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L’intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.
Caro Paolo,
oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.
Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.
E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.
Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.
Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.
Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.
Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.
Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.
E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.
Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.
Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.
Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.
Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.
E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.
Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.
Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.
E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà
Riportiamo la lettera che Antonio Ingroia ha inviato al Blog di Beppe Grillo in data 1/7/2012 . Ci uniamo alla volontà del Magistrato palermitano che si è proposto di diffondere questo prezioso messaggio agli Italiani.
Illuminare gli angoli bui del proprio passato
Buongiorno a tutti, al blog di Beppe Grillo, mi presento, sono Antonio Ingroia, pubblico Ministero alla Procura distrettuale antimafia di Palermo ormai da 20 anni, quando iniziai la mia attività con Paolo Borsellino; ero a Palermo quando vi furono le stragi terribili del ’92 di Falcone e Borsellino. Sono ancora a Palermo e svolgo le funzioni di Pubblico Ministero.
Io credo che il nostro paese sia un paese strano, anomalo. Lo è soprattutto perché ha un rapporto difficile con la verità, da un lato, e dall’altro ha una forte esigenza di verità. Troppi fatti determinati della sua storia, del suo passato, sono rimasti ancora avvolti da una nebbia di silenzi, di menzogne, di reticenze a volte perfino anche istituzionali, di una verità dimezzata e negata.
Un Paese che non riesce a conquistare tutta la verità sulla sua origine, sulla storia di fatti sanguinosi come le tante stragi che hanno contrassegnato la storia del nostro paese, è un Paese che non potrà mai crescere, mai conquistare la democrazia.
Noi siamo un Paese incapace di ricordare il proprio passato, di appropriarsene attraverso la verità, perché poi la verità è anche uno strumento per ricostruire il passato. È un Paese che rimane senza passato e senza memoria perché non ha verità sul suo passato, un paese che non può costruire nessun futuro.
L’Italia è un paese senza verità sulle stragi, sui grandi delitti polico-mafiosi, su tutte queste tragedie dello Stato, incapace di illuminare gli angoli bui e sporchi del suo passato, senza coraggio, dove a volte la ragione di Stato è finita per prevalere sulle ragioni del diritto, sulle ragioni della giustizia. Per esempio, c’è una verità che si è andata concretizzando quella sullo stragismo del 92/93, la verità su quella trattativa stato – mafia che nello sfondo del ‘92/’93 si è sviluppata. Su questa ragione la Magistratura in questi anni ha svolto un’opera complicata, con un obiettivo preciso, cercare di fare il proprio dovere fino in fondo, col dovuto rigore, individuare fatti, reati concreti, accertare le responsabilità penali.
Credo che in un Paese normale di fronte a questa azione della Magistratura, il paese delle istituzioni e la società si stringerebbero attorno ai magistrati, li si sosterrebbe in questo compito difficile, anzi ciascuno cercherebbe di fare la propria parte. La politica dovrebbe occuparsene, accertando quello che alla politica tocca accertare rispetto al passato, la verità politica, la verità storica – politica. Non tocca alla Magistratura appurare la verità storica. La politica dovrebbe anche individuare responsabilità storiche e responsabilità politiche, non certo le responsabilità penali e invece questo in Italia non è avvenuto. Almeno fino a oggi non è avvenuto perché per esempio tante e tante commissioni parlamentari antimafia si sono avvicendate in questi vent’anni, nessuna di questa ha messo al centro della propria attenzione, al centro della propria indagine, l’accertamento della verità su quel terribile biennio 92/93, che è poi il biennio sul quale è nata questa Repubblica. Perché questa Seconda Repubblica affonda letteralmente i suoi pilastri nel sangue di quelle stragi, in quella trattativa che si sviluppò dietro le quinte di quelle stragi.
Non solo la politica non ha fatto questo, ma né dalla politica, né dal mondo dei mass media, il mondo dell’informazione è venuto un sostegno nei confronti della Magistratura, anzi queste iniziative di verità, di realtà giudiziaria ovviamente – non tocca alla Magistratura scoprire la verità storica – sono state accolte con freddezza, fastidio, a volte con ostilità come se questo Paese la verità non la volesse, come se ci fosse una grande parte del Paese che preferisce vivere in quell’eterno presente immobile senza conoscere le proprie origini, forse per la paura di scoprire qualcosa di cui vergognarsi nella propria vita.
Le istituzioni hanno una grande occasione
Perché alla verità inevitabilmente corrisponde sempre la responsabilità e c’è gran parte del Paese che è allergico alla verità, è anche allergico al principio di irresponsabilità, troppo affezionato, soprattutto la nostra classe dirigente, al principio di irresponsabilità attraverso la ricerca dell’impunità, dell’impunità penale e dell’impunità politica secondo il criterio per cui nessuno deve rispondere dei fatti che ha commesso, esattamente il contrario dei principi di uno stato di diritto e di una democrazia.
Allora probabilmente questa allergia verso la verità nasce da quel peccato originale: rifiutare qualsiasi forma di responsabilità. Alla verità integrale dovrebbe corrispondere la responsabilità penale, quella politica per i politici, quella etico-morale davanti ai cittadini, quei cittadini che sono tanti, assetati di verità e di giustizia.
Noi fino a quando non conquisteremo una sufficiente parte di verità, fino a quando non ristabiliremo principi di responsabilità, non diventeremo mai una democrazia.
Il nostro è un Paese senza responsabilità: troppi assassini in libertà, troppi mandanti di stragi ancora col volto coperto, perché alla Magistratura non vengono dati strumenti efficienti per trovare i colpevoli, perché non ci sono circuiti di responsabilità che vigilano in un paese avanzato e democratico di responsabilità politica e morale. Perché l’Italia è un paese di irresponsabili, senza giustizia e senza verità. La giustizia e la verità a cui hanno diritto le vittime, i familiari delle vittime, a cui hanno diritto i cittadini. Per riconquistare il piacere di sentirsi cittadini di questa Repubblica.
