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Con questo libro intendiamo rendere omaggio a quei volontari Garibaldini friulani, sconosciuti ai più, che combatterono a fianco di Giuseppe Garibaldi in quasi tutte le battaglie per l’unità d’Italia. Un’occasione unica per ripercorrere pagine importanti della nostra storia risorgimentale, rivissuta attraverso i racconti di protagonisti coraggiosi, animati da un profondo amore per la Patria ed una indomabile coerenza con i princìpi più alti del pensiero mazziniano.
Ringraziamo gli autori di questa importante ricerca storica che hanno messo in rete l’intera pubblicazione, ricca anche di immagini preziose. (vedi l’indice nelle pagine finali del documento)
E’ stato giudicato emozionante e commovente l’intervento di Benigni al Festival di San Remo 2011; è stato l’intervento di un attore da Oscar che per qualche minuto si è autoinvestito del ruolo di divulgatore della storia patria. Così Mazzini, Garibaldi, Mameli e tanti altri Patrioti sono saliti, per qualche minuto, alla ribalta.
Si, per qualche minuto e grazie a un personaggio stimolante e appassionato come Roberto Benigni, che è riuscito a condensare in poche battute cinquant’anni di storia risorgimentale. Mentre cantava, in un sublime assolo, l’inno di Mameli, prima di ieri sconosciuto nel suo reale significato alla maggior parte dei tifosi del pallone, spuntava una lacrima sulle guance di molti italiani che solo in quel momento percepivano la grandezza degli uomini e delle donne dell’ottocento e la miseria dell’Italia di oggi.
Sorgono, allora, spontanee alcune domande: perchè il divulgatore Benigni può eccitare le coscienze sopite degli Italiani durante uno spettacolo leggero come il Festival di San Remo, quando lo stesso servizio potrebbe e dovrebbe essere assolto dagli insegnanti delle scuole statali della Repubblica? Perchè la televisione, il più potente medium d’informazione, non viene utilizzata per diffondere la storia, i valori e le vicende che sono alla base delle nostre radici repubblicane? Cosa accadrà quando i riflettori si spegneranno sul 150° dell’unità d’Italia?
La risposta, forse, va ricercata in quella mancata formazione degli Italiani che Mazzini, da meraviglioso visionario, anteponeva a tutto, ritenendola indispensabile per il processo di formazione dello Stato unitario. Il compromesso storico che ha demandato alla Monarchia Sabauda il compito di costituirsi capofila dell’unità nazionale, ha di fatto impedito che il pensiero di Mazzini e l’azione di Garibaldi potessero far maturare, nel tempo, la coscienza civile del popolo italiano. Ancora oggi, nei fatti, non riusciamo a considerarci eredi dei Patrioti del Risorgimento e ci accontentiamo che sia un attore a raccontarci, da un palco, la nostra storia.
Paolo Macoratti
L’Associazione culturale “Gruppo Laico di Ricerca” ha organizzato per il primo marzo (centro socioculturale di Via Caffaro, 10 -Roma- Garbatella – ore 21,00) un incontro con Claudio Fracassi, giornalista e scrittore. Il tema è centrato sulla spedizione dei Mille del 1860 su cui l’autore ha costruito, con la precisione dello storico e l’abilità del narratore, il saggio “Il Romanzo dei Mille”.
La nostra associazione, riconoscendo a Claudio Fracassi il merito di aver diffuso e diffondere, attraverso uno stile chiaro e comprensibile a tutti, la conoscenza della storia del Risorgimento Italiano, dell’epopea Garibaldina e della storia della Repubblica Romana del 1849, così preziose per noi e per le future generazioni, ha deciso di conferirgli la Tessera Onoraria dei Garibaldini per l’Italia, che avremo il piacere di consegnargli nella serata del primo marzo.
L’invito ad essere presenti è naturalmente rivolto a tutti.
http://www.youtube.com/watch?v=_Gu-08lHHtw
Inno popolare della Repubblica Romana del 1849
In corsivo il testo di Goffredo Mameli
Musica di Nicola Piovani
Se il Papa è andato via
Buon viaggio e così sia
Non morirem d’affanno
perché fuggì un tiranno
perché si ruppe il canapo
Che ci legava al piè
Viva l’Italia e il Popolo
E il Papa che va via
(Se andranno in compagnia
Viva anche gli altri re)
Addio, sacra corona
Finì la monarchia
Orch’è sovrano il Popolo
Mai più ritorni un re
O Popoli fratelli
Oppressi da mill’anni
Buttate giù i cancelli
Scacciate i re tiranni!
Mai più sui troni siedano
Imperatori o re!
(Al Campidoglio! Il Popolo
dica la gran parola:
daghe i romani vogliono,
non più triregno e stola!)
Discorso introduttivo alla cerimonia del 9 febbraio 2011
Inizia con i quattro articoli del decreto fondamentale dell’Assemblea Costituente, che vi abbiamo distribuito, la meravigliosa avventura della Repubblica Romana; perché meravigliosa, visto che e’ durata solo 5 mesi per poi finire tragicamente nel sangue? Perché quel 9 febbraio si è iniziato a parlare di Italia unita, di patria comune, di fratelli italiani; perché si è parlato per la prima volta, all’art. 3, di “democrazia pura” (demos=popolo, cratos=potere = sovranita’ del popolo).
Sovranita’ del popolo: infatti per la prima volta ci sono state elezioni a suffragio universale, cioè hanno votato i propri rappresentanti all’assemblea costituente: nobili e semplici cittadini, ricchi e poveri, alfabeti e analfabeti, insomma tutte le classi sociali (anche se le donne voteranno solo 100 anni dopo)
Meravigliosa avventura perché i primi provvedimenti sono stati: l’abolizione della pena di morte, l’abolizione della censura, l’abolizione del Tribunale del Sant’Uffizio, della tassa sul macinato, l’abolizione del monopolio del sale.
Meravigliosa avventura per l’istituzione del matrimonio civile, del Ministero della Istruzione pubblica, della riforma agraria.
Meravigliosa avventura perché è stata introdotta la libertà di culto religioso, valida soprattutto per i 3000 ebrei residenti nel ghetto; tutti questi provvedimenti in soli 5 mesi !
5 mesi di progresso morale e civile come mai era accaduto in Italia e in Europa – e proprio in quest’ottica si riesce a capire la disperata ed eroica resistenza in difesa della R.R. dei ragazzi italiani del 1849, malgrado lo strapotere numerico, logistico e tattico dell’esercito francese.
