inglesi dando istruzioni per la costruzione di una chiesa anglicana. Francesco, che era leale al Papa, aveva sempre rifiutato di attuare questo progetto. Garibaldi stava diventando sempre più spericolato man mano che il suo potere aumentava. In una lettera aperta al Re aveva chiesto le dimissioni di Cavour da ministro del Piemonte e organizzò un plebiscito per l’annessione dell’Italia del sud al Piemonte. Però il Re Vittorio Emanuele II arrivò prima in quanto pensò che Garibaldi avesse ecceduto nell’esercizio della sua autorità. Vittorio Emanuele e il suo esercito cominciò a marciare verso Napoli. A Teano avvenne l’incontro tra i due che fu descritto come un’azione di commando, ma che non fu altro che la richiesta a Garibaldi di ritirarsi dalla sua azione.
SILVIA CAVICCHIOLI (storica)
Questa rappresentazione ci mostra il Garibaldi obbediente, ma la storia è cosa ben diversa. A Teano Garibaldi realizza che la sua campagna è arrivata al termine e quindi ritorna a Caprera molto deluso.
COMMENTATORE
Il combattente per la libertà ritornò con malumore nella sua isola e dal quel momento diventerà un esiliato politico. Mentre cercava di coltivare nel terreno roccioso di Caprera, l’Italia si era unificata senza il suo contributo. Nel 1861 si proclamò il Regno d’Italia e nacque uno Stato. Nonostante ciò, ancora due macchie: il Papa controllava Roma e gli Stati della Chiesa e gli Austriaci il Veneto. In quel periodo con il successo della spedizione dei Mille e dell’eroismo di Garibaldi si produssero soldi. L’album dei Mille, con i ritratti dei partecipanti, simile agli album attuali dei collezionisti, vennero venduti per commemorare degli eventi sportivi. Roma non era ancora capitale d’Italia; Vittorio Emanuele cercava di negoziare una soluzione con l’aiuto della Francia. Ma Garibaldi aveva altri piani. Lui ignorava il clima politico e voleva prendere Roma da solo. Nel 1862 in Calabria raccolse un piccolo esercito mal armato pensando che potesse far miracoli. Il Re Vittorio Emanuele fu costretto a inviare truppe governative per fermare Garibaldi.
FULVIO CONTI (storico)
E’ mia opinione che questo fu un serio sviluppo nella storia d’Italia che merita un appellativo: guerra civile. Ad Aspromonte le truppe rege misero in un angolo Garibaldi e i suoi uomini. Lui fu colpito ad una caviglia e fatto prigioniero.
GIUSEPPE GARIBALDI (pronipote)
Non avrebbe mai potuto immaginare che un connazionale avrebbe potuto sparargli.
COMMENTATORE
Lo stivale col buco è considerato uno dei cimeli più importanti di Garibaldi
Cinque anni più tardi, nel 1867, Garibaldi raccolse una nuova forza di 12.000 uomini per una marcia su Roma. Ma come nel 1848 il papa chiamò in soccorso truppe straniere.
FULVIO CONTI (storico)
Garibaldi cercò ancora una volta di arrivare al fatto compiuto, avendogli consentito il Governo libertà di azione. Nel frattempo fra la Francia e l’Italia fu raggiunto un accordo, ma la valutazione di Garibaldi risultò ancora una volta errata.
COMMENTATORE
Roma o Morte era il suo motto proclamato; in quel momento Garibaldi aveva 60 anni. Comunque i suoi uomini non ce la fecero; il Comandante aveva messo in conto la morte. Garibaldi perse la sua reputazione come guerriero invincibile una volta per tutte a Mentana, alle porte di Roma.
CHRISTIAN ORTNER (storico militare)
Garibaldi fu circondato e quando un esercito rivoluzionario è assediato, l’aspetto tragico è che una parte di questo perde lo spirito patriottico. Garibaldi ebbe grossi problemi a tenere i suoi sodati in linea ordinata dietro di lui. I Francesi erano armati con i fucili Chassepot, le più moderne armi da fuoco in quel tempo in Europa. Gli Chassepot potevano sparare da 6 a 8 colpi al minuto, mentre solo due o tre colpi potevano essere sparati dai caricatori dei fucili garibaldini. Garibaldi doveva guidare i suoi, armati di fucili antiquati, mentre venivano decimati. Finalmente nel 1870 le truppe francesi si ritirarono da Roma, in quanto erano richieste per la guerra contro la Prussia. Lo scopo di fare di Roma la capitale d’Italia era raggiungibile. Mentre il Concilio Vaticano primo era in corso, Vittorio Emanuele fece entrare le sue truppe a Roma, che divenne Capitale d’Italia.
Garibaldi aveva realizzato a distanza il suo sogno. Si era totalmente ritirato a Caprera. Dopo che la sua governante Battistina era tornata a Nizza, Garibaldi sposò la sostituta Francesca Armosino
GIUSEPPE GARIBALDI (pronipote)
Francesca Armosino è considerata una donna brutta ma è quello che lui voleva perché si occupasse dei figli di Anita, Comunque Francesca partorì altri tre figli.
SILVIA CAVICCHIOLI (Storica)
In generale il ruolo delle donne in Europa era completamente subordinato agli uomini e il loro ruolo principale era quello di gestire la casa, fare figli e farli crescere.
COMMENTATORE
Garibaldi condusse una vita bucolica a Caprera; chiamò due dei suoi 4 asini come i suoi peggiori nemici: Pio IX e Napoleone III. Lui visse sull’isola secondo il suo ideale per l’Italia: un miscuglio di semplicità rurale e una società senza classi e libertà sessuale, però solo per gli uomini. Sua moglie si sforzò molto di mantenere il mito dell’uomo che si era fatto da solo. Questo costituì anche un affare. Vendeva infatti delle ciocche di capelli del suo eroe e le unghie dei piedi e delle mani. Sebbene alla fine della sua vita avesse svolto il ruolo di patriarca, le sue opinioni politiche circa le donne erano lontane da essere conservatrici.
SILVIA CAVICCHIOLI (Storica)
Garibaldi nel suo famoso discorso d’introduzione sulle sofferenze delle donne, diede questa spiegazione: “non può esistere né modernità né progresso quando metà dell’umanità è tenuta schiava dall’altra metà”. Quelle furono parole molto forti. La sua denuncia della sofferenza delle donne fu formulata nel 1869, e solo 77 anni dopo divenne una legge italiana.
COMMENTATORE
Alla fine della sua vita Garibaldi non sentì il bisogno di lasciare una eredità spirituale; il suo desiderio era di essere cremato e le sue ceneri disperse in mare. Garibaldi morì il 2 giugno 1882 all’età di 75 anni. Il suo ultimo desiderio non fu rispettato. Il suo corpo fu imbalsamato e sepolto a Caprera. Così gli fu impedito di decidere sia in vita che in morte.
Era un avventuriero che voleva realizzare le sue idee politiche. Un uomo che ha combattuto più di ogni altro per l’unità d’Italia.
LA VERA STORIA DELLA MEDAGLIA –PREMIO DEL 1874 A GARIBALDI
di Leandro Mais
In un articolo precedente (www.garibaldini.org/2016/06/garibaldi-agricoltore/)
scritto in occasione della mia decisione di donare alla Casa di Caprera la medaglia premio conferita a Giuseppe Garibaldi per l’esposizione agricola di Sassari del 1874 (che mi era stata venduta molti anni fa), posso con piacere comunicare oggi agli amici – tratta da documenti dell’epoca – la vera storia di questo premio.