Negli ultimi anni è calato di molto la credibilità delle istituzioni. Abbiamo ora a portata di mano, un momento di un pieno accertamento della verità, una grande occasione, le istituzioni hanno una grande occasione: cercare di riconquistare la verità, riconquistare la fiducia dei propri cittadini che la verità vogliono. Per fare questo occorre che i cittadini interpretino il loro ruolo di cittadini nel modo più attivo possibile. Loro sanno quanto tengono alla verità a per quanto tempo questa verità gli è stata negata.
Noi siamo un po’ orfani, non solo di tanti grandi uomini che hanno fatto la storia più nobile del nostro Paese, e mi riferisco a uomini dello Stato, ai servitori dello Stato, mi riferisco in particolare a quelli che sono stati i miei maestri da magistrato come Falcone e Borsellino. Ma noi ancora più che orfani di questi uomini, siamo orfani della verità, orfani della verità su quella stagione, orfani della verità su quelle nostre origini.
Allora io credo che di fronte a questo scandalo di un Paese che non riesce a conquistare la verità su quella stagione cruciale della sua storia, non vogliamo che l’Italia resti soltanto un paese degli scandali. Vogliamo costruire un’Italia diversa, vogliamo costruire un’Italia libera per liberarla dal ricatto dei poteri criminali di ogni specie. Io credo che i cittadini debbano impegnarsi ciascuno per la sua parte, ciascuno nel suo ruolo, ciascuno nel ruolo che svolge nella società per dare il proprio contributo per conquistarla insieme questa verità, pretendendo ed esigendola, da cittadini, perché la verità è difficile, imbarazzante, può essere solo frutto di una conquista collettiva, di uno sforzo collettivo.
Bisogna spalancare ogni porta chiusa, ripristinare il binomio verità e giustizia per costruire il Paese, per costruire una vera democrazia come fecero i nostri padri costituenti. Dobbiamo, abbiamo il diritto (e il dovere, ndr), non soltanto noi da magistrati, ma ognuno di noi cittadini fare tutto ciò che possiamo per conquistare tutta la verità e pretenderla a voce alta, passate parola tra voi cittadini, per conquistare tutta la verità.
La fiaccolata del 10 giugno 2012 a Roma sul colle del Gianicolo, organizzata dalle Associazioni Garibaldini per l’Italia e Gruppo Laico di Ricerca, patrocinata dal Comune di Roma ( Municipii I e XVI ), con la partecipazione attiva dell’A.N.P.I. e della F.I.A.P, per celebrare il 163° anniversario della Difesa della Repubblica Romana del 1849, ha voluto rendere onore ai caduti, ai combattenti, agli esiliati, ai giustiziati che testimoniarono con il loro sangue e la loro partecipazione la volontà di cambiare il mondo, dando vita al momento forse più alto della nostra storia risorgimentale.
http://www.youtube.com/watch?v=PcriprLpOQg&feature=g-upl
“Pochi contro moltissimi”, è scritto sulle lapidi e sui testi di storia, per ricordare quanto grande fosse stato il loro sacrificio, quanto forte la spinta che li animava. Quale misteriosa forza aveva prodotto quelle volontà, così determinate da sfidare con furore le potenze militari più organizzate e potenti dell’epoca? I nostri fratelli del 1849 anelavano a realizzare su questa terra l’archetipo del bene comune, l’utopia per antonomasia, la fraternità e la giustizia sociale; in due parole la DEMOCRAZIA PURA. Parole che terrorizzavano Re e Papi e che ancora oggi imbarazzano le caste e i potentati economici e religiosi.
La memoria di quei giorni e degli uomini e le donne che fecero grande il nostro Paese spesso si riduce alla sola celebrazione di questa o quella ricorrenza, che individui più o meno preparati storicamente, s’impegnano a rinnovare periodicamente per non sentirsi lontani da quel passato glorioso. E’ questa una delle basi di partenza per coltivare la memoria, ma il rischio che assuma il carattere di un’autocelebrazione sterile e infruttuosa è molto alto.
Potrebbe sembrare difficile mettere a frutto l’eredità di Mazzini, Garibaldi, Mameli e tutti coloro che parteciparono alla costruzione di una Patria comune fondata sul progresso dell’essere umano e sulla convivenza civile; in realtà è solo una questione di volontà e di scelte personali. Si può ricominciare, partendo dalla scuola, trasferendo costantemente nelle giovani generazioni ciò che è già scritto nelle opere dei nostri Padri Costituenti, nella Repubblica Romana del 1849 e nella Costituzione della Repubblica Italiana tuttora vigente. E’ questione di volontà e di scelte personali lottare con ogni mezzo legale perchè siano salvaguardati i principi di libertà, giustizia, eguaglianza attraverso i quali poter continuare a costruire quell’utopia del 1849,: la Democrazia Pura.
La fiaccolata del 10 Giugno non avrebbe avuto senso, o lo avrebbe avuto solo concettualmente, se non fosse stata finalizzata alla realizzazione pratica dei nobili concetti trasmessici dai Padri della Patria, che prima di noi hanno difeso la Repubblica con tutte le loro forze. Difendere la Repubblica , oggi, vuol dire dunque partecipare alla sua vita attivamente, controllare che le leggi emanate siano effettivamente in favore della maggioranza del Popolo e non di una risibile contrada; vuol dire ancora denunciare gli abusi, il malcostume nella politica e nel sociale, costruendo il progresso attraverso un cambiamento culturale, anche profondo, se necessario; e a ognuno di noi è affidata la responsabilità morale di questo cambiamento.
Presto in Italia dovremo tornare a votare in un contesto di forte abbassamento delle difese immunitarie , civili e sociali. Ai tentativi di mantenere alti i privilegi di una piccola parte della popolazione si sommano i disagi di una regressione progressiva dalle conquiste civili e sociali ottenute in 65 anni di storia repubbicana. Le conseguenze le conosciamo bene ed è superfluo ripeterle. Non ci rimane che sottolineare un AVVISO AGLI ELETTORI che ieri, come oggi, sono il manifesto della nostra volontà di cambiamento.
