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La Prima Guerra Mondiale scoppiò quando il secolo XX era iniziato con grandi speranze di pace. Nessuno avrebbe mai immaginato l’immane catastrofe che in breve tempo avrebbe coinvolto i popoli del mondo intero; nessuno eccetto qualche voce profetica fuori dal coro. La profezia, è bene ricordarlo, non è un dono divinatorio, ma la capacità di sintesi che intellettuali di grande spessore culturale riescono a praticare mettendo insieme fatti, esperienze, informazioni storiche e del mondo contemporaneo. Uno di questi fu l’economista russo-polacco Ivan S. Bloch che nel 1898 scrisse l’opera in sei volumi “Modern War and Modern Weapons”, nella quale preannunciò, con motivazioni inconfutabili, gli effetti devastanti che avrebbe causato una guerra moderna, alla luce delle nuove invenzioni tecnologiche. Purtroppo il suo grido d’allarme fu ignorato e il mondo precipitò nell’abisso più nero; un disastro che innescherà il comunismo e il fascismo e creerà i presupposti per lo scoppio della seconda Guerra Mondiale. Dopo l’attentato di Sarajevo del 28 Giugno 1914, in cui il terrorista serbo Gavrilo Princip uccise l’arciduca erede al trono dell’impero austro-ungarico Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia, gli eventi precipitarono molto rapidamente. L’irredentismo Serbo, sostenuto dalla Russia, mirava alla costituzione di una nazione degli slavi del sud (successivamente Jugoslavia), il cui primo passo sarebbe stata l’annessione della Bosnia Erzegovina a danno dell’Impero Austro-Ungarico. L’imperatore Francesco Giuseppe, appoggiato dalla Prussia (paese membro insieme all’Italia della Triplice Alleanza), decise d’intervenire anticipando il proposito di unificazione, prima attraverso un ultimatum alla Serbia le cui clausole violavano apertamente la sua integrità territoriale, poi dichiarandole guerra il 28 Luglio. L’effetto domino di coinvolgimento delle potenze europee fu immediato. L’Italia, poiché non era stata informata degli accordi che prevedevano l’entrata in guerra e giudicando tale comportamento una violazione del patto, si era inizialmente dichiarata neutrale attraverso iniziative del primo Ministro Antonio Salandra e del ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano, poi sostituito da Sidney Sonnino. Successivamente, dopo una serie di trattative con gli Stati dei due schieramenti per ottenere le migliori concessioni territoriali che giustificassero il suo intervento, entrò nel conflitto dieci mesi dopo l’inizio delle ostilità, alleandosi con la Triplice Intesa (Francia, Russia e Inghilterra).
Anche il movimento socialista internazionale, che fin dall’inizio si era dichiarato contrario alla guerra, dovette ben presto fare i conti con i nazionalisti: tedeschi e francesi finirono per schierarsi con i governi dei loro due paesi, mentre i socialisti italiani e quelli russi optarono per la neutralità. Il fatto che favorì l’accelerazione delle posizioni interventiste fu l’uccisione, il 31 luglio, del leader socialista e pacifista francese Jan Jourès ad opera di un nazionalista favorevole allo scontro tra Francia e Germania. In Italia l’opinione pubblica si spaccò in due: inteventisti e neutralisti. Da un lato la destra nazionalista e filo teutonica, i repubblicani, i radicali e i sindacalisti rivoluzionari; dall’altro i socialisti, i cattolici e i liberali giolittiani. Sia i socialisti riformisti, capeggiati da Filippo Turati, che i massimalisti di Benito Mussolini, optarono per la neutralità . Dopo l’invasione del Belgio neutrale e la scesa in campo dell’ Inghilterra in sua difesa, alcuni interventisti di area socialista come Gaetano Salvemini, Ivanoe Bonomi, Leonida Bissolati, preoccupati del nascente potere autoritario e militarista dell’Austria-Ungheria e della Germania, si schierarono con la corrente detta dell’ “interventismo democratico”, orientata a sostegno di Francia e Inghilterra, stati a fondamento democratico. In questa fase nacque, soprattutto tra le file repubblicane a radicali, la corrente dell’irredentismo e dell’amor di Patria, specialmente in Trentino e in Friuli-Venezia Giulia, come naturale continuazione del Risorgimento per il compimento dell’unità nazionale.
Tra i socialisti italiani prese consistenza una corrente interventista dei cosiddetti “sindacalisti rivoluzionari” (Fratelli Alceste e Amilcare De Ambris, Filippo Corridoni, Angelo Uliviero Olivetti ) che diedero vita al Fascio Rivoluzionario d’Azione, cui aderirà nell’ottobre 1914 il socialista Benito Mussolini, passando repentinamente su posizioni interventiste. Sconfessato dai socialisti e licenziato dalla direzione dell’Avanti, Mussolini fondò il Popolo d’Italia, giornale finanziato da capitali francesi e inglesi, e industriali interessati alle commesse per l’esercito, di chiara impronta interventista, che gli procurò l’espulsione dal partito socialista. Anche l”apocalisse rigenerativa” degli scritti di futuristi come Giovanni Papini e Filippo Tommaso Marinetti contribuiranno a rafforzare le posizioni dei “sindacalisti rivoluzionari”.
L’Italia entrò in guerra contro gli imperi centrali il 24 Maggio 1915.
Paolo Macoratti