Devo alla gentile cortesia dell’amico maddalenino Remigio Pengo l’avermi informato dell’esistenza di un manoscritto, recentemente ristampato a cura dei discendenti dell’autore, di memorie del 1874 (anno dell’esposizione di Sassari) del nobile Pietro de Quesada di San Saturnino di Sassari. Questi fu nella metà dell’800 un grande uomo politico nonché appassionato viaggiatore .
Un capitolo di questa miscellanea di ricordi dei vari paesi della Sardegna si intitola appunto: “CAPRERA-VISITA AL GENERALE GARIBALDI”. Scelta dal Quesada l’isola di Maddalena per passare un periodo di vacanze marine ed avendo lì incontrato il Maggiore dei “Mille” G.B. Basso, il nobile si accordava con lui per una visita al Generale insieme alla figlia ed alcuni amici.
Riporto esattamente il periodo dell’opuscolo che riguarda la suddetta medaglia:
“Essendosi Garibaldi mostrato dispostissimo a secondare il mio desiderio, io trassi dal mio portafogli la cartolina nella quale erano segnati i punti sui quali io dovevo interrogarlo e gli feci le seguenti domande:
D – Generale – ha ella tentato di propagare le patate d’Africa, che sono di una dolcezza singolare e molto farinacee?
R – Il terreno di Caprera è fertilissimo e capace delle migliori coltivazioni come quella che mi indicate. A proposito di patate – ho ricevuto questa mattina la visita del Sindaco di Maddalena – il quale mi ha presentato la medaglia conferitami dal Comitato dell’ Esposizione Regionale di Sassari, tenutasi in quest’anno per le patate da me inviate a quella mostra – medaglia se si vuole, immeritata … immeritata”
Questo scritto ci fa edotti che: 1° la medaglia-premio a Garibaldi fu consegnata al Generale in Caprera proprio quella mattina del 1874 (giugno-luglio?) dal Sindaco di Maddalena – 2° si può con questo per quanto detto stabilire con certezza che la medaglia suddetta si trovava nella Casa del Generale in Caprera.
La notizia storica conferma, a mio avviso, che la medaglia faceva parte dei ricordi esistenti nella Casa del Generale. A tale riguardo faccio notare che delle tante medaglie d’oro offerte al Generale (il sottoscritto ne ha sicuramente individuate n. 7 ) attualmente non ne è presente alcuna.
NOTA – Opuscolo pag. 50 :”Maddalena e Caprera” – Ricordi di Pietro di San Saturnino – Sassari – tipografia Sociale – 1874. Ristampato dal CO. RI. S. MA, senza data
Foto del pronipote dell’Eroe con la medaglia, eseguita il 16 Agosto 2018
Si dice che il realismo degli eventi storici non dovrebbe mai essere messo in discussione dalla congiunzione ipotetica “se”, visto che la concatenazione dei fatti non sarebbe altro che la risultante delle volontà delle singole persone. Di conseguenza sarebbe importante e necessario evidenziare quanto queste volontà abbiano condizionato la vita e il futuro di un intero popolo. La “Trafila” dell’agosto 1849 che salvò Giuseppe Garibaldi da sicura morte, risponderebbe in pieno a tale esigenza.
In occasione delle celebrazioni del 170° anniversario della Repubblica Romana del 1849, su invito del Dott. Giuseppe Chicchi, Presidente della cooperativa di turismo culturale “Terre di Dante” (organizzazione di Ravenna in convenzione con la “Società Dante Alighieri – i parchi letterari”), abbiamo partecipato dal 14 al 17 settembre 2018 a un tour storico-culturale di primissimo livello al quale ha aderito la nostra associazione (Presidente Paolo Macoratti e segretaria Monica Simmons), oltre ai Presidenti delle Sezioni ANVRG di Rimini (Valerio Benelli) e di Rieti (Fed. Reg. Lazio Gianfranco Paris).
Giornalisti provenienti da Milano (Franca dell’Arciprete Scotti- Ambienteeuropa – e Giovanni Scotti – Focus online -) e Padova (Maria Paola Meli – Aeceuropa - e Sergio Sambi – popolo terremotati Aec), oltre a rappresentanti dell’Ass. culturale “L’Airone” di Brescia (Liliana Vilardo, Chiara Macina), hanno completato il gruppo formato da 13 persone e guidato dalla perfetta regia di Attilio Moroni, infaticabile e colta guida delle “Terre di Dante” e artefice dei vari spostamenti sul territorio romagnolo, coadiuvato da Alessandra Borgogelli Ottaviani.
La “Trafila Garibaldina” ci ha dato l’opportunità di visitare e scoprire non solo i luoghi e i personaggi della tragica fuga di Garibaldi, di Anita e dei Garibaldini da Roma nel vano tentativo di Raggiungere la Repubblica di Venezia, ma anche le bellezze naturali, artistiche, culturali ed enogastronomiche di un territorio ricchissimo di storia e di umanità, sede dei migliori valori di una secolare tradizione, sia locale che italiana.
Grazie alla narrazione storica dei luoghi visitati ad opera del Dott. Andrea Antonioli (Direttore del Museo Renzi – Progetto Internazionele “Una rosa per Anita”), del Prof. Ivan Simonini (Presidente Parco Letterario Le terre di dante, del Dott. Maurizio Mari (Società Conservatrice Capanno Garibaldi), del Dott. Bruno Melandri (Associazione Mazziniana di Modigliana), del Dott. Gabriele Zelli (Storico e scrittore), siamo potuti entrare con il cuore e con la mente, anche se per un breve arco temporale, nella vicenda funambolica e drammatica dell’arrivo della Legione Garibaldi a San Marino, del suo disarmo e dell’inizio del tentativo dell’Eroe e di pochi militi rimasti di raggiungere Venezia. Malgrado l’interessante visita di questa antica Repubblica (condotta egregiamente da una guida locale), siamo rimasti sorpresi nell’apprendere dalla Dott.ssa Claudia Malpeli, esperta della Biblioteca di Stato di San Marino, l’assenza espositiva del piccolo museo garibaldino, già presente negli anni passati; fortunatamente, per l’occasione, abbiamo avuto la possibilità di fotografare alcuni pezzi della vecchia esposizione, tra cui l’abito portato da Anita e alcune reliquie di Garibaldi e Ugo Bassi (foto allegate)
Uno studiato itinerario ci ha portato da San Giovanni in Galilea (con visita al bellissimo “Museo Renzi”), a Sogliano (visita alle Fosse Brandinelli e allo straordinario museo della Musica e dell’arte povera); da Cesenatico, ove Garibaldi s’imbarcò con l’esigua legione sui famosi 13 bragozzi, a Ravenna (con visita di S. Apollinare in Classe), proseguendo in barca per l’isola degli Spinaroni (base partigiana della Brigata Garibaldi nel 1944-45). Dal capanno Garibaldi alla fattoria Guiccioli dove morì Anita, abbiamo tentato di immaginare, vedendo i luoghi e “aprendo” i sensi, la terribile angoscia provata dai fuggiaschi, la paura d’essere scoperti, riconosciuti e fucilati. Ci siamo avvicinati, visitando la stanza in cui morì Anita e il luogo della sua momentanea sepoltura, al grande dolore del suo José, nel momento in cui, perdendo tutto, Patria, sposa e madre dei suoi figli, cercava insieme al fedele Capitano Leggero (Giovanni Battista Culiolo) la salvezza dalla pressante vigilanza austriaca, per poi affidarsi, come ci racconta lo stesso Garibaldi nelle sue memorie. “..alla serie dei miei protettori, senza di cui non avrei potuto peregrinare per trenta e sette giorni, dalle foci del Po, al golfo di Sterlino, ove m’imbarcai per la Liguria..“. Infine, dopo aver fotografato i luoghi e le lapidi che ricordavano il passaggio dell’illustre fuggitivo siamo approdati nel paese di Modigliana.