” NOI VOGLIAMO UOMINI CHE SENTANO QUELLO CHE DICONO: RIFIUTIAMO QUELL’ABITUDINE D’IPOCRISIA CHE, DA UNA NAZIONE RICAVATA OR ORA ALLA VITA, PROPONE PER PRINCIPIO DI RIGENERAZIONE, PER PRIMO DOGMA POLITICO, LA MENZOGNA SISTEMATICA. NOI VOGLIAMO LA VERITÀ, CREDIAMO CHE IN LEI SOLA STIA LA FORZA. NOI FACCIAMO POCO CONTO DELLE PAROLE, MOLTISSIMO DELLA VITA DI UN INDIVIDUO. SCRUTEREMO NEI NOSTRI CANDIDATI I FATTI PASSATI; ELIMINEREMO GLI UOMINI CHE , O PER TRISTIZIA O PER INETTEZZA HANNO MANCATO ALL’ONORE E AGLI INTERESSI DEL PAESE; NON APPOGGEREMO CHE I NOMI DI COLORO IL CUI PASSATO CI SIA PEGNO PER L’AVVENIRE.” ( Goffredo Mameli – 4 Gennaio 1849 )
” BISOGNA SPAZZARE QUESTA MASSA D’INTRUSI CHE, COME LE FORMICHE NEGLI ALVEARI, NE DEPORTANO CERA E MIELE, E NON VI LASCIANO CHE PUTRIDUME E MACERIE. VORREI DIRVI CHI SONO, CHI FURONO E DONDE VENGONO: MA TROPPO DOVREI INTINGERE LA PENNA NELLE SOZZURE, E MI RIPUGNA. BASTA VI DICA: RICORRETE AL LORO PASSATO, E SE NON SIETE PIU’ CHE CIECHI, PIU’ CHE IMBECILLI, PIU’ CHE CODARDI, NON RICONFERMATELI NEL LORO SEGGIO. CHE SPERATE DA ESSI ? IL PAREGGIO, LA DIFESA DELLO STATO, LA LIBERTA’ ? ILLUSI CHE SIETE ! SI, RICONFERMANDOLI, PREPARATEVI A NUOVE SCIAGURE “. ( Giuseppe Garibaldi – Caprera 29 Settembre 1874 )
Articolo e video Agenzia “DIRE”
http://www.dire.it/welfare/4684-forum-ex-articolo-26-roma.dire
Centri di Riabilitazione
I Decreti Commissariali della Regione Lazio n° 89 e 90 del 10/11/2010, successivamente modificati dai Decreti Commissariali n° 8 del 3/02/2011 e n° 29 del 20/03/2012, sono stati “pensati” per giustificare i tagli lineari operati sulla Sanità, e in particolare sulle strutture pubbliche o private convenzionate di Riabilitazione, a danno di quei cittadini Italiani affetti principalmente da deficit cognitivi.
Le conseguenze di tali scelte operative hanno favorito il progressivo sgretolamento delle assistenze qualificate ai disabili con gravi ripercussioni, sia sul mondo del lavoro altamente specializzato, con conseguente declassamento della Riabilitazione a puro e semplice assistenzialismo, sia sui diritti dei cittadini diversamente abili che potrebbero perdere progressivamente le loro autonomie, così faticosamente raggiunte attraverso i progetti di riabilitazione individuali.
Ci uniamo alla battaglia che il Forum exarticolo26 , Comitato nato con il concorso dei genitori e degli operatori delle persone diversamente abili, ha intrapreso con la raccolta di firme per una Petizione Popolare finalizzata al ritiro dei Decreti sopracitati e l’pertura di una trattativa con le autorità della Regione Lazio.
E’ possibile scaricare da questo sito la Petizione e il modulo per la raccolta firme che potrà essere inviato a : forumexarticolo26@libero.it o collegandosi al sito www.forumexarticolo26.it
PETIZIONE
MODULO
ASCOLTA LA SEDUTA DEL 26 GIUGNO 2012 RELATIVA ALL’AUDIZIONE DEL FORUMEXART26 ALLA COMMISSIONE DI INCHIESTA DEL SENATO
DOCUMENTO UNITARIO DEL 2 FEBBRAIO 2013
VIDEO TAVOLA ROTONDA SULLA DISABILITA’ INFANTILE – ROMA 22 FEBBRAIO 2013
http://farea9.wordpress.com/2013/02/22/disabilita-infantile-evitare-un-genocidio/
10 giugno 2012 | ||
19:30 | a | 22:30 |
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Celebrazione del 163° anniversario della Difesa della Repubblica Romana del 1849
Come le precedenti edizioni l’Associazione Garibaldini per l’Italia sarà presente a Roma, insieme all’Associazione Culturale Gruppo Laico di Ricerca, per fare memoria di coloro che difesero, con l’impegno e la vita, la Repubblica Romana del 1849. Non fu solo difesa di un territorio, ma di una ricoluzionaria Costituzione nata per l’emancipazione sociale e culturale di un intero popolo e per la formazione di una Patria comune, libera e indipendente.
Motivazione: “Per non dimenticare l’esperienza fondamentale che per il Risorgimento ha avuto la Repubblica Romana, soffocata con la forza delle armi al Gianicolo, ma non nello Spirito e nei Valori che l’ha animata, dai quali dobbiamo trarre nutrimento per l’impegno di resistenza Democratica e per la Laicità delle Istituzioni a cui siamo chiamati ancora oggi”.