Da quei 180 giorni nascera’ una delle più belle costituzioni di tutti i tempi; come ha detto Fabio Fonzi “la Costituzione piu’ ardita, piu’ profondamente democratica del nostro ottocento”; in questa Costituzione, possiamo affermarlo con certezza, sono le radici dell’attuale Costituzione repubblicana italiana, nata dalle ceneri del fascismo e della monarchia sabauda e ricollegata con la resistenza partigiana, alla repubblica romana del 1849.
Da qui dobbiamo ripartire per riaffermare e rilanciare valori fondamentali che oggi stiamo rischiando di perdere e stringerci in un abbraccio di solidarieta’ sociale per resistere all’avanzata indiscussa dell’egoismo e dell’avidita’ del potere e del denaro. Occorre riaffermare e rilanciare la fraternita’ che ci unisce nell’obiettivo comune di migliorare la condizione civile e morale della famiglia umana.
E qui mi rivolgo, per concludere, alle persone adulte, qui presenti, citando una frase di Giuseppe Mazzini che potete rileggere nel pieghevole che abbiamo distribuito:
“dobbiamo offrire un degno obiettivo a tutta questa gioventu’ pensosa che, nata in mezzo alle rovine, cade subito nel dubbio e nello scoraggiamento; dobbiamo ricercare per l’uomo un’esistenza morale per mezzo dell’entusiasmo e dell’amore”
Il 2 giugno scorso redassi un manifesto che cominciava con queste parole:“L’Italia è molto oltre la crisi di nervi. L’Italia che festeggia oggi la nascita della Repubblica – uno dei pochi momenti della sua storia in cui il popolo è stato sovrano, attuando una rivoluzione istituzionale, che si legava al “vento del Nord”, la grande speranza suscitata dalla Resistenza – si trova a fronteggiare,quasi inerte, una crisi drammatica ”. La crisi cui alludevo non riguardava soltanto l’economia,o le istituzioni, o l’informazione:la crisi era – ed è, tanto più oggi, a sei mesi di distanza –una crisi di sistema. Siamo nel pieno di una decadenza morale e intellettuale, politica e antropologica degli italiani. Come gli eventi del 14 dicembre – tra il Parlamento e la piazza – hanno dimostrato, noi italiani,come in altre stagioni della storia,ci troviamo in una situazione di contrapposizione radicale. Lo scontro è durissimo, e grazie alla prepotenza del tiranno – forte del suo strapotere finanziario e mediatico – si acuisce settimana dopo settimana.
Chi mette in dubbio il valore dell’Unità
NESSUNA CERTEZZA ci è rimasta; basti dire, che mentre ci accingiamo a celebrare i 150 anni di esistenza dello Stato unitario,una forza politica la mette sotto accusa, quasi fosse uno dei grandi mali del Paese, negandone provocatoriamente il valore storico e il significato politico. La Sinistra è spappolata e tenta in qualche modo di raccogliere le sparse membra per rilanciarsi,ma l’impresa appare difficilissima. Le forze di opposizione sono esitanti, e nel momento del redde rationem hanno rivelato la loro debolezza, mostrando quanto grande sia lo spazio tra le dichiarazioni e l’azione:il tycoon a capo del governo,in grado di comprare non soltanto i voti, ma l’anima dei suoi avversari, ride, ride,non cessa di ridere, mentre continua la sua campagna acquisti. Se vi è chi riesce a comprare è perché esiste un mercato sul quale si possono reperire uomini e donne in vendita. Si è sostenuto sovente che il trasformismo è uno dei mali d’Italia; ma qui si tratta d’altro: qui siamo all’infamia, che mostra la pochezza di un’intera classe politica e l’impotenza delle istituzioni,la complicità di una parte dei media; qui siamo alla vendita e acquisto dei voti in Parlamento. In passato e ancora oggi,specie nel Mezzogiorno, certi personaggi politici facevano campagna elettorale col pacco di pasta o con le mille lire tagliate a metà. Ora la compravendita è giunta in Parlamento, gettando ignominia su quel consesso,ma anche su quei partiti che hanno accolto nelle loro file individui non spregevoli, ma spregevolissimi. Ennesimo, certo non ultimo segnale di un degrado ogni giorno più evidente e pericoloso, che dalle istituzioni giunge ai singoli e viceversa. Il catalogo è lungo,tra inefficienze e nefandezze,menzogne e sprechi, iniquità sociali e bassezze morali. Quanto c’è dell’oggi, legato essenzialmente alla figura malefica del Cavaliere e quanto dei nostri ieri nella politica messa in atto da un gigantesco “Partito della Devastazione”? Da dove giungono le miserie odierne?In tal senso giunge opportuno il bel libretto di Paul Ginsborg, lo studioso inglese che da poco ha ottenuto la cittadinanza italiana(pur conservando – e fa bene! –la sua d’origine): Salvare l’Italia (Einaudi) si intitola, significativamente. Un titolo che suona classico, stentoreo, ma non retorico:e io condivido il messaggio che esso contiene e che evoca grandi spiriti, da Cattaneo a Rosselli, da Pisacane a Gramsci.Oggi si tratta di tentare, precisamente,di opporre un ideale “Partito della Salvezza” al partito in atto “della Devastazione”. Ginsborg, con arguzia e ricca informazione, ripercorre molti fili della storia di questo sfortunato Paese, sovente connettendoli a una trama europea. Salvare l’Italia da quali pericoli? – si chiede. Sono quattro:
1) “Una Chiesa troppo forte in uno Stato troppo debole”;
2) il clientelismo,mai debellato e anzi mai affrontato seriamente come un male cronico, gravissimo;
3) “la ricorrenza della forma dittatura”;
4) la “povertà delle sinistre ”.
Il raffronto tra il duce e Berlusconi
LA VICENDA della formazione unitaria, i limiti del Risorgimento,gli errori e le miopie delle classi politiche che si sono succedute nel corso di un secolo e mezzo; le timidezze delle forze di una sinistra che pare aver rinunciato alla “bellezza della lotta”, che costituisce un elemento di fondo del suo background. Particolarmente stimolante il raffronto, tra Mussolini e Berlusconi, e numerando somiglianze e differenze; certo,nota Ginsborg, questo raffronto che fino a qualche tempo fa suscitava riprovazione e quasi scandalo, oggi sta diventando quasi un esercizio obbligato:troppi i punti di contatto, anche nella distanza temporale e nella mutata temperie storica. Ginsborg prova anche – esercizio da lui, come da altri studiosi, già compiuto nel saggio intitolato proprio a Berlusconi (Einaudi,2003) – a sondare le ragioni del successo di questo falso modernizzatore,che seduce le casalinghe avvinghiate al televisore che ogni sera racconta inesistenti famiglie felici, imprenditori capaci, giovani di successo,donne belle e fortunate… A questa Italia passiva e plaudente al sorriso del Cav, che la modella e a sua volta la rispecchia,il nostro nuovo concittadino Paul oppone un’altra Italia: una“nazione mite” ma combattiva,che riscopra la politica dal basso,che sia quasi una guerriglia autenticamente democratica,una Italia di cittadini attivi e non più passivi e inerti. Il Risorgimento,non da prendersi come modello alla lettera, offre buoni spunti in tal senso. E in fondo,come ho scritto io stesso su questo giornale, oggi “non possiamo non dirci garibaldini”.