Sempre dalle memorie di Garibaldi :”Poi un prete! Vero angelo custode del proscritto, ci cercò, ci trovò, e ci condusse in casa sua a Modigliana..” E proprio a Modigliana, nel mezzo della famosa Festa dell’Ottocento (con il sostegno culturale e artistico del Vicesindaco con delega alla cultura Dott.ssa Alba Maria Continelli e l’Assessore alle politiche scolatiche e del turismo, Dott.ssa Alice Gentilini), abbiamo potuto conoscere la storia di Don Giovanni Verità e il vero senso della cosiddetta “Trafila”= catena di solidarietà, nata molti anni prima, come ci conferma questo passo di Massimo D’Azeglio del 1845, annotato nei “Miei ricordi”: In ogni paese era un uomo fidato che formava uno degli anelli della catena, ed a questa catena era dato il nome di trafila. Serviva a mandar nuove, precetti, direzioni, lettere e talvolta anche persone, gente costretta a fuggire [...] Un solo anello della trafila che fosse stato traditore, rovinava un mondo di gente:ed è fatto notabile che [...] mai e poi mai la polizia ha avuto il gusto di far conoscenza con uno di codesti anelli della gran catena…” (Club Alpino Italiano – sentiero Garibaldi).
L’ultima tappa di questo percorso storico-culturale della Trafila è stata “Villa I Raggi” nella frazione Colmano di Predappio, dove fu ospitato Garibaldi prima di passare in Toscana. Qui, grazie alla cortesia dei discendenti del Conte Giuseppe Campi, abbiamo potuto gustare il famoso “Sangiovese”, premiato all’esposizione universale di Parigi del 1889
A quelle trecento persone della “Trafila”, di cui cento operative, che si occuparono di portare Garibaldi in salvo, dobbiamo rivolgere con gratitudine il nostro pensiero per aver contribuito in modo sostanziale – visto il seguito dell’epopea risorgimentale – alla formazione dell’unità d’Italia. Durante le celebrazioni del 170° della Repubblica Romana del 1849, ricorderemo questo avvenimento e cercheremo di collaborare con “Le Terre di Dante” per far rivivere questi importanti momenti della storia del nostro Paese a tutti coloro che vorranno condividere questa nuova avventura garibaldina.
Paolo Macoratti
STORIA E RICERCA DI UNA CURIOSITA’ RISORGIMENTALE
di Landro Mais
Fra i tanti oggetti inerenti l’iconografia garibaldina (pitture, litografie, bronzetti ecc. ) molti anni fa ho avuto la fortuna di trovare un “pezzo” non solo curioso ma soprattutto misterioso.
Si tratta di un bel ritratto a colori di Garibaldi in divisa da Generale piemontese del 1859 (Cacciatori delle Alpi). Il fatto “misterioso” ne è la dimensione: un piccolo tondo di appena 6 mm. La seconda cosa “curiosa” è data dalla riproduzione speculare, nel retro, dello stesso piccolo ritratto.
Ad un primo esame pensai subito si trattasse di una miniatura, ma il fatto che il ritratto risultasse anche nel rovescio mi fece desistere da questa idea. Rigirando sul palmo della mano questo piccolo oggetto andavo poi cercando di capire a cosa servisse: per una spilla? Per un anello? Per una catenina? Ma rimaneva sempre “misteriosa” la riproduzione nelle due parti; e poi si trattava veramente di una miniatura? Nel guardare con più attenzione il bordo del piccolo tondo scoprii un fatto nuovo e curioso: l’ultimo bottone a destra in basso era situato esattamente nel bordo ed era costituito da un segmento che attraversava tutto lo spessore andando a costituire il bottone nel retro stesso. Questa prima scoperta mi spinse a ricercare nello spessore le altri parti ove avveniva il cambiamento di colore. Da quel momento capii che non si trattava di una miniatura, ma di altro.
A fare luce completa su questo oggetto misterioso fu un mio caro amico di Milano che sfogliando un catalogo di una mostra che si faceva a Venezia ne trovò la storia . Si trattava di uno dei 4 tipi di ritratti di Garibaldi eseguiti in Venezia dalla fabbrica Franchini nel 1863 attraverso una nuova invenzione di lavorazione del vetro detta “Murrina”. Questa è costituita da un piccolo cilindro del diametro di mm 6 e della lunghezza di circa mm 50, costituito dall’ assemblaggio a caldo di filamenti in vetro colorato secondo un modello preparato precedentemente. Una volta raffreddato, il piccolo cilindro veniva tagliato in tanti piccoli dischetti, per cui il ritratto risultava speculare sui due lati.
Se il mistero di questa nuova invenzione (1863) era stato trovato rimaneva il mistero sempre più fitto del suo utilizzo. Che cosa era? E a che cosa serviva un doppio ritratto così piccolo dell’Eroe e per giunta in divisa sardo-piemontese del 1859, considerando che Venezia sarebbe diventata italiana dopo la guerra del 1866, e cioè 3 anni dopo? A questo punto sono ricorso ai dati storici e al noto sistema usato dai patrioti quando si dovevano recare in un luogo ancora soggetto alla dominazione nemica. Fra i tanti espedienti inventati per essere riconosciuti senza bisogno di lettere credenziali, vi era quella di piccoli oggetti che attestassero il riconoscimento del patriota (l’oggetto era tanto piccolo che anche in caso di qualunque pericolo poteva essere ingoiato). A questo punto posso ancora una volta essere contento di aver svelato a tutti gli amici curiosi delle cose storiche del nostro Risorgimento un particolare fino ad oggi sconosciuto.
NOTA Una serie completa di tutti i 4 tipi di questa rarissima murrina si trova esposta a Londra nel famoso British Museum
UN DOCUMENTO ORIGINALE DELLA NOSTRA STORIA AFFIDATO AI FAMOSI CERAMISTI DI GIEN
Collezione Leando Mais – Roma
Riprese fotografiche P.M.
L’enorme successo dell’impresa dei Mille ebbe anche un’ampia risonanza nella fantasia popolare. Oltre alle varie opere pittoriche dei vari episodi dell’impresa garibaldina nonché le più svariate riproduzioni dei fatti bellici nei libri d’epoca, si ebbe anche una particolare esecuzione degli stessi episodi in oggetti d’arte popolare quali: Bicchieri, brocche, bottiglie, piatti ecc.
Un bell’esempio di quest’arte popolare è la serie di 12 piatti eseguiti dalla fabbrica “G G E C” della cittadina francese sulla Loira: GIEN – nota ancora oggi per la produzione di ceramiche artistiche.