APPUNTAMENTO A ROMA – 10 GIUGNO 2012 – ARCO DEI QUATTRO VENTI (INTERNO VILLA PAMPHILI) – ORE 19,30
COMMENTO POST FIACCOLATA
VEDI ARTICOLO: DEMOCRAZIA PURA
http://www.youtube.com/watch?v=PcriprLpOQg&feature=g-upl
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “UN REPUBBLICANO TRA I MILLE” di Alcide Lamenza - 24 Maggio 2012 – ore 17,00 – Via Giulia, 142 Roma
Da “Storia dei Mille” di Giuseppe Cesare Abba
“A colpo d’occhio, si poteva dire che per un quarto quei Mille erano uomini fra i trenta e i quarant’anni e per un altro bel numero tra i quaranta e i cinquanta; forse dugento stavano tra i venticinque e i trenta. Gli altri, i più, erano tra i diciotto e i venticinque. Di adolescenti ce n’erano una ventina, quasi tutti bergamaschi. Alcuni qua e là tra quei gruppi parevano trovarvisi per curiosità, perché’ vecchi oltre i sessanta; e invece vi stavano a spendere le ultime forze di una vita tutta vissuta nell’amore della patria. Il vecchissimo passava i sessantanove, aveva guerreggiato sotto Napoleone e si chiamava Tommaso Parodi da Genova; il giovanissimo aveva undici anni, si chiamava Giuseppe Marchetti da Chioggia, fortunato fanciullo cui toccava nella vita un mattino così bello! Seguiva il medico Marchetti padre suo, che se l’era tirato dietro in quell’avventura.
In generale, certo più della metà erano gente colta; anzi si può dire che soldati più colti non mossero mai a nessun’altra impresa. Alcuni di essi, i vecchi, avevano combattuto nelle rivoluzioni del ’20 del ’21 del ’31; molti nelle guerre del ’48 e del ’49 e nelle insurrezioni di poi. Nella guerra del 1859 avevano militato quasi tutti, volontari nei reggimenti piemontesi o tra i Cacciatori delle Alpi sotto Garibaldi.
I giovani dai venti ai venticinque anni quasi tutti sentivano in sé’ vivi e presenti i fratelli Bandiera con la loro storia, intesa nella prima adolescenza, tra le pareti domestiche, dai padri e dalle madri angosciate. Quell’Emilio di 25 anni, quell’Attilio di 23, disertati a Corfù di sulle navi austriache; la loro madre corsa invano colà, per supplicarli di smettere il loro disegno d’andar a morire; le loro risposte a Mazzini che li consigliava di serbarsi a tempi migliori; e poi l’imbarco, il tragitto nell’Ionio e lo sbarco sulla spiaggia di Crotone, presso la foce del Neto, – che nomi! – e il primo scontro a San Benedetto coi gendarmi borbonici, e le plebi sollevate a suon di campane a stormo contro di loro gridati Turchi; e il secondo scontro a San Giovani in Fiore, – poesia, poesia di nomi! – e l’inutile eroismo contro il numero, e la cattura e la Corte marziale e le risposte ai giudici vili e la condanna e la fucilazione nel Vallo di Rovito; tutto sapevano, tutto come canti di epopea studiati per puro amore. E suonava nei loro cuori la strofa amara ed eroica del canto di Mameli:
L’inno dei forti ai forti,
Quando sarem risorti
Sol li potrem nomar. ”
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17 maggio 2012 | ||
17:00 | a | 19:00 |
Sarà mai possibile realizzare una società fondata sulla giustizia e sul bene comune? In quel brevissimo arco di tempo, dal 9 febbraio al 3 Luglio del 1849, migliaia di persone credettero che ciò fosse possibile. Fu una scelta di uomini e di Popolo; di uomini saggi e di un Popolo pronto a riscattare secoli di servitù. Di tali prerogative avremmo bisogno anche oggi. L’utopia non è un tabù, ma il punto di partenza di una volontà comune, di un desiderio condiviso di elevare l’umanità, di migliorarla e migliorarci.
Il Gruppo Laico di Ricerca ha organizzato l’incontro a Frascati Giovedì 17 Maggio alle ore 17,00, presso la Biblioteca dell’Archivio Storico Comunale – Sala degli Specchi del Municipio, Piazza Marconi, 3
14 maggio 2012 | ||
21:00 | a | 23:00 |
Martedì 15 Maggio 2012 alle ore 21,00 a Roma, Via Caffaro, 10,
il Gruppo Laico di Ricerca completa l’approfondimento sulla presenza di Giuseppe Mazzini a Roma nel marzo del 1849. Fu un evento memorabile per la Repubblica Romana nascente ma anche per le aspettative di moltissimi Italiani che vedevano concretizzarsi la possibilità di fondare un nuovo Stato libero e repubblicano nel cuore dell’Italia.
Domenica 6 Maggio 2012 alle ore 17,00, a Roma, via Caffaro N° 10,
un nuovo appuntamento offerto dal Gruppo Laico di Ricerca sulla Resistenza. In questo quarto incontro verranno presentate le lettere scritte dai Partigiani ai loro famigliari prima di essere fucilati o deportati.
Documenti importanti, pregni di sentimenti di altissimo valore civile, che testimoniano, nelle intenzioni e nei fatti, l’importanza storica e culturale del secondo Risorgimento Italiano
Nella nostra rubrica Libri consigliati si fa riferimento al volume che raccoglie questa straordinaria e preziosa documentazione, utile soprattutto ai giovani d’oggi perchè sappiano raccogliere, da coloro che li hanno preceduti, i frutti del loro estremo sacrificio.
13 maggio 2012 | ||
17:00 | a | 20:00 |
La vittoria momentanea delle forze militari e volontarie della Repubblica Romana suscitò grandi entusiasmi nel Popolo di Roma; si era riusciti a battere sul terreno uno dei più potenti eserciti del mondo. La macchina bellica francese avrebbe schiacciato con le armi, solo un mese dopo, le speranze e le illusioni di quella meravigliosa stagione.