Angelo D’Orsi – Il Fatto Quotidiano – 7 Gennaio 2011
Il 17 marzo 1861, viene proclamata l’Unità d’Italia. Alla sua realizzazione hanno contribuito anche quei popoli dell’Italia Meridionale ai quali Vittorio Emanuele II da Ancona, il 1° ottobre 1860, ha indirizzato parole di lode e di gratitudine in un suo celebre e significativo proclama.
Il desiderio di libertà, in crescita nei ceti popolari, esplode anche nel Sud, dove la repressione liberticida del Governo borbonico non è stata meno cruenta di quella austriaca nel Lombardo-Veneto e di quella pontificia negli Stati della Chiesa.
Carlo Pisacane, uno dei nomi cari alla nostra storia patria, in una lettera che indirizza a Giuseppe Fanelli, uno dei pugliesi dei Mille, scrive che anche il Sud ha dei doveri tremendi perché …ha sul collo una di quelle tirannidi che degradano chi le sopporta.
E ancora aggiunge che il Sud, non avendo …truppa straniera, in vicinanza di nemico straniero, è quindi …strategicamente parlando, il punto donde l’iniziativa italiana dovrebbe muovere… Il Sud è centro per l’importanza d’ogni suo moto, da essere seguito da tutta quanta l’Italia.
Antonio Gramsci, nelle sue note su “Il Risorgimento” dai “Quaderni del carcere”, afferma …Il Mezzogiorno era ridotto a un mercato di vendita semicoloniale, a una fonte di risparmio e di imposte ed era tenuto “disciplinato” con due serie di misure: misure poliziesche di repressione spietata di ogni movimento di massa con gli eccidi periodici di contadini, misure poliziesche-politiche: favori personali al ceto degli “intellettuali”o “pagliette”, sotto forma di impieghi nelle pubbliche amministrazioni.
Lo storico pugliese Antonio Lucarelli, nelle sue opere “La Puglia nel secolo XIX” e “Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860”, descrive le condizioni di estrema miseria del contadino meridionale nella seconda metà dell’800, definito unanimemente “cafone” con l’aggiunta di appellativi quali “vassallo, ciuccio e villano”.
Questa particolare figura di bracciante meridionale, chiuso nel più completo abbrutimento culturale, è immerso nella superstizione e rassegnato a una vita in cui il sentimento religioso del premio e della punizione eterna svolge un ruolo di impedimento psicologico che lo porta a subire passivamente soprusi, offese e violenze dai proprietari terrieri, che abusano anche delle loro donne e figlie.
Quest’ultima tipologia di personaggi, definiti “galantuomini”, viene identificata nei proprietari e “signorotti terrieri”, che, vivendo nei piccoli centri, costituiscono la classe dirigente, occupando tutte le cariche sociali, usandone a proprio beneficio e a danno degli stessi “cafoni”. Le famiglie dei “galantuomini” si coalizzano per conquistare tutte le cariche elettive e governative, non disprezzando una certa connivenza con il brigantaggio.
Le masse popolari, pertanto, abbrutite dalle condizioni sociali, non possono nutrire ideali e sono quindi ben lontane dal recepire i concetti di libertà, unità e indipendenza, preoccupati, soltanto e naturalmente, della loro sopravvivenza quotidiana.
Tale soggezione psicologica non tarderà a trasformarsi in vera e propria ostilità soprattutto contro la nascente borghesia agraria; atteggiamento abilmente sfruttato dalla dinastia borbonica, dai loro ministri e dal clero, allo scopo di fronteggiare le correnti liberali che iniziano a radicarsi tra i borghesi.
Questa manovra strategica viene posta in atto per la prima volta, verso la fine della Repubblica Partenopea, ultima a essere costituita in Italia nel “triennio giacobino” 1796-99.
Gli avvenimenti di quella grande espressione di libertà e di dignità del popolo meridionale sconvolgono il Mezzogiorno d’Italia, stabilendo un legame privilegiato con la storia del Risorgimento italiano, giustificato anche dalla feroce e sanguinosa repressione messa in atto ad opera dei “Realisti” e “Sanfedisti”, guidati dal famigerato Cardinale Fabrizio Ruffo, chiamato il Cardinale-Generale.
Nella fase più risorgimentale, vengono esaltati gli illuministi e i martiri del 1794, tra i quali Emanuele De Deo di Minervino Murge e i giovanissimi Vincenzo Vitaliano e Vincenzo Galiani, che sono i primi a risvegliare l’Italia “sonnolenta” e a costituire quella linea di continuità che porterà alla soluzione unitaria.
Negli anni del suo esilio milanese, Vincenzo Cuoco nel suo “Saggio Storico” approfondisce quegli eventi e la loro connessione con la più generale questione italiana.
La rivoluzione napoletana del 1799, chiudendo l’età del riformismo, lascia una eredità importante e una traccia indelebile nelle coscienze dei patrioti meridionali, scosse dal sacrificio di Ignazio Ciaia, Mario Pagano e Domenico Cirillo, condannati a morte il 29 settembre 1799.
Le masse popolari, ancora ben lontane dal recepire il messaggio di libertà che si diffonde soprattutto in Puglia, assalgono le città che hanno aderito alla breve e sfortunata Repubblica Partenopea, guidate da capipopolo, spesso briganti, che vengono ricompensati con l’amnistia per i loro delitti, con il riconoscimento dei gradi acquisiti e con l’elargizione di titoli, onorificenze, feudi e proprietà.
Tra i capobriganti più noti di quel periodo emergono: Pronio, Rodio, Michele Pezza di Itri, detto Fra Diavolo e Gaetano Mammone, macellaio di Sora, generale in capo dell’insurrezione borbonica.
Ancora Vincenzo Cuoco e Atto Vannucci nella sua opera “I martiri della libertà”, pubblicata a Milano nel 1872, presso l’editore Treves, descrivono le efferatezze commesse contro le popolazioni delle città repubblicane.