Questa serie di 12 pezzi è molto difficile trovarla completa dato che la sua produzione è coeva ai fatti dell’impresa garibaldina. Ogni piatto (Ø mm 200) ha le seguenti caratteristiche: ceramica bianca con disegni ed ornamenti in blu intenso, bordo ricamato (mm 40) con vari soggetti guerreschi, quali: cannoni, spade, pistole, tamburi, trombe ecc. Al centro una scena dell’impresa (Ø mm 120) con la scritta, nella parte superiore,”GARIBALDI” e, in basso, il titolo della scena in lingua francese; sotto questo il numero del piatto da 1 a 12. Nel retro è inciso nella ceramica la sigla “B 6” mentre nel tondo, in stampa di colore blu, il marchio della fabbrica:”MEDAILLE A L’EXPOSITION UNIVERSELLE DE 1855”. Al centro in due righe:”GIEN / GGEC”.
PIATTO n. 1 “DEBARQUEMENT DE GARIBALDI A MARSALA 11 MAGGIO 1860” – Questa scena dello sbarco a Marsala, seppur riprodotto in maniera molto elementare (da notare la mancanza dei due vapori “Piemonte e Lombardo”, raffigura l’episodio della prima tappa dell’eroica spedizione garibaldina
PIATTO n. 2 “COMBAT DE CALATAFIMI” – La scena della battaglia vittoriosa per le armi garibaldine (15 maggio 1860) è descritta in maniera assai povera in quanto è completamente mancante la presenza dell’esercito napoletano e dei suoi cannoni.
PIATTO n. 3 “L’HEROINE DE CATANE” – Questo episodio di eroismo femminile (Giuseppina Bolognara di Barcellona Pozzo di Gotto, detta Peppa ‘a cannunera’) è in effetti un episodio di sollevazione popolare contro i napoletani avvenuto a Catania il 31 maggio 1860 e quindi non attinente all’impresa dei Mille.
PIATTO n. 4 “BOMBARDEMENT DE PALERME PAR LA FLOTTE NAPOLITAINE” – Questo episodio, avvenuto a fine maggio 1860, è realizzato in maniera approssimativa ovvero da un’unica nave borbonica che bombarda la città (in effetti era tutta la flotta napoletana che faceva fuoco). Nello sfondo della scena è rappresentato il Monte Pellegrino. La città è stata presa d’assalto dai garibaldini di sorpresa il 27 maggio 1860.
PIATTO n. 5 “ENTREE DU GENERAL GARIBALDI A PALERMO” – La scena riprodotta (Garibaldi a cavallo con bandiera, acclamato dal popolo festante) non corrisponde al titolo ovvero “Entrata di Garibaldi a Palermo, poiché questa ebbe luogo il 27 maggio con la sorpresa di Ponte dell’Ammiraglio seguita dai furiosi combattimenti entro la città fino alla resa borbonica avvenuta il 6 giugno. Per cui questo episodio dovrebbe essere inserito prima del precedente.
PIATTO n. 6 “COMBAT DE MILAZZO LE VAPEUR TUKERI FAIT FEU SUR LA CAVALERIE NAPOLITAINE” – Questo episodio illustrato in maniera non proprio esatta in quanto. La corvetta “Tukeri” (ovvero la ex borbonica “Veloce”) fece fuoco dal mare su Milazzo non sulla cavalleria napoletana ma sul Forte di Milazzo dove era arroccata la truppa napoletana: La battaglia di Milazzo avvenne nei giorni 20 -21 luglio 1860. Sarebbe stato molto più noto se fosse stato riprodotto l’episodio del 21 luglio che vide l’Eroe appiedato difendersi a sciabolate contro un nutrito gruppo di cavalleria napoletana dal quale poté salvarsi per il tempestivo intervento di Missori e Statella.
PIATTO n. 7 “ENTREVUE DU GENERAL GARIBALDI ET DU GLE NAPOLITAIN LAETIZIA” – Anche quest’episodio avvenuto il 30 maggio fa parte dei fatti preliminari alla resa e conseguente partenza delle truppe borboniche da Palermo (quindi dopo il piatto 4) . Dopo i cruenti scontri nelle vie di Palermo le truppe borboniche furono costrette a ritirarsi e l’unica rabbiosa reazione fu quella di bombardare dal mare la città. Ma anche questo inumano espediente si rese inutile; e il Comando nemico, nonostante la superiorità delle forze disponibili, decise di venire a patti col “filibustiere” Garibaldi. Quest’incontro (che nel piatto è illustrato sulla riva del porto di Palermo) ebbe successivamente il definitivo accordo delle parti sulla nave Ammiraglia inglese “Hannibal” il cui comandante Mundy si prestò quale neutrale arbitro delle parti.
PIATTO n. 8 “PRISE DE REGGIO EN CALABRE” – In questa scena è riprodotto lo sbarco via mare di Garibaldi e delle sue truppe a Reggio Calabria, la cui battaglia avvenne il 31 agosto 1860. Fu uno scontro sanguinoso a cui prese parte anche il popolo calabrese. Durante la lotta rimase ferito anche il gen. Nino Bixio
PIATTO n. 9 “ENTREE DU GENERAL GARIBALDI A NAPLES LE 7 7BRE 1860” – La scena di questo piatto riproduce l’ingresso di Garibaldi a Napoli in carrozza scoperta con accanto il Col. Cosenz e di fronte a lui Fra Pantaleo. Per esattezza erano presenti anche Nullo e Bertani. Come illustrato nel piatto Garibaldi entrò in Napoli precedendo da solo le sue truppe, acclamato festosamente dal popolo napoletano.
PIATTO n. 10 “COMBAT SUR LES BORDS DU VOLTURNE” – Questa del Volturno è l’ultima e più aspra battaglia vittoriosa delle armi garibaldine: 1 – 2 ottobre 1860. Questa battaglia, per la sua complessa e difficile posizione ed estensione, fu uno dei capolavori di strategia militare del Gen. Garibaldi e dei suoi eroici volontari. Naturalmente la realizzazione dell’ episodio in questo piatto ci da semplicemente la veduta in primo piano di alcuni garibaldini al fuoco; davanti a loro scorre il fiume Volturno.
PIATTO n. 11 “VICTOR EMMANUEL AU COMBAT D’ISERNIA” – Questo episodio dedicato al “combattimento d’Isernia” con la presenza del Re Vittorio Emanuele II alla testa dell’esercito piemontese è errato. Infatti la battaglia per La presa di Isernia da parte dell’esercito piemontese avvenne il 20 ottobre 1860, mentre l’ingresso di Sua Maestà nella città conquistata avvenne il 22 ottobre 1860. Essendo quest’episodio inerente l’esercito regio, non farebbe parte della tematica di questa serie di piatti dedicata a Garibaldi.
PIATTO n. 12 “ENTHOUSIASME DES NAPOLITANES A LA VUE DE VICTOR EMMANUEL “Quest’ultimo piatto della serie “Garibaldi” riporta l’episodio dell’ingresso di Vittorio Emanuele II a Napoli (7 novembre 1860) in forma errata. Tutti sanno che il Re entrò in Napoli in carrozza, accompagnato dal Gen. Garibaldi. E’ molto curiosa questa illustrazione del Re piemontese sul cavallo bianco.