Il Gruppo Laico di Ricerca, dopo l’incontro a Villa Pamphili del 28 Aprile, propone un approfondimento del tema
Appuntamento per Domenica 13 Maggio a Roma, alle ore 17,00 a Via Caffaro, 10
Lunedì 16 Aprile 2012 alle ore 11,00 presso la Sala Convegni della Federazione Nazionale della Stampa, Corso Vittorio 349 Roma,
l’Associazione Mazziniana Italiana celebrerà l’anniversario della Repubblica Romana con un incontro in cui si alterneranno interventi di studiosi con il coro degli studenti della scuola Nazario Sauro, che eseguirà alcuni brani risorgimentali
Il nove febbraio 2011, al Gianicolo, ricorrenza annuale in cui si celebra la Proclamazione della Repubblica Romana del 1849, era presente tra i bambini delle scuole elementari e di alcuni licei della Capitale, un ospite d’onore: il Dottore Rosario Bentivegna. Il Partigiano, medaglia d’argento al V.M., durante la cerimonia è intervenuto sollecitando tutti, giovani e meno giovani, a Resistere in ogni tempo e in ogni luogo ai fascismi espliciti o nascosti, e non stancarsi mai nella difesa della giustizia e della libertà.
Foto di Gianni Blumthaler
L’associazione Garibaldini per l’Italia, ricordando la matrice garibaldina e repubblicana della famiglia Bentivegna, abbraccia fraternamente i famigliari nel doloroso commiato. L’esempio e l’impegno di Rosario trovano la loro giusta dimensione nel dovere dell’ espressione mazziniana, già citata più volte nel nostro sito:
“dobbiamo offrire un degno obiettivo a tutta questa gioventu’ pensosa che, nata in mezzo alle rovine, cade subito nel dubbio e nello scoraggiamento; dobbiamo ricercare per l’uomo un’esistenza morale per mezzo dell’entusiasmo e dell’amore”
La vita di Rosario Bentivegna è scritta in: http://it.wikipedia.org/wiki/Rosario_Bentivegna
Philippe Guastella interpreta Mazzini
Da pochi giorni, passato inosservato dalla stragrande maggioranza dei media, si è celebrato il 140° anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, avvenuta a Pisa il 10 marzo 1872. Una vita, quella di Mazzini, dedicata all’unità d’Italia ma ancor prima alla formazione dei giovani Italiani.
A distanza di poche generazioni dobbiamo purtroppo, e amaramente, constatare che i princìpi, la moralità e gli ideali mazziniani che mossero le menti e i cuori di tante persone e che contribuirono, con il sacrificio e il sangue, a restituire dignità ad un popolo schiavo, sono tutt’ora ignorati.
Esiste però ancora una cerchia ristretta di Italiani che non si rassegna facilmente al triste degrado socio-culturale cui stiamo assistendo giornalmente e che vuole riaffermare con impegno i valori risorgimentali, vertice il pensiero di Mazzini, e arginare con piccoli gesti l’imminente catastrofe d’identità che si sta avvicinando a velocità esponenziale.
L’Associazione Garibaldini per l’Italia ha incontrato casualmente (ma nulla è casuale quando si perseguono obiettivi nobili) un gruppo di giovani guidati da Emanuela J. Morozzi, esordiente regista romana, che ha creato uno short film dedicato alla figura di Giuseppe Mazzini, dal titolo: L’alba della Libertà. Dalla lettura del comunicato stampa e dalla visione del trailer, che qui riportiamo, si percepisce un lavoro, almeno nelle premesse, animato da un mix intelligente di passione e approfondimento.
Il 10 marzo 2012 non è una data come tante altre. 140 anni fa moriva a Pisa il ligure Giuseppe Mazzini, patriota, politico, filosofo e giornalista che con le sue idee e la sua azione politica contribuì in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano e alla formulazione di un pensiero di democrazia, plasmato sulla forma repubblicana dello Stato, che nutrì i moderni movimenti europei.
Le condanne subite in diversi tribunali d’Italia lo costrinsero, però, alla latitanza fino alla morte. Ed è in questo momento che si situa “L’Alba della Libertà”, uno short film, in fase di montaggio, dedicato alla figura di Mazzini, della giovane ed esordiente regista romana Emanuela J. Morozzi.
In questo lavoro non viene presentato un eroe, né tantomeno un leader cospirativo e carismatico, ma un uomo stanco, malato, all’ultimo giorno della sua vita; sconfitto da un Risorgimento che non gli appartiene, a cui ha dedicato tutta la sua esistenza, ma pronto ancora a credere e a parlare di libertà e giustizia e a mettersi a nudo, forse per la prima volta nella sua esistenza, nell’amore.
“Ho voluto dipingerlo in maniera inedita, nella sua intimità – racconta la regista – e, forse, anonima quotidianità; nella fragilità e nella verità di un soliloquio negli ultimi momenti della sua esistenza. Immaginando quali siano stati i pensieri di chi come lui ha compiuto gesta che hanno fortemente influenzato la coscienza del proprio popolo. Inoltre, mi è piaciuto riscoprire un Giuseppe Mazzini nella particolarità di un sentimento che ci accomuna tutti: la commozione. Quella commozione insita nel nostro inconscio più recondito, che viene dai primordi, che appartiene a noi dalla notte dei tempi e che ci rende, nonostante la nostra unicità, indiscutibilmente tutti Uguali. Uguali nell’ amore, nelle paure, nelle parole non dette, negli addii”.
Il cortometraggio, della durata di 10 minuti, è stato realizzato nel Comune di Genzano (prov. di Roma), che, patrocinando l’iniziativa, ha messo a disposizione il suo palazzo più importante, lo Sforza Cesarini, con il parco antistante. È stato girato in formato digitale, recitato in Italiano, con sottotitoli in inglese, francese, spagnolo e tedesco.
La troupe è composta da giovanissimi di 20 e 30 anni, che si sono riuniti appositamente per omaggiare Mazzini nell’anniversario della sua scomparsa. Gli attori che interpretano il patriota italiano nelle sue tre età sono: Philippe Guastella- adulto, Daniele Zappalà- giovane, Edoardo Zampini – bambino. La voce del protagonista è di Angelo Maggi, noto e pluripremiato attore e doppiatore italiano, proveniente dalla scuola di Vittorio Gassman. Fanno ancora parte del cast: Manuela Marchetti, giovane donna; Martina Fioramonti, bambina; Ninni Sciandra, madre di Mazzini.