L’assedio di Altamura inizia il 10 maggio 1799, con l’impiego di ingenti truppe; la città, sottoposta a intenso cannoneggiamento, deve soccombere. Non vengono risparmiati donne, vecchi e bambini; conventi di suore profanati e la città data alle fiamme e saccheggiata dalle truppe sanfediste. Le stesse stragi si ripetono ad Andria e a Trani e Gravina viene saccheggiata e data in premio ai mercenari.
Tra le vittime delle repressioni del 1799, si ricordano i patrioti di Ascoli Satriano: Cesare D’Alessandro, i fratelli Francesco, Luigi e Potito Di Autilia, i quattro fratelli Berlingeri, Agostino Papa e Paolo Selvitella; Domenico Di Biase di Canosa; Nicola Piani di Torremaggiore; Orazio Massa di Lecce; Ferdinando Acciano, Nicola Carbone, Savino Colia, Giorgio Lazzarera e Nicola Rosselli di Minervino Murge; Sabino Spada di Spinazzola; Antonio e Giovanni Santelli, Raimondo Galiano e Paolo De Ambrosis Merrè di San Severo; Ettore Caraffa, Antonio Cucco e Giovacchino Montaroli di Andria.
Nei decenni successivi, non solo giovani intellettuali, ma anche artigiani e operai prenderanno coscienza delle nuove idee di libertà.
Il Cilento, definito dalla polizia borbonica “la terra dei tristi” e “culla del ribellismo meridionale”, diventa il fulcro della rivoluzione risorgimentale nel Meridione.
Nel 1828, infatti, i fratelli Patrizio, Domenico e Donato Capozzoli, noti agitatori politici di quella regione, si sacrificano per la causa risorgimentale, dando inizio a quel contributo storico che il Mezzogiorno saprà fornire all’unificazione nazionale; le loro teste mozze vengono esposte nella piazza principale di Valle del Cilento, dove rimarranno fino al 1860, con l’arrivo dei Garibaldini.
La terra pugliese produrrà non solo idee di libertà, ma anche uomini liberi disposti a lottare. L’eco delle fucilazioni, prima dell’11 luglio 1844, quando a Cosenza vengono condannati a morte sei tra i responsabili dei moti del 15 marzo e poi del 25 luglio, nel Vallone di Rovito, dove vengono fucilati i fratelli Bandiera e altri sette patrioti, spinge molti cittadini pugliesi a prendere parte alle lotte per l’indipendenza nel biennio 1848-49.
A Bari e in tutta la Puglia, la sera del 31 gennaio 1848, giunge la notizia che due giorni prima il re Ferdinando II aveva dato il suo assenso alla istituzione del Parlamento, costretto dalle insurrezioni popolari.
E’ un tripudio generale che affratella tutti i ceti. Nella provincia di Bari si fanno notare tre patrioti definiti nei rapporti di polizia “demoni del paese”, “nemici irreconciliabili del re” e “fomentatori d’ogni tumulto”: Francesco Cirielli, Francesco Raffaele Curzio di Turi (uno dei Mille) e Giulio Cesare Luciani.
Curzio e Luciani saranno i promotori della questione agraria per il diritto del contadino a possedere la terra che lavora, contro lo sfruttamento dei proprietari. Purtroppo, gli schieramenti politici, nella lotta contro la tirannide borbonica, sono condizionati agli interessi economici che spesso prevalgono sul sentimento patriottico.
La borghesia pugliese e meridionale è costretta a combattere su due fronti: il Governo borbonico e le classi operaie che, stanche delle promesse non mantenute, non riescono a contenere il desiderio di libertà che potrebbe costituire una valida premessa per il miglioramento economico e sociale.
La “Dieta di Bari” del 2 luglio 1848, alla quale partecipano i delegati di tutti i Comuni, non ha lo sperato successo, evidenziando anzi profonde divergenze. Immediata é la reazione del Re di Napoli, che invia in Puglia le sue truppe, in pieno assetto di guerra, al comando del Gen. Marcantonio Colonna, che raggiunge il 22 luglio Cerignola, dal 27 al 28 le truppe borboniche sono a Trani e a Molfetta e il 12 agosto entrano minacciose in Bari.
L’intervento militare determina la riapertura della Dieta con successivi rinvii al 30 novembre e poi al 1° febbraio 1849, ma ancora una volta senza alcuna conclusione positiva.
Nel marzo del 1849, dalla corte di Napoli giunge l’ordine di sciogliere la Camera con la revoca delle garanzie costituzionali. La restaurazione del dispotismo ha immediatamente corso con l’impiego della forza e del terrore. Vengono aboliti i simboli libertari, ponendo al bando la bandiera tricolore, revocando i privilegi, perseguitando gli studenti e licenziando gli impiegati colpevoli di aver aderito alle nuove idee.
Il re Ferdinando II, inasprito anche dall’insuccesso della sua spedizione contro i difensori della Repubblica Romana e dalle due sconfitte subite a Valmontone e Palestrina il 9 maggio 1849 e a Velletri il 19 maggio 1849 ad opera dell’Esercito repubblicano, guidato dal Gen. Garibaldi, pone in atto una dura repressione nei confronti dei patrioti pugliesi, che si sono battuti con coraggio per il loro ideale di libertà nel ’48 e ’49.
Cadono vittime della repressione: Nunzio Piemonte di Lucera; Spiridione Perisano di Foggia; Savino Acquaviva di Canosa e Giovan Battista Olivo di San Severo.
Infatti, tra il 1850 e il 1852, numerosi liberali pugliesi vengono processati e imprigionati o costretti a fuggire all’estero e in altri Stati italiani per poter continuare la lotta contro la tirannia borbonica. Questi anni sono proficui di germogli di libertà alimentati dagli scritti e dalle idee mazziniane.
Tra i repubblicani, troviamo il salentino Giuseppe Libertini, Giuseppe Fanelli di Martina Franca (TA) e Nicola Mignogna di Taranto (gli ultimi due partiranno con i Mille il 6 maggio 1860).