Aggiungo una considerazione in nota critica alla scelta degli episodi riguardanti questa artistica produzione. Considerando la popolarità della celebre Campagna garibaldina del ’60 è da notare la mancanza di famosi episodi. Cito per esempio l’assenza della partenza da Quarto. Nel piatto n. 5, come su detto, sarebbe stato più idoneo illustrare l’ingresso in Palermo sul Ponte dell’Ammiraglio. Del piatto n. 6 ho già accennato alla scena molto più nota che avvenne a Milazzo. Dal piatto n. 7 (incontro di Garibaldi col Gen. Letizia) si arriva direttamente all’episodio della presa di Reggio Calabria (piatto n. 8); qui notiamo almeno la mancanza dell’episodio del passaggio dello stretto o l’arrivo a Melito di Porto Salvo dei due vapori “Washington e Torino”. L’illustrazione del piatto n. 10 poteva raffigurare uno dei più noti episodi della battaglia del Volturno: scontro ai Ponti della Valle. Per quanto riguarda l’illustrazione del piatto n. 11 questo doveva non essere presente ma al suo posto penso che sarebbe stato più giusto mettere il famoso “Incontro di Teano – 26 ottobre 1860”. E’ da tenere presente che questi “errori storici” sono dovuti alla realizzazione dei piatti in tempi quasi coevi all’avvenimento stesso, per cui ne apprezziamo la storicità per il fatto che siano stati realizzati in contemporanea.
Leandro Mais
Giuseppe Garibaldi in 152 lettere e documenti autografi
a cura di Paolo Macoratti e Leandro Mais, prefazione di Mara Minasi; Roma, Garibaldini per l’Italia edizioni, 2016, pp. 312, in 8°, € 25,00.
Il volume, più che un semplice epistolario, è il frutto di una vita di studioso e collezionista di Leandro Mais, unito alla passione di Paolo Macoratti, architetto di professione, impegnato nella divulgazione del mito di Garibaldi come presidente dell’associazione “Garibaldini per l’Italia”.
La raccolta presentata proviene dai due fondi di proprietà di Mais: uno costituito dai pezzi entrati in possesso dello studioso in decenni di ricerca, ed indicato nel testo con la lettera “M”, l’altro è rappresentato dall’archivio Albanese, segnalato con la lettera “A”, recentemente acquistato dallo stesso Mais.
Il volume si apre con due brevi presentazioni dei curatori e una prefazione di Mara Minasi, funzionario direttivo della Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali, seguiti da una breve biografia del medico amico di Garibaldi, Enrico Albanese, e da una sintetica cronologia della vita dell’eroe.
Di particolare interesse è l’impianto dell’opera nel quale la documentazione, costituita fondamentalmente da lettere di Garibaldi ad Albanese e ad altri corrispondenti, è presentata in trascrizione ma affiancata dalle immagini degli originali, permettendo così un contatto diretto con i documenti. I curatori hanno anche precisato quando si trattava di autografi, di singola firma autografa, ed anche della mano di Giovanni Battista Basso, compagno d’armi, amico e segretario del generale.
Il lavoro è presentato in ordine cronologico: la prima lettera è dell’11 novembre 1846, da Montevideo, l’ultima del 20 maggio 1882, a pochi giorni dalla morte. Va detto che la seconda missiva è già del 2 luglio 1855 (da Nizza ad Antonio Origoni) e la terza, da Bologna, è del 29 settembre 1859, alla quale segue un proclama del 22 ottobre; la documentazione prosegue con 5 pezzi del 1860, uno del 1861, 7 del 1862, 15 del 1863, 13 del 1864, 12 del 1865 (di cui due lettere indicate con lo stesso numero “53 A” in quanto nella seconda Garibaldi chiede ad Albanese di bruciare la prima, indirizzata al Re), 13 del 1866, 13 del 1867, 6 del 1868, 8 del 1869, 7 del 1870, 6 del 1871, 2 del 1872, 2 del 1873, 14 del 1874, 12 del 1875, 4 del 1876, 2 del 1877, 3 del 1878, uno del 1879 e uno del 1882, a cui si aggiungono due documenti senza data. Di questi 47 provengono dal fondo Mais e 106 dall’archivio Albanese, incluse le 2 lettere segnalate con un unico numero.
Il volume, oltre alla riproduzione fotografica di tutte le lettere pubblicate, contiene anche un interessante apparato di immagini che presenta personaggi e vicende dell’epopea garibaldina.
L’opera, nel suo insieme, rappresenta un importante contributo alla vita e all’epistolario di Giuseppe Garibaldi, anche per la presenza di molti inediti.
La parte più interessante è sicuramente quella riguardante la corrispondenza con Enrico Albanese, che Garibaldi considerava: “Amico mio di cuore ed intemerato compagno, nella buona e nella cattiva fortuna” (Caprera, 28 dicembre 1868, p. 204). Le lettere mettono bene in evidenza il rapporto affettivo e confidenziale tra i due. Albanese fu un punto di riferimento per i tanti problemi di salute del generale, ma anche l’amico fidato al quale confidare i propri turbamenti, anche politici, al quale rivolgersi per disbrigare diversi affari e per raccomandare reduci ed altri amici. Albanese si occupò anche di far giungere a Caprera, specie in momenti di ristrettezza della famiglia Garibaldi, rifornimenti alimentari, bestiame e oggetti vari; nel 1874 si occupò anche dell’edizione delle Memorie.
Non mancano poi spunti interessanti in molte altre lettere; lo stesso Mais sottolinea, insieme ad altre, quella inviata da Bologna ai siciliani, il 29 settembre 1859, autografa, nella quale già immagina quanto avverrà l’anno seguente: “Dunque la redenzione della Sicilia è la nostra, e noi pugneremo per essa, collo stesso ardore con cui pugnammo su’ campi Lombardi!” (p. 30). Possiamo citare anche quella del 16 febbraio 1863, da Caprera, a Hermann Joseph, presidente del collegio municipale di Lipsia, nella quale ringrazia “della simpatia de’ Germani per la causa dell’Italia e della libertà nell’Italia”. (p. 78), e sottolinea l’importanza della comunione tra i popoli. Per il loro contenuto possiamo anche segnalare, tra le altre, la lettera da Caprera, maggio 1863, alla democrazia spagnola, (p. 86); il proclama ai greci, da Caprera, del 28 ottobre 1866, autografo (p. 166); la nota al comandante Bourras, per l’attacco a Digione, da Barbirey, del 24 novembre 1870, autografa (p. 224). L’elenco potrebbe continuare ma, come scrive Mais a conclusione della sua presentazione: “Lascio al lettore il piacere di scoprire personalmente in tutte le altre lettere quanto di curioso, di particolare offra ognuna di esse” (p. 11).
Romano Ugolini
VIVA LA REPUBBLICA!
..e memoria di tutti coloro che si sono battuti per Lei, dal Risorgimento ai nostri giorni,
..e riconoscenza a tutti coloro che ancora la difendono
Ma il 2 giugno è anche il giorno in cui moriva un grande uomo : Giuseppe Garibaldi. Per ricordarlo, riportiamo due pensieri pervenuti in redazione da Gianni Fazzini e dal Gruppo Laico di Ricerca
“In questa giornata, un ricordo mesto e deferente – ma orgoglioso di Lui e della sua azione – va all’Eroe dei Due Mondi, che è sempre vivo e presente nella nostra Storia e coscienza di Patria.