La colonna sonora è stata composta da Marco Valerio Antonini, che ha studiato composizione al conservatorio di Santa Cecilia, e frequentato Masterclass di musica per film con autori come N.Piovani e A.Di Pofi, collaborando con il Centro Sperimentale di Cinematografia, la NUCT e l’ACT a Cinecittà. Nel 2011 vince l’NCN Lab della Fond. Cinema per Roma, nell’ambito del Festival Internazionale del Film di Roma, con la musica per il corto “La legge di Jennifer”, di A.Capitani.
Il progetto “L’Alba della Libertà”, essendo di interesse storico- culturale, verrà presentato nei più importanti festival nazionali ed internazionali.
IL 10 MARZO 1872 MORIVA A PISA, SOTTO FALSO NOME, IL PADRE DELLA PATRIA GIUSEPPE MAZZINI. MOLTISSIMI ITALIANI IGNORANO LE RAGIONI DI QUESTA MORTE “SEGRETA”.
UN MOTIVO IN PIU’ PER PARTECIPARE ALL’INCONTRO CON LO STORICO GIANCARLO DE CATALDO A PISA, ORE 16,30 DEL 10 MARZO 2012 PRESSO L’AUDITORIUM DELLA PROVINCIA, VIA CESARE BATTISTI, 14
SABATO 10 MARZO 2012 SARA’ COMMEMORATO IL 140° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GIUSEPPE MAZZINI ANCHE A ROMA, IN PIAZZALE UGO LA MALFA ALL’AVENTINO – ORE 9,30
SARANNO PRESENTI AUTORITA’ COMUNALI, PROVINCIALI E COMUNALI, OLTRE ALLA SEZIONE DI ROMA DELL’ASSOCIAZIONE MAZZINIANI ITALIANI.
20 marzo 2012 | ||
21:00 | a | 23:00 |
Settimo incontro sulla Repubblica Romana del 1849. Tema centrale l’arrivo a Roma di Giuseppe Mazzini. E’ un momento storico di altissimo valore per la conquista delle libertà civili e democratiche di ogni popolo, che videro Roma e l’Italia protagoniste di una rivoluzione culturale senza precedenti.
Conferenza a cura dell’Associazione Gruppo Laico di Ricerca
SETTIMA PARTE :
http://www.gruppolaico.it/category/incontri-di-ricerca/
Appuntamentio a Roma, via Caffaro, 10
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MARTEDI’ 20 marzo 2012 – ore 21,00
PER CONSULTARE I DOCUMENTI SULLA REPUBBLICA ROMANA, VAI ALLA PAGINA DEI “LINK A SITI AMICI”
Con questo importante appuntamento organizzato dall’Associazione Culturale Gruppo Laico di Ricerca, l’Associazione Garibaldini per l’Italia vuole ancora una volta sottolineare l’importanza delle assemblee popolari del 12 e 15 gennaio 1849, che diedero origine alla Repubblica Romana.
L’occasione del luogo e della data del 17 Febbraio consentirà di onorare la memoria di Giordano Bruno che proprio nel carcere di Tor di Nona fu imprigionato prima di essere condotto al rogo.
Appuntamento a Roma domenica 19 febbraio 2012, ore 15,30 – Piazza San Salvatore in Lauro
Giovedì 9 Febbraio alle ore 15,00 l’Associazione “Garibaldini per l’Italia” ha celebrato il 163° della Proclamazione della Repubblica Romana del 1849 insieme all’Associazione culturale “Gruppo Laico di Ricerca” e all’ “A.N.P.I. “ presso il Musoleo-Ossario Garibaldino del Gianicolo, via Garibaldi 29/e – Roma
Sintesi del testo letto dal Presidente dei Garibaldini per l’Italia
Il logo dell’Associazione Garibaldini per l’Italia esprime ciò che vorremmo essere per il nostro Paese: volontari, attenti e vigili
I simboli sono importanti perché rappresentano l’universo dei valori e delle aspirazioni di tante persone; così il tricolore rappresenta i valori e le aspirazioni migliori degli italiani, di coloro che l’hanno ideato, di tutti noi e di coloro che verranno dopo di noi. La bandiera è dunque sacra, perché in essa si sono riconosciute e hanno lottato, fino all’estremo sacrificio della vita, intere moltitudini di patrioti.
La camicia rossa che indossiamo con orgoglio è anch’essa un simbolo sacro perché incarna tutti i Garibaldini che hanno impegnato la loro esistenza per il bene comune e il progresso dei popoli.
Pertanto, essere garibaldini, oggi, non significa solo partecipare alle cerimonie celebrative di questa o quella ricorrenza, pur necessarie e indispensabili, ma rappresenta un duplice dovere: da un lato l’impegno a mantenere vivi e trasmettere ai giovani e meno giovani gli ideali risorgimentali, tutt’ora insuperati per ricchezza di valori e spinte innovative – e realizzati solo in minima parte – dall’altro il dovere di essere attivi e propositivi nella società complessa in cui viviamo con iniziative finalizzate al progresso civile e sociale del nostro Paese..
Per questo abbiamo bisogno di punti fermi di riferimento che abbiamo individuato nella centralità dell’essere umano, con i suoi doveri e i suoi diritti; nella Costituzione Repubblicana Italiana e nelle radici ideali nate dalla Costituzione della Repubblica Romana del 1849.
Oggi siamo appunto qui per fare memoria della Proclamazione della Repubblica Romana.