Tra i patrioti pugliesi, meritano di essere ricordati: Bonaventura Mazzarella, poi condannato a morte, Saverio Barbarisi di Foggia, giustiziato nel 1851, Giacomo Lacaita, Sigismondo Castromediano di Cavallino nel Salento, Cesare Braico di Brindisi (poi tra i Mille), Domenico dell’Antoglietta di Lecce, Nicola Schiavone di Manduria, Giuseppe del Drago di Polignano a Mare, Gioacchino e Salvatore Stampacchia, Beniamino e Giovanni Rossi, Vincenzo e Alfonso Vischi, i musicisti Lillo e De Giosa, Giuseppe Del Re, Giuseppe de Cesare, Luigi Zuppetta di Castelnuovo Dauno, condannato a morte, Giuseppe Pisanelli collaboratore di Pasquale Stanislao Mancini, il pittore Saverio Altamura di Foggia, il medico Vincenzo Lanza, l’anziano Luca de Samuele Cagnazzi.
Molti tra questi sono stati educati nei Collegi degli Scolopi e nei Seminari pugliesi di Molfetta, Altamura, Conversano, Monopoli, Taranto, Lecce, Brindisi e Lucera.
Nel decennio successivo, si costituirà in Terra di Puglia il Partito Nazionale o Partito d’Azione i cui membri sono patrioti che si dedicano, con grave rischio personale, alla riorganizzazione della lotta contro l’oppressore borbonico, riuscendo a riallacciare i collegamenti con gli esuli e con i due principali artefici del Risorgimento: Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini.
Il tentativo di Carlo Pisacane e dei suoi trecento, conclusosi tragicamente a Sapri (SA) il 29 giugno 1857, e le esaltanti notizie delle annessioni degli Stati del centro-nord al Regno Sardo, impressionano fortemente le masse contadine che iniziano a rivelarsi, guidate dalla già collaudata borghesia con azioni di guerriglia contro le truppe borboniche.
Anche questi sentori di reazione contribuiscono a sollecitare alcuni mazziniani e Francesco Crispi a esortare Garibaldi per un’azione armata e unificatrice, a iniziare dallo Stato borbonico e partendo dalla Sicilia.
Chi tenta di dimostrare che fu un errore l’unità con il Piemonte e con gli altri Stati italiani, affermando che la “Questione meridionale” fu la più grande piaga della storia moderna, ha dimenticato gli anni di negazione della dignità umana che si identificano con i periodi di regno di Ferdinando I e II e per finire con quello di Francesco II di Borbone.
Garibaldi conosce perfettamente il sentimento di libertà dei pugliesi e ne viene costantemente aggiornato da suo fratello Felice, nato nel 1815, che dal 1835 al 1852 ha soggiornato a Bari dove ha svolto una intensa attività commerciale come rappresentante ufficiale della “Casa Avigdor Airè & fils”, occupandosi del mercato dell’olio d’oliva in ambito europeo; amico dei commercianti baresi Diana, grossisti delle derrate agricole di Puglia e di famiglie titolari di industrie di saponi e oli.
Più alto di Giuseppe e sempre molto elegante, Felice divide con il fratello la fama di “cacciatore di donne”, non considerata un demerito, come riferisce Giuseppe Guerzoni. Nel 1852, deve abbandonare Bari perché accusato dal Marchese Luigi Ajossa, Intendente di Bari da ottobre 1849 a maggio1855, di diffondere idee dannose per l’ordine pubblico. Muore nel 1855, lasciando a Giuseppe in eredità lire 35.250, somma che il Generale impiegherà per acquistare una prima parte dell’Isola di Caprera.
Mazzini non ha mai abbandonato il suo intimo convincimento che nel Sud vi sono i presupposti per una vera rivoluzione che avrebbe portato alla realizzazione del suo sogno repubblicano.
Il Partito d’Azione in Puglia e nel Sud crea numerosi proseliti in condizioni proibitive a causa del rigoroso controllo poliziesco. Lo storico Giancaspro, nel suo libro sull’insurrezione in Basilicata e nel barese nel 1860, pubblicato a Trani, riferirà che:…erano proibite le riunioni, le corrispondenze religiose e private; nei giorni festivi era vietato agli artigiani di aprire le botteghe e organizzare riunioni; i sospetti venivano continuamente spiati…le misure restrittive di polizia giungevano ad adottare ridicoli e assurdi provvedimenti: in pubblico venivano rasi baffi e barbe in quanto accessori sintomatici di ribellismo…
Dopo un estenuante viaggio in Puglia, nella sua reggia di Caserta, si spegne a soli cinquant’anni il Re di Napoli: è il 22 maggio 1859. Il Sud, che ha assistito fremendo alle vicende della guerra del 1859, ha un nuovo re, Francesco II, figlio di Ferdinando, un giovane imbelle e bigotto che per il suo pallore viene soprannominato “lasagnone”.
Il nuovo re di Napoli ha conosciuto a Bari la sua giovane regina, Maria Sofia di Baviera, sorella della più famosa Elisabetta, imperatrice d’Austria e di Ungheria. La sua chiusura totale ai problemi sociali e l’assoluta indifferenza agli avvenimenti esterni esortano gli animi dei patrioti a intensificare la lotta, estendendo l’azione informativa dei problemi unitari nelle scuole, nei collegi, tra gli artigiani e gli operai e ad ogni livello sociale.
Questo intenso fervore patriottico dà i suoi frutti: tra i 1089 volontari, che partono da Quarto ( Genova) nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, vi sono otto pugliesi:
Cesare Braico, nato a Brindisi il 24 ottobre 1816. Laureato in medicina all’Università di Napoli, viene incarcerato nella stessa città per aver partecipato ai moti del 1848; ottiene fortunosamente la libertà dopo dieci anni. Partecipa alla 2^ Guerra d’Indipendenza, alla Spedizione dei Mille e nel 1866 alla 3^ Guerra d’Indipendenza. Deputato al Parlamento, viene ricoverato in un ospedale psichiatrico a Roma, dove muore il 27 luglio 1887.
Vincenzo Carbonelli, nato a Taranto il 20 aprile 1820. Medico, Deputato al Parlamento, combatte a Roma nel 1849 in difesa della Repubblica Romana; nel ’60 è con i Mille. Nel 1866 combatte a Bezzecca e nel 1867 a Mentana. Muore a Roma il 16 ottobre 1901.
Giuseppe Fanelli, nato a Martina Franca (TA) il 13 ottobre 1827. Partecipa ai moti di Napoli del 1848; alla 1^ Guerra d’Indipendenza e alla difesa di Roma nel ’49. Nel 1857, collabora con Carlo Pisacane all’organizzazione della sfortunata Spedizione di Sapri. Nel ’60 è con i Mille e nel 1865 viene eletto nel Collegio di Monopoli (BA); nel 1871 è Deputato nel Collegio di Torchiara nei pressi di Salerno. Tra il 1869 e il 1875, favorisce nel Meridione e, successivamente a livello europeo, la nascita della nuova organizzazione socialista. Ricoverato in una clinica a Capodichino (NA), muore il 5 gennaio 1877.