Il 2 giugno 1882 muore nella sua casa nell’isola di Caprera (Olbia-Tempio Pausania) dopo una breve malattia GIUSEPPE GARIBALDI (74 anni) patriota Risorgimentale condottiero rivoluzionario uomo politico e Padre della Patria. Fu Padre e difensore della Repubblica Romana del 1849.
Noto anche con l’appellativo di “Eroe dei due mondi” per le sue imprese militari compiute sia in Europa sia in America Meridionale è la figura più rilevante ( insieme a Mazzini e a Cavour) del Risorgimento e protagonista controverso dell’unificazione italiana. Lo scrittore francese Victor Hugo ( 1802- 1882) che lo conobbe scrisse di lui:
“Garibaldi cos’è Garibaldi? E’ un uomo niente altro che un uomo. Ma un uomo in tutta l’accezione sublime del termine. Uomo della libertà uomo dell’umanità. ”Vir“ direbbe il suo compatriota Virgilio.”
La popolarità di Garibaldi la sua capacità di sollevare le folle e le sue vittorie militari diedero un contributo determinante all’unificazione dello Stato italiano premiandolo con una popolarità enorme tra i contemporanei – solo a titolo di esempio si possono citare le trionfali elezioni (nel 1860 poi nel 1861 al Parlamento subalpino e poi italiano e nel 1874 eletto deputato del Regno d’Italia) e il trionfo che gli venne tributato a Londra nel 1864. Numerose furono anche le sconfitte fra le quali particolarmente brucianti furono quelle di Roma (1849) dell’Aspromonte (1862) e di Mentana (1867): queste ultime due lo opposero a una parte rilevante dell’opinione pubblica italiana che in tutti gli altri episodi della sua vita lo aveva grandemente amato.
Nonostante la sua profonda stima di Mazzini ( Garibaldi aveva iniziato la sua avventura di patriota subito dopo aver aderito alla Giovine Italia nel 1833) ebbe forti dissidi con lui circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di Casa Savoia: infatti Garibaldi accondiscese a divenire sostenitore della monarchia sabauda ( pur essendo convinto repubblicano) finché questa dimostrasse di credere fermamente nella causa italiana e assumendo la guida dell’esercito piemontese contro l’Austria (1858-59).
Garibaldi pur ritenendo lecita l’uccisione di nemici in battaglia e traditori in tempo di guerra a partire dal 1861 si batté per l’abolizione della pena di morte proponendo varie volte una legge che la abolisse del Codice penale vigente. Un altro grande impegno di Garibaldi fu quello per la pace tra i popoli: nonostante le numerose guerre egli riteneva lecito usare la forza militare solo per liberare le nazioni e difendersi dai nemici manifestando altrimenti una forte convinzione pacifista e umanitaria. Per questo avversò sempre con forza le mire espansionistiche coloniali che da subito animarono il giovane Regno d’Italia affermando che se l’italia avesse tolto la libertà e la sovranità ad un altro popolo egli avrebbe combattuto con lui contro gli italiani.
Garibaldi criticò le misure prese contro il brigantaggio meridionale postunitario dal nuovo governo italiano come l’uso della legge marziale e la feroce repressione nonché la rigida estensione della leva militare obbligatoria piemontese al sud Italia che giudicava controproducente preferendo l’entusiasmo volontaristico che aveva animato i suoi eserciti. Nel 1868 scrisse all’attrice Adelaide Ristori: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale temendo di essere preso a sassate essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.”
Garibaldi fu un grande amante della natura e degli animali: questo grande amore si palesò quando nel 1871 anno nel quale Giuseppe Garibaldi su esplicito invito di una nobildonna inglese lady Anna Winter contessa di Southerland incaricò il suo medico personale di costituire una Società per la Protezione degli Animali annoverando la signora Winter e Garibaldi come soci fondatori e presidenti onorari; oggi la società è nota come Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA). Attualmente l’ENPA è il più antico e importante ente di protezione e salvaguardia animale in Italia. In seguito a queste riflessioni e azioni animaliste Garibaldi divenne quasi vegetariano in tarda età e rinunciò alla caccia (che era stata una sua grande passione fin da giovane) in nome del rispetto della vita degli animali.
Garibaldi fu notoriamente uomo di costumi semplici e quasi vicino alla povertà non avendo mai in alcun modo approfittato in senso personale di vittorie militari e politiche e della fama straordinaria di cui godeva. Cercò di guadare qualcosa per vivere scrivendo libri e con il lavoro agricolo nella sua Caprera e usò lo stipendio di parlamentare per aiutare le famiglie dei reduci dei “Mille” che non avevano ricevuto nessun riconoscimento economico dallo Stato. E soprattutto conservò un forte tratto di umiltà e di rifiuto di apparire come “prima donna“: il 26 gennaio 1875 Garibaldi all’ età di 67 anni è a Roma per prendere possesso del suo scranno in Parlamento come deputato del Regno d’ Italia. Il giorno stesso del suo arrivo giunge a Montecitorio accolto dai deputati della Sinistra con grandi applausi che s’ interrompono solo quando il generale pronunzia il giuramento. Poi chiamato al balcone dell’albergo in via San Nicola da Tolentino dagli applausi scroscianti della folla e infastidito dall’eccessivo entusiasmo pronunciò la famosa frase: «Romani siate seri, seri, seri!».
Il 27 settembre 1880 Garibaldi si dimette dal Parlamento prevedendo la non attuazione dei suoi ideali politici e in segno di protesta si ritira definitivamente a Caprera. Nella lettera di dimissioni dichiara che non intende più far parte dei «legislatori in un Paese dove la libertà è calpestata e la legge non serve nella sua applicazione che a garantire la libertà ai gesuiti e ai nemici dell’ unità d’ Italia… Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero ed in preda alla parte peggiore della nazione.”
Ebbe tre mogli ( tra le quali spicca la prima ANITA GARIBALDI (1821- 1849) e sette figli.
FORZA E ONORE!
Gruppo Laico di Ricerca.
PRESENTAZIONI
Una raccolta di lettere (50 edite, 99 inedite, 3 documenti) autografe provenienti dalla collezione Leandro Mais di Roma, corredata da 106 nomi citati, 80 note biografiche, 59 icone fotografiche, 38 illustrazioni. L’indole fiera e battagliera del patriota, capace di sovvertire il mondo e rimanere fedele ai più alti valori del progresso civile e sociale dell’umanità, in un epistolario inedito in cui emergono le grandi virtù dell’Eroe dei due mondi. Un libro utile per storici e ricercatori, ma anche per politici, insegnanti, studenti e famiglie.