In questo momento di crisi della finanza mondiale, della politica e dell’economia nazionale, in questa Italia ove da anni la Costituzione e’ oscurata dal malaffare, dalla corruzione, dal camaleontismo politico, assume maggior rilievo la straordinaria stagione della R.R. del 1849, dei suoi valori e delle sue finalita’. Gli ideali della R.R. non sono finiti 163 anni fa ma, paradossalmente, potrebbero essere il nostro futuro
Dall’analisi dei documenti del gennaio 1849 che l’Associazione culturale Gruppo Laico di Ricerca ha messo a disposizione nelle conferenze degli ultimi anni, si percepisce con maggiore evidenza la grandezza di quel momento storico e degli uomini che lo hanno animato.
Risulta infatti evidente la volontà, da parte dei Costituenti, di rivoluzionare lo Stato della Chiesa con segnali e provvedimenti importanti, come l’abolizione della pena di morte, l’abolizione della censura, l’abolizione del tribunale del sant’uffizio, della tassa sul macinato, l’abolizione del monopolio del sale, oltre all’istituzione del matrimonio civile, del ministero della istruzione pubblica, la riforma agraria, la libertà di culto religioso, valida soprattutto per i 3000 ebrei residenti nel ghetto.
Questi e altri provvedimenti furono realizzati in soli 5 mesi, ma soprattutto ci sorprende ancora oggi la volontà, da parte dei Costituenti, di educare il popolo alla sovranità che gli spettava. e di elevarlo moralmente e civilmente, stravolgendo le regole che fino ad allora lo avevano sottomesso per secoli. E proprio dal popolo è arrivata una delle spinte più forti alla realizzazione della Costituente attraverso le grandi adunanze popolari del 12 e del 15 gennaio ai teatri Metastasio e Tor di Nona in cui si propose per la prima volta la Costituente Italiana sulla base di quella Romana. Per cui possiamo affermare con sufficiente certezza che a Roma è nata l’Italia repubblicana che conosciamo, o meglio, che abbiamo conosciuto nel primo dopoguerra, dopo la Resistenza.
Possiamo imparare molto dalla Repubblica Romana ; e forse una delle lezioni più importanti che dovremmo ereditare è la responsabilita’; come, per esempio, sostituire la cultura del fatalismo con la cultura della prevenzione. Noi tutti cittadini dobbiamo essere consapevoli che la nostra azione quotidiana debba servire, con l’esempio, ad educare ed elevare il popolo.
Viva la Repubblica Romana, viva l’Italia
Memorabili interpreti di Verdi dirigono l’orchestra della Scala (11 maggio 1946 – 11 gennaio 2009 ). Un brano che forse più di ogni altro contiene in sè lo slancio passionale e liberante del Risorgimento
http://www.youtube.com/watch?v=jjBlsfCZOKI
La prima rivoluzione è una rivelazione
Fai l’attore, fai l’autore, fai l’artista e poi quando hai finito i tuoi spettacoli, i tuoi libri, le tue mostre, le tue rappresentazioni cosa succede? Bisogna cominciare a andare nelle scuole, nelle scuole è molto tardi, nei licei è tardi, all’università è tardissimo, bisogna andare alle scuole elementari, è tardi anche alle scuole elementari, bisogna cominciare a andare negli asili nido, anche negli asili nido è tardi, bisogna andare durante il rapporto proprio a dire: ascolta, per poter raccontare un “r’acconto”, una narrazione non un dogma, nessun dogma è l’opera che preferisco. Non è più possibile in questo momento storico o antistorico che si voglia, accontentarsi del proprio mestiere, bisogna cominciare a fare il mestiere degli altri. Bisogna andare nei posti dove non si è voluti, non si è aspettati, non ho inventato niente, sicuramente qua dentro c’è chi lo fa prima di me e molto meglio di me. Bisogna cominciare ad andare nelle carceri e negli ospedali, non solo nelle piazze e poi vorrei aggiungere, ecco l’argomento che mi interessa di più. Non bastevole il tema del proprio mestiere, cominciare a andare nella piazza interiore, lo so che questa platea forse condivide parzialmente quello che dico, ma la prima rivoluzione è una rivelazione, quello di andare a vedere quanto cambio io, poi vado nella piazza e faccio ha rivoluzione, ma prima devi andare a vedere quanto tu sei responsabile di un cambiamento interno, lo chiamo cambiamento interno lordo, prodotto interiore lordo. Noi abbiamo delle piste di atterraggio molto corte, concetti come economia, morte, vita, malattia, razzismo, sono concetti jumbici, i Jumbosono aerei grandissimi e dentro hanno un sacco di passeggeri-idee. Questi concetti per atterrare richiedono a noi delle piste di atterraggio enormi, un Jumbo per atterrare ha bisogno di chilometri per poter atterrare, noi abbiamo delle piste corte, cortissime da atterraggio in verticale. Noi dobbiamo cominciare un’espansione che poi permetterà di andare a rivoluzionare, ed è già cominciata questa rivoluzione, voi ne sapete qualcosa più di me stando qua dentro ascoltando e vedendo questo Blog. Gli artisti narrano, non costringono e non educano anche se di sottofondo il tema del poter raccontare vorrebbe anche essere più forte, più energetico. Vorrei far sì che si cominciasse una mutazione, che si cominciasse a dire tutti i giorni, tutti i minuti… perché noi votiamo ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, quando guardiamo un handicappato, quando usiamo l’acqua, quando sprechiamo, quando malediciamo, quando diciamo a una persona che ha un tumore: “Poveretto“, sono votazione, stiamo votando, siamo dentro l’urna, è un referendum continuo la giornata. Credo che internamente, anche artisticamente, antropologicamente, filosoficamente non dobbiamo avere paura di queste parole.