Guglielmo Gallo, nato a Molfetta (BA) il 22 aprile 1826, non figura nell’elenco ufficiale dei Mille, ma la sua partecipazione alla Spedizione è storicamente accertata. Nel 1848, si unisce al gruppo di volontari che intendono marciare su Napoli contro i Borboni. Partecipa alla difesa di Roma nel 1849. Nel 1860 è tra i Mille e a Talamone viene aggregato alla Compagnia dei 64 Volontari che, al comando del Col. Callimaco Zambianchi, vengono incaricati di tentare una diversione nello Stato Pontificio; si riunirà all’Esercito Meridionale, aggregandosi alla Spedizione Cosenz. Guglielmo Gallo muore a Molfetta il 7 febbraio 1896.
Moisé Maldacea, nato a Foggia il 16 aprile 1826, partecipa alla difesa di Venezia nel 1848. Nel ’59 è Sottotenente nei Cacciatori delle Alpi e nel ’60 è tra i Mille. Viene integrato nel Regio Esercito con il grado di Maggiore e successivamente promosso Tenente Colonnello. Dal 1878, risiede a Bari, dove per vivere gestisce un banco del lotto. Nominato 1° Presidente della Croce Rossa in Puglia e Basilicata e Presidente della Società Reduci delle Patrie Battaglie, muore nella stessa città, il 21 marzo del 1898.
Nicola Mignogna, nato a Taranto il 28 dicembre 1808, si trasferisce a Napoli dove si iscrive alla facoltà di legge. Nel 1835, aderisce alla Giovine Italia. Nel ’48, viene incarcerato e torturato. Nel ’60 è tra i Mille nella 7^ Compagnia comandata da Benedetto Cairoli. Muore a Giuliano di Campania il 31 gennaio 1870 e viene sepolto a Napoli.
Filippo Minutilli, nato a Grumo Appula (BA) il 12 maggio 1813. A Napoli frequenta la Scuola Militare della Nunziatella. Con Vincenzo Orsini partecipa in Sicilia alla rivolta del ’48 e viene nominato Direttore del Corpo del Genio, con il grado di Maggiore. Tra i Mille, viene incaricato da Garibaldi di organizzare il Corpo del Genio. Transitato nel Regio Esercito, con il grado di Colonnello comanda il 54° Reggimento di Fanteria. Muore a Genova il 22 ottobre 1863.
Nicola Melodia di Altamura, patriota, combattente e testimone oculare, assicura che sul Volturno erano presenti centinaia di pugliesi.
Cadono in combattimento, tra il 1860 e il 1861: Domenico Lippi di Biccari; Vito Melsi di Bovino; Luigi Turilli di Spinazzola; Alvares Valentini di Foggia e Nicola Melchionna di Candela.
Tra maggio e ottobre 1860, la Puglia e tutto il Meridione assistono, subendole, a due invasioni: l’avanzata dell’Esercito Volontario Meridionale, proveniente dalla Sicilia verso il Nord e la discesa dell’Esercito Sardo-Piemontese, eventi straordinari che si verificano in un contesto di grandi agitazioni sociali, comprendenti anche le assegnazioni delle terre demaniali.
Il rapido svolgersi della Campagna del 1860 e le conseguenti procedure di annessione dei territori meridionali costringono l’Armata Sarda a penetrare nel Sud senza alcuna preparazione preventiva, ritardando il controllo completo del territorio; infatti, per tutto il 1861, alcune zone sono ancora prive di presidi dell’Esercito regolare, peraltro in piena fase di ristrutturazione.
A rendere la situazione ancora più precaria, concorre, senza alcun dubbio, il gran numero di uomini senza occupazione fissa, situazione che si verifica con lo scioglimento dell’Esercito Meridionale, circa 20.000 uomini, e dell’Esercito Borbonico, circa 70.000. Tale circostanza negativa, che lascia senza mezzi di sostentamento quasi 100.000 uomini tra Borbonici e Garibaldini, è causa dell’insorgere di una potente e pericolosa opposizione al nuovo Stato unitario, alimentata e incoraggiata dal clero, in linea di massima ostile al nuovo Governo di cui paventa le leggi considerate eversive.
Fa eccezione una certa categoria del clero, quella secolare, che vive in famiglia e che manifesta la propria avversione, a livello ideologico, come il ricusare l’esecuzione del “Te Deum” nelle feste e ricorrenze nazionali e, a livello pratico, con il manutengolismo e il favoreggiamento delle renitenze e diserzioni.
Quando il Governo stabilisce la coscrizione obbligatoria, la popolazione meridionale reagisce fieramente. I renitenti raggiungono l’enorme numero di 6.000 uomini, ai quali si dà una caccia spietata, trattando famiglie e villaggi con crudeltà inaudita, tanto da suscitare l’indignazione del Gen. Garibaldi che, nel 1864, si dimette dal Parlamento.
Nel 1862, il Meridione è, suo malgrado, palcoscenico di un tragico scenario, che vede protagoniste le truppe regolari del Regio Esercito Italiano, appena costituito, e i Volontari guidati dal Gen. Giuseppe Garibaldi: uno scontro fratricida che rappresenterà l’episodio più doloroso della storia del Risorgimento Italiano.
“Roma o morte”, un grido disperato che fa eco a quanti, stanchi dell’inazione del Governo Italiano, seguono Garibaldi nell’improbabile tentativo di ripercorrere vittoriosamente l’itinerario di due anni prima, che ha come fine l’invasione dello Stato Pontificio, liberare Roma e farne la Capitale d’Italia.
Sull’Aspromonte, il 29 agosto 1862, avviene la scontro tra le due formazioni; di breve durata, ma sufficiente per causare il ferimento dello stesso Garibaldi e del figlio Menotti, la morte di 7 Garibaldini e di 5 Regolari e il ferimento di 14 Soldati e di 20 Garibaldini, come viene riportato nel Rapporto del 2 settembre 1862, a firma del Gen. Enrico Cialdini, Comandante delle truppe in Sicilia, pubblicato su “Italia Militare”, nel n.17, Anno I, Torino 9 settembre 1862.
Tra i 7 Volontari caduti, di cui due ignoti, ritengo doveroso ricordare i nomi dei due cittadini di Ascoli Satriano: Ciriaco Luca Raduazzo e Potito Selvitano; Alessandro Monticco di S. Vito al Tagliamento; il romagnolo Nicola Ricci e Ignazio Urso di Palermo.