Giovedì 29 settembre 2016, ore 17.00 - Roma, complesso del Vittoriano Ingresso da via di San Pietro in carcere
VIDEO PRESENTAZIONE
https://www.youtube.com/watch?v=4SIenmJvxbA&feature=autoshare
Venerdi 18 novembre 2016 - San Vito al Tagliamento (PN): ore 11.00 Auditorium Comunale e ore 18.00 Antico Teatro Sociale “G. Arrigoni”
Interventi: Dott. Antonio Di Bisceglie (Sindaco San Vito al T.) – Arch. Paolo Macoratti (Presidente Ass. “Garibaldini per l’Italia”) – Dott. Giuseppe Garibaldi (Presidente “Ist. Internaz. di Studi G. Garibaldi”) – Dott. Sclippa Pier Giorgio (Assessore Istruzione Comune San Vito al T.) – Gen. Pio Langella (Presidente Feder. sportiva”Fiamme Cremisi”)
Sabato 17 Dicembre 2016, ore 16.00 – Roma : Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina
Dott. ssa Mara Minasi (Responsabile Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina) - Arch. Paolo Macoratti (Presidente Ass. “Garibaldini per l’Italia”) – Prof.ssa Anna Maria Isastia (Professore associato di Storia Contemporanea - Università “La Sapienza” – Roma)
VIDEO PRESENTAZIONE
https://www.youtube.com/watch?v=Pbyz2wqPNuM&t=276s
https://youtu.be/Pbyz2wqPNuM
PRECISAZIONI CIRCA IL TELEGRAMMA DELL’”OBBEDISCO”
di Leandro Mais
Su questo famoso autografo garibaldino che il giorno 9 agosto compie 150 anni, pensavo di aver chiarito ogni dubbio con l’articolo “Battaglia della Bezzecca: obbedisco! …..Ma la firma non è di Garibaldi” (15.6.2016 www. Garibaldini. Org.) – Nel sito “cultura garibaldina per l’Italia” (nella quale è possibile leggere l’articolo citato) in data 22 luglio 2016, il Sig. Antonino Zarcone dichiara “L’Ufficio storico custodisce il telegramma con cui Garibaldi conferma obbedisco. Stessa firma, Il telegramma è l’originale”
- Che l’Ufficio Storico dell’Esercito conservi il telegramma di ARRIVO A PADOVA con la trascrizione del testo inviato da Bezzecca dall’anonimo telegrafista del R. Esercito era cosa già nota da tempo
- “Stessa firma” (???)
- “Il telegramma è l’originale” -Naturalmente si tratta dell’originale dell’ARRIVO A PADOVA
- “Era firmato perché si compilava e si consegnava al telegrafista” - il telegrafista di Bezzecca riceveva il testo autografo (di Garibaldi) e non lo trascriveva ma lo inviava a mezzo telegrafo (in questo caso al Comando Supremo di Padova dove l’anonimo telegrafista lo decifrava e lo trascriveva di suo pugno). Questo è il documento che tutt’ora è conservato all’Ufficio Storico dell’Esercito.
Lo stampato telegrafico sul quale Garibaldi scrisse di suo pugno il testo e la sua firma risulta già dal 1918 di proprietà del Comune di Roma. Infatti ciò si può vedere nel foglio del 9 agosto del libro-calendario giornaliero (365 fogli) stampato dall’Istituto Arti Grafiche di Bergamo, a cura dell’avvocato Tolla, a beneficio del Comitato Pro Esercito.
Successivamente questo originale fu esposto nel 1932 alla Mostra garibaldina di Roma nel cinquantenario della morte di Garibaldi (Roma Palazzo delle Esposizioni di Via Nazionale; vedi catalogo n° 6159) poi trasferito per volere del Capo del Governo alla sala garibaldina che precedeva quelle dedicate al ” X anniversario della Rivoluzione Fascista ” di Roma; da quest’ultima fu trasferito all’Archivio Centrale dello Stato di Roma (E. U. R), ove ancora oggi è conservato.
Inoltre nel libro “Garibaldi nel cinquantenario della sua morte” – Autori vari – Edizioni di “Camicia Rossa” – Roma 1932 X, sono raccolti diversi articoli riguardanti le gesta militari di Garibaldi. Pubblicato in occasione della Mostra Garibaldina del 50° della morte dell’Eroe, allestita nel mese di giugno in Roma nel Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale (con centinaia di cimeli) è presente l’articolo “Il genio guerriero di Garibaldi” di Francesco Saverio Grazioli (pag. 10), con la foto del telegramma dell’obbedisco (pag. 17); come si può leggere reca, sotto la didascalia, il Museo dove era conservato, ovvero il “Museo del Campidoglio – Roma”
Un altro chiarimento, sempre su questo storico telegramma, è necessario per quanto riportato dal “Secolo Trentino” del 4.8.2016 (pagina della cultura), presenti le pronipoti di Garibaldi, Anita e Costanza, testimoni della cerimonia a Bezzecca: “….L’archivio di Stato di Torino ha concesso negli scorsi giorni il via libera al prestito del telegramma originale redatto da Giuseppe Garibaldi il 10 (sic) agosto 1866 a Bezzecca….” . Da quanto già detto ed appurato possiamo affermare che quello esposto non è il telegramma originale di Garibaldi bensì il testo manoscritto dal Gen.le La Marmora copiato dal telegramma d’arrivo a Padova (conservato nell’Archivio Storico dell’Esercito).
E ancora, dall’articolo del Secolo Trentino: “… nobilitato dalla presenza di Elide Olmeda, pronipote del telegrafista Respicio Olmeda Bilancioni, che a Padova ricevette il telegramma con l’Obbedisco e lo consegnò al Gen.le La Marmora che poi lo diede al Re Vittorio Emanuele II …. ” Questa seconda notizia è stata completamente stravolta nella descrizione del fatto reale. Il garibaldino Respicio Olmeda Bilancioni (vedi foto 5 dell’articolo “Battaglia di Bezzecca : Obbedisco… ma la firma non è di Garibaldi” - lapide murata sulla casa a San Giovanni di Marignano – Forlì), il 9 agosto ( e non il 10) inviò da Bezzecca a mezzo telegrafo la risposta di Garibaldi al Comando Supremo di Padova. L’anonimo militare telegrafista lo trascrisse e, a sua volta, da questo ne fece copia il Gen.le La Marmora per portarlo al Re Vittorio Emanuele II. Questo è quello esposto a Bezzecca in questi giorni, prestato dall’Archivio Storico di Torino.
Per cui riassumendo :
1 – L’originale autografo di Garibaldi da Bezzecca è quello che si conserva presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma
2 – Il telegramma in arrivo a Padova è quello che si conserva presso l’Archivio Storico dell’Esercito – Roma
3 – Copia autografa del Gen.le La Marmora è quello che si conserva presso l’Archivio di Stato di Torino
RITORNA NELLA CASA DI CAPRERA UNA MEDAGLIA-PREMIO CONSEGNATA ALL’AGRICOLTORE GARIBALDI
Il primo giugno 2016 è stata presentata, e il 2 giugno ufficialmente esposta nella casa di Caprera, una medaglia donata a Giuseppe Garibaldi nell’ambito della Seconda Esposizione Sarda agraria industriale e artistica del 1873.
Dalla ricerca effettuata nell’archivio di Sassari, la Dott.ssa Laura Donati ha trovato un documento nel quale è specificata la motivazione del premio assegnato al grande italiano: al “Solitario di Caprera” fu donata una medaglia di bronzo come riconoscimento per aver portato nell’isola “les pommes de terre”, cioè le patate che lo stesso aveva coltivate in Caprera. Questo toccante ricordo ci riporta alla semplicità di vita e alla grandezza dell’uomo Garibaldi.