Personaggi morti ancora vivi
Io ho un mio Parlamento interiore, un governo interiore, che deve fare cultura tutti i giorni, non demandandolo solo a chi mi rappresenta, cioè a qualcuno di politico. La politica viene dopo e è importantissimo, anche il sociale viene dopo, anche il civile viene dopo, anche l’etica per assurdo viene dopo, prima viene una rivoluzione interiore,un grande cambiamento, devi avere dentro di te una massa di organi che votano, che decidono l’esecutivo, quelli che portano poi a avere un allargamento, ecco la vastità, fare voto di vastità significa questo: non accettare più essere piccoli, essere corti, essere limitati, non accettare più solo di imitare, parodiare, lo dico anche all’artista: “Devi cominciare a cambiare codici, cambiare linguaggio, regola ma internamente, devi cominciare a cambiare scrittura, devi andare altrove, senza dimenticare”… Non è una fuga assolutamente, anzi è uno scavo speleologico perché è da dentro, il problema della mafia è sì un problema politico ma l’ho detto e lo ripeto senza presunzione è anche un problema di anima. Quando parlo di anima non parlo di religione, voglio parlare di una condizione interna che se non cambia non puoi aspettarti nulla, allora vai negli asili a raccontare come è possibile un nuovo politico tra 30 anni, un nuovo magistrato tra 30 anni, un nuovo malato tra 30 anni, un nuovo medico tra 30 anni, un nuovo insegnante tra 30 anni, lo devi lavorare lì!
È una prevenzione mentale, è un concetto di grande fatica, di grande investimento. Le prossime generazioni beccano poco, devi andare a lavorare là per poter narrare una letteratura diversa, mancano i poeti, fatemi dire questa cosa retorica, parlo di una poetica, un amministratore delegato oltre al senso di giustizia, di onestà, deve avere anche un senso poetico, se sei un uomo largo capirai cos’è giusto, cos’è sbagliato, cos’è illegale e ci arriverei per una condizione interna che è sì culturale, antropologica ma è anche proprio di crescita ulteriore, non è più possibile solo andare in certe trasmissioni e parlare di etiche, ce ne siamo accorti da quando ci hanno portato via i risparmi, da quando ci hanno derubato e i neuroni che ci derubano. Le intelligenze, le coscienze è un altro furto, è un concetto anche interiore, è da lì dove nasce tutto, poi andiamo nelle piazze quando abbiamo cambiato, credo che lo dicesse anche Gandhi che saluto in questo momento perché so che ci sta ascoltando, esistono infatti personaggi vivi che sono già morti e personaggi morti che sono ancora vivi.
Era importante poter raccontare questo nei luoghi sbagliati, quali sono i luoghi sbagliati? Tutti, dove puoi farlo? Nella famiglia, dove puoi farlo? Nelle scuole, dove puoi farlo? Negli ospedali. Non puoi parlare di malattia quando ti colpisce, non puoi parlare di violenza sulle donne se sei una donna o se hai una figlia femmina, non puoi parlare della sicurezza stradale o delle morti del sabato sera se hai dei figli giovani, lo devi fare comunque, sono stufo di quelli che raccontano i casi di malasanità perché l’hanno subita, devo interessarmene io. Ecco il lavoro interiore, devo immedesimarmi, prendere “p’arte” entrare, non sono parole, le parole, se dietro non hanno un pensiero sono punte di iceberg, allora prima rivelazione e poi rivoluzione, non accettazione!
Agire interiormente
Il desiderio è dimenticare lo slogan, i giovani devono sognare di più, i giovani non stanno sognando, desiderano, vogliono, sono velleità, parlo di bisogni, necessità, è attraverso anche una dose di irrealtà, sembra irrealtà ma non lo è, che si arriva a conoscere e a pretendere di più dalla realtà.Non posso più andare in una trasmissione e usare gli stessi codici, le stesse parole, gli stessi modi di interpretazione per affrontare satiricamente, parodisticamente le cose, devo cambiare, noi non dobbiamo ricreare ricreazione, dobbiamo creare, inventare e questo lo chiedo a uno studente o a un bambino dell’asilo nido che comincia a guardare un corpo che può essere un corpo anche senza braccia, che comincia a guardare la pelle, i colori, le usanze, i modi di una persona a prescindere dal giudizio di quella persona, che comincia a rendersi conto che non esiste una religione solo, una medicina sola, un corpo solo, una donna sola, ma deve andare a allargare. Piste di atterraggio e concetti enormi e quindi dico anche davanti agli scandali delle prigioni, davanti agli scandali della sanità, non posso pensare solo a ciò che mi capita e quando mi capita. Io sono già colpito da ogni scandalo sulla sanità, da ogni scandalo sulla prigione, anche se non sono io il destinatario di quel danno, ormai l’abbiamo capito: se cade un albero in Amazonia presto ci sono dei problemi anche qua. Metaforicamente uno dice: “Ci sono degli alberi così lunghi ?” Non c’entra, è un concetto di energia che si sposta, tu sei lontano ma sei molto vicino a ciò che accade, non devi solo parlare di cronaca, quello che uccide è il morbo di Kronac, fatemelo ripetere fino alla noia, ormai l’ho detto mi annoio io a dirlo. Il fatto che si parli costantemente di comunicazione, il tema è la conoscenza, non come comunichiamo, non mi interessa come si parla in pubblico, se si parla con più congiuntivi, meno congiuntivi, voglio che ci sia dentro un senso, un concetto, una profondità, della ciccia, è un concetto antivegetariano del pensiero!
A questo punto non è una speranza, io la speranza non ce l’ho, la speranza è l’ultima a morire, a me non interessa chi è ultimo a morire, voglio sapere chi è il primo a rinascere, l’ultimo a morire lo vedo tutti i giorni, la televisione non va accesa, va guardata ma non accesa e l’ho già detto miliardi di volte, ormai noi dobbiamo fare un percorso ulteriore, il problema è il piccolo, l’innocuo, il semplice, non è innocuo il piccolo, è gravissimo, è delinquenziale, allora devi agire prima internamente, interiormente, non è una perdita di tempo. Divulgate, raccontate, parlatene e grazie di questa vostra pista di atterraggio che da chi vi vede sembra comunque abbastanza lunga!
Alessandro Bergonzoni
dal Blog di Grillo