Nei confronti dei Garibaldini si scatena una vera caccia all’uomo e molti vengono fucilati, con processi sommari, anche per diserzione, per aver seguito il Generale Garibaldi; tra questi meritano di essere ricordati: Francesco Cibello di Troia; Francesco Tocco e Giuseppe Bova di Biccari; Nicola Cipparone di Casalnuovo Monterotaro; Pasquale Chiccoli di Spinazzola; Raffaele De Santis e Michele Zurro di Lucera; Michele Frisoli di Bovino (gli ultimi tre fucilati nei primi del 1863).
Nel 1866, a centinaia accorrono dalla Terra di Puglia per partecipare alla 3^ Guerra di Indipendenza. Tra i caduti in quella Campagna, si contano i seguenti volontari pugliesi: Antonio Passantonio e Gabriele Tanzano di S. Marco in Lamis; salvatore Mastropaolo, Ciro Dambra e Ruggero Pilannino di Barletta; Michele Di Mauro e Luigi Bonghi di Lucera; Vito Amoruso e Vito Massari di Bari; Raffaele D’Alessandro, Michele Pinto e Luigi Carpano di Manfredonia; Alessandro Francesco Paolo Paladino di Candela; Luigi Leone, Battista Cattaldo, Giuseppe Conte e Domenico Gigante di Taranto; Antonio Cappelli di Brindisi e Alessandro Castelnuovo di Serracapriola.
L’aver scelto, con Decreto del 6 maggio 1866 del Governo La Marmora, insieme a Como, Varese e Bergamo, Bari e Barletta come sedi di arruolamento dei Volontari per la formazione di sei Reggimenti, costituisce, da parte del Gen. Garibaldi, un giusto riconoscimento alla Terra di Puglia e ai suoi valorosi figli.
I pugliesi, in segno di sincera gratitudine lo eleggono Deputato nel Collegio elettorale di Andria (BA) e, inoltre, la città di Lucera, in provincia di Capitanata, storica denominazione del territorio di Foggia, assegna al Generale una rendita vitalizia di lire trecento.
In alcune città pugliesi, vengono costituiti associazioni e comitati a sostegno del movimento unitario; ne cito alcuni. A Bari si costituiscono: la Società Reduci delle Patrie Battaglie; l’Associazione dell’Italia Una, con sede centrale a Napoli, e l’Associazione Filantropica delle Signore Baresi; ad Alberobello (BA): l’Associazione dei Comitati di Provvedimento e l’Associazione Emancipatrice Italiana, con sede centrale a Genova.
Con questo mio intervento, ho voluto rendere omaggio e dare il giusto risalto al contributo offerto dalla mia Terra di Puglia per la realizzazione dell’Unificazione nazionale e alla partecipazione attiva, ai sacrifici, alle sofferenze e all’eroismo silenzioso dei tanti patrioti pugliesi, nostri conterranei, spesso dimenticati e quasi sempre esclusi dalle commemorazioni ufficiali, ma sicuramente degni di occupare un meritato e dignitoso posto nel gran libro della Storia d’Italia.
Relazione del Col. Nicola Serra, cultore di storia militare, in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.
Immagini delle divise storiche dei garibaldini, diversificate per età, impiego e appartenenza a piccoli nuclei d’intervento
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9 febbraio 2011 | ||
15:00 | a | 17:00 |
Roma – Sacrario dei caduti – 1849/1870
Mercoledi 9 Febbraio 2011, ore 15,00 – Roma, via Garibaldi n°29/e
faremo memoria della Proclamazione della Repubblica Romana del 1849.
Hanno aderito: l’Associazione Nazionale Garibaldina (A.N.G.), l’Associazione culturale “Gruppo Laico di Ricerca”, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.), il Comitato di Quartiere Monteverde Quattro Venti, studenti e professori delle scuole romane
Saranno presenti la banda musicale dei vigili Urbani del Comune di Roma e il coro del liceo Bertrand Russel di Roma
E’ nostra intenzione promuovere, iniziando da questo appuntamento, un percorso con i giovani studenti delle scuole romane, al fine di stimolare ed orientare il loro interesse verso la storia del Risorgimento e la formazione dei principi costituenti il nostro ordinamento repubblicano, e fare memoria degli uomini e delle donne che hanno contribuito a realizzarli. In questo primo incontro i ragazzi potranno, aiutati e coordinati dagli insegnanti, fotografare, filmare, intervistare, elaborare un resoconto giornalistico della celebrazione suddetta, cui potrà seguire un nostro intervento successivo, se richiesto, in forma di visita guidata nei luoghi delle battaglie per la difesa della Repubblica Romana o con interventi nella/e classi interessate.
Il vasto e complesso fenomeno che si sviluppò nelle regioni meridionali italiane nel settembre-
ottobre 1860, mentre era ancora in atto l’assedio di Gaeta, e che durò con crescente intensità
per quasi sette anni per poi lentamente affievolirsi, fu il segno più evidente del disagio delle
popolazioni rurali del Meridione di fronte al nuovo Stato nazionale che si andava delineando
dopo la fine del Regno delle Due Sicilie.
Il primo risveglio degli studenti dell’Archiginnasio di Roma (successivamente denominato Università di Roma La Sapienza) è legato a un documento, di cui non rimane traccia, presentato al Papa Pio IX in Quirinale………
(All’interno dell’articolo: per la citazione riguardante l’Inno degli Studenti si rimanda al documento presente nel sito)
Paul Ginsbor : Salviamo l’Italia
Il 150° anniversario della nazione non dovrebbe essere solo l’occasione per sventolare bandiere tricolori o indulgere nella retorica: richiede invece un ripensamento profondo sulla storia d’Italia e sul contributo del Paese al futuro del mondo moderno…
Giulio Einaudi Editore
Caffi-Calosso-Chiaromonte-Gobetti-Gramsci-Rosselli-Salvemini-Venturi:
L’unità d’Italia – Pro e contro il Risorgimento
Discutere le origini della nostra nazione è oggi di moda, ma lo si fa in modo strumentale, ipocrita, retorico. Dopo le riflessioni storiche di Gobetti, Gramsci e Salvemini, si aprì nel 1935 su “Giustizia e Libertà”, la rivista parigina degli esuli antifascisti, un dibattito avviato con provocatoria irriverenza da Andrea Caffi, in cui intervennero con altrettanta spregiudicatezza alcune delle menti più lucide e laiche del nostro secolo
Edizioni e/o
Giuseppe Mazzini : Pensieri sulla democrazia in Europa
Dall’Agosto 1846 al giugno 1847 Giuseppe Mazzini, esule a Londra, pubblica sul “People’s Journal” otto articoli sulla democrazia. Con questi interventi, di cui in Italia è nota solo la rielaborazione in italiano del 1852, Mazzini si inserisce a pieno titolo nel dibattito europeo sulla democrazia, iscrivendo di fatto il proprio nome tra i suoi protagonisti più illustri: Torqueville, Blanc, Cabet, Mill……..