La bella medaglia, che reca inciso nel retro il nome del premiato, é stata donata dal collezionista Leandro Mais di Roma al Museo di Caprera, pensando che fosse più idonea la presenza di questo originale cimelio nella modesta casa dell’Eroe, piuttosto che in quella della sua collezione.
Giuseppe Garibaldi in 152 lettere e documenti autografi
a cura di Paolo Macoratti e Leandro Mais – Prefazione di Mara Minasi
Una raccolta di lettere e documenti autografi provenienti dalla collezione Leandro Mais di Roma, corredata da 106 nomi citati, 80 note biografiche, 59 icone fotografiche, 38 illustrazioni. L’indole fiera e battagliera del patriota, capace di sovvertire il mondo e rimanere fedele ai più alti valori del progresso civile e sociale dell’umanità, in un epistolario inedito in cui emergono le grandi virtù dell’Eroe dei due mondi.
Un libro utile per storici e ricercatori, ma anche per politici, insegnanti, studenti e famiglie.
Prezzo di copertina € 25,00 + spese di spediz. (1 copia € 3,63 – da 2 a 4 copie € 6,30)
Acquisto con bonifico bancario riferito a: Garibaldini per l’Italia – Unicredit Roma Boccea B
IBAN: IT73Q0200805275000103131663
info@garibaldini.org - Tel. 335 6856880
“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, dicevano i Romani. E anche quest’anno si ripete l’insidiosa bugia che viene sistematicamente trasmessa alle giovani generazioni e a tutti coloro che, ignorando la storia, per carenza d’informazione o per comodo, continuano ad usare impropriamente la data del 17 marzo 1861 come “anniversario dell’unità d’Italia”. Come sappiamo, i nostri veri maestri del Risorgimento, Garibaldi e Mazzini, non erano presenti a quell’estensione del Regno di Sardegna chiamato Regno d’Italia. All’Italia mancavano, nel 1861, il Lazio (ad esclusione della provincia di Rieti), il Veneto, il Friuli e il Trentino. Di quale unità dunque si parla? Giuseppe Garibaldi, eletto con elezione suppletiva deputato di Napoli il 27 Marzo, era a Caprera; il 30 marzo, di fronte ai delegati di società operaie venuti a Caprera a farli onore, così parlò:” Molti degli individui che compongono il Parlamento non corrispondono degnamente all’aspettativa della Nazione… Vittorio Emanuele è bensì circondato da un’atmosfera corrotta, ma speriamo di rivederlo sulla buona via.. Egli ha fatto molto, ma purtroppo non ha fatto tutto quel bene che poteva fare; può fare di più, e lo farà, per Dio!…” (Fonte: G. Sacerdote – La vita di G. Garibaldi).
Questo Paese ha bisogno di radici sane, e queste devono essere riconosciute dai semi buoni della storia, quelli autentici e puri. Si deve aver cura di separarli da innesti pericolosi, quando dominati dall’interesse e dalla cupidigia. Per questo occorre affrancare chi ha operato veramente per l’ unità d’Italia (Mazzini e Garibaldi) da chi se ne è servito per ingrandire una dinastia già esistente (Cavour e Vittorio Emanuele II); si eviteranno così dannose paccottiglie, utili soprattutto a rafforzare coloro che speculano sull’ignoranza del Popolo.
Questo era, ed è il nostro pensiero – Il 17 marzo 2011 lo abbiamo condensato in un volantino (che oggi riproponiamo aggiornato) e consegnato nelle mani dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
VIVA L’ITALIA
di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi
NOI,
RAGAZZI VOLONTARI DEL RISORGIMENTO,
CHE ABBIAMO SOGNATO UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA LIBERTA’, SULLA GIUSTIZIA, SUL PROGRESSO, SULLA SOLIDARIETA’;
NOI,
CHE ABBIAMO OFFERTO LE NOSTRE GIOVANI VITE PER L’ITALIA UNITA, E PER VOI, CHE OGGI GODETE IL FRUTTO DEL NOSTRO SACRIFICIO
OGGI, 17 MARZO 2016
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MANIFESTIAMO UN SENTIMENTO DI INTENSO DOLORE…
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PER UNA PATRIA E UNA DEMOCRAZIA INCOMPIUTE
PER UNA SOCIETA’ CHE TRASCURA IL BENE COMUNE PER SETE DI POTERE E DI DENARO
PER UN POPOLO DISEDUCATO ALLA RESPONSABILITA’, CHE IGNORA L’OSSERVANZA DEI DOVERI E LA DIFESA DEI DIRITTI
PER L’AGONIA DELLA SCUOLA PUBBLICA - UNICA SPERANZA PER LE FUTURE GENERAZIONI
Nel presentare questo documento invitiamo il lettore a riflettere su un argomento di grande attualità: l’accoglienza dello straniero in terra italiana. L’asilo ai rifugiati e l’accoglienza agli immigrati è stato sempre un tema difficile da gestire, sia da parte delle autorità competenti, sia da parte della popolazione residente. Oggi, in Italia, al tentativo di dare una giusta soluzione al problema si contrappone l’azione di alcune forze politiche che, facendo leva sui pericoli della sicurezza personale, o su presunte privazioni dei posti di lavoro, impedisce di realizzare pienamente quell’aiuto solidale che caratterizza coloro che credono nel rispetto della dignità della persona e, più in generale, nel progresso umano.
I contenuti dell’azione garibaldina guidata dall’Eroe dei due mondi, a partire dai suoi esordi e ancor oggi presenti in una ristretta nicchia culturale, non si erano limitati esclusivamente alla realizzazione dell’unità d’Italia, ma avevano contribuito a formare un’identità “altra” del popolo italiano, fondata su saldi principi di solidarietà sociale e umana. Ne sono testimonianza le Società di Mutuo Soccorso nate in tutto il territorio nazionale e il comportamento civile dei reduci garibaldini che ne diedero prova tornando alle loro case dopo strenue e durissime campagne di guerra. Ma ne è testimonianza diretta il – Comitato di lavoro per l’emigrazione polacca, in Palermo – di cui riportiamo testo e immagine, appartenente alla Collezione Leandro Mais di Roma. Il documento è la prima pagina di un elenco finalizzato alla raccolta fondi per sostenere gli emigrati polacchi: in alto a sinistra, primo sottoscrittore Giuseppe Garibaldi, con un contributo mensile di Lire 5.
p.m.
COMITATO DI LAVORO PER L’EMIGRAZIONE POLACCA
IN PALERMO
IL COMITATO DI LAVORO PER L’EMIGRAZIONE POLACCA si propone di raccogliere un fondo per soccorrere mensilmente gli esuli polacchi dimoranti in Italia, non già per dar loro un soccorso infecondo e passeggero, ma nel fine di ajutarli ad imparare un’arte o un mestiere con cui possano ovunque procacciarsi una sussistenza onesta ma sicura.
Il Comitato persuaso che un popolo non deve lasciar morire di fame e di dolore i figli di un altro popolo che battono alla sua porta, è sicuro che gli Italiani risponderanno all’appello, perché non si dica che 22 milioni di popolo furono insufficienti ad ajutare meno di CENTO esuli polacchi che trascinano presentemente una vita oziosa ed infelice in terra italiana.
IL COMITATO ESECUTIVO – E. Albanese; E. Pantano; Prof. G. Monteforte; A. Salpietra; F. Valentini