Universale economica Feltrinelli
Giuseppe Mazzini : Dei doveri dell’uomo – Fede e avvenire
E’ considerata l’opera fondamentale di Giuseppe Mazzini, padre del Risorgimento italiano. Dedicata agli operai italiani, elemento centrale e vitale nella riforma politica ideata da Mazzini, l’opera afferma l’illusorietà delle troppo facili dottrine basate “esclusivamente<2 sui diritti e ribadisce la necessità di indirizzarsi sulla via dei “doveri”, l’unica dalla quale possono scaturire i diritti.
Mursia Editore
Goffredo Mameli : Fratelli d’Italia
La vicenda specifica di Mameli illustra con efficacia la condizione di “esilio in patria” di cui hanno sofferto a lungo i democratici della storia italiana. Infatti essa allude alla difficoltà con cui il termine rrepubblicano” è entrato nella cultura degli Italiani. Una parola”repubblica” e un sentimento che non hanno mai goduto di una cittadinanza particolarmente benevola e che proprio nel 1848 acquistano un connotato preciso. Negli scritti di Mameli c’è tutto il ’48 italiano: l’anelito della patria; la convinzione che la storia si produca solo attraverso un riscatto popolare…
Universale economica feltrinelli
Giuseppe Garibaldi : Memorie
Queste memorie autobiografiche, scritte a più riprese tra il 1849 e gli anni dell’esilio a Caprera, e che narrano la vita e le imprese dagli anni della giovinezza all’intervento in Francia (1871), mostrano un Garibaldi diverso e forse più grande di quello che ci consegna la leggenda. Si scopre che Garibaldi odiava profondamente la guerra e il militarismo: per lui non si trattò mai di combattere per combattere, ma di combattere per cause giuste, e dunque innanzitutto di compiere scelte politiche, che lo videro costantemente dalla parte delle forze concretamente progressiste.
Edizioni Bur
Giuseppe Bandi : I Mille
Questo libro è il racconto delle avventure dei mille ragazzi che si imbarcarono a Quarto con Garibaldi e andarono a liberare la Sicilia e l’Italia meridionale. Dimentichiamoci tutto quello che del Risorgimento è scritto sui liri di storia, e consideriamolo proprio un libro di avventure, le avventure raccontate da chi ebbe la fortuna e il coraggio di viverle davvero, poco più che ragazzo.
Eretica speciale – stampa alternativa
Claudio Fracassi : La meravigliosa storia della Repubblica dei briganti
Con uno stile narrativo incalzante, fresco e avvincente, l’Autore squarcia il velo polveroso che troppo spesso ricopre il nostro Risorgimento e riporta in vita i personaggi e le vicende dell Repubblica Romana, “uno dei grandi spettacoli della storia”, destinato a concludersi con la sconfitta, che sarebbe durata un secolo, dell’ipotesi di un’Italia repubblicana e democratica
Mursia Editore
Claudio Fracassi : La ribelle e il Papa Re
La straordinaria e drammatica avventura personale e politica della ribelle Giuditta Tavani Arcuati, al centro dell’organizzazione clandestina dell’insurrezione, è ricostruita con il ritmo di un romanzo, in base a una rigorosa e originale documentazione archivistica.
Mursia Editore
Claudio Fracassi : Il romanzo dei Mille
Con gli occhi stupefatti dei volontari venuti dal nord, e attraverso i loro racconti, il libro ripercorre quelle ore e quei giorni: il finto sequestro delle navi a Genova, la tumultuosa traversata, la fredda accoglienza iniziale e il crescente entusiasmo di una popolazione sconosciuta, la fame e le pene degli accampamenti, le paure e il sangue delle lotte corpo a corpo, le barricate di Palermo. Sullo sfondo gli intrighi della diplomazia , lo sgretolamento del regime dei Borboni, il febbrile interesse dell’opinione pubblica europea. Un’originale ricostruzione dell’impresa che fece l’Italia unita, documentata come un resoconto di viaggio, appassionante e avvincente.
Mursia Editore
Barbara Minniti : Casa Collins
Le memorie di Emma Collins, la “segretaria inglese” di Garibaldi che visse sull’isola della Maddalena, proprio di fronte ai possedimenti dell’eroe. Da suo osservatorio privilegiato Emma racconta, con humor e in uno stile semplice e scorrevole che appassiona, le vicende del Risorgimento tra il 1855 e il 1868, attraverso le storie di una miriade di personaggi che passano da Caprera…
Edizioni polistampa
Denis Mack Smith : Garibaldi – Una vita a più immagini
Raccolta di testimonianze e giudizi dei contemporanei di Garibaldi che restituisce più di qualsiasi analisi lo spirito del tempo e le difficoltà verso l’Unità e l’indipendenza inocntrarono gli uomini che fecero l’Italia. Arricchisce il volume un importante apparato iconografico che copre le varie epoche e i principali eventi della vita di Garibaldi
Passigli Editori
Alfredo Venturi : Sotto la camicia rossa
Un saggio divulgativo che ci racconta Giuseppe Garibaldi com’era prima che una colata di retorica lo trasformasse in una statua di bronzo. E subito una prima grandissima sorpresa: fare scendere l’Eroe dei Due Mondi dal piedistallo non lo diminuisce affatto, esalta invece quell’irresistibile umanità che l’enfasi patriottica si è sempre preoccupata di nascondere e mortificare.
Edizioni. Hobby & Work
Luisa Mattia e Paolo D’Altan: I jeans di Garibaldi
un racconto per bambini delle elementari, con diverse illustrazioni, una storiella che si svolge dentro l’impresa dei mille
Editrice Carthusia
Patrizia Laurano : Garibaldi fu sfruttato
Giuseppe Garibaldi è l’italiano più conosciuto, è l’eroe per eccellenza. Il poncho, l’amore per Anita, i Mille hanno reso la sua vita una leggenda senza tempo. Una leggenda su cui hanno tentato di mettere la propria bandiera sia le camicie nere del regime fascista, che i fazzoletti rossi della battaglia resistenziale. Il libro ricostruisce la nascita del mito garibaldino, la sua diffusione e la tentata appropriazione da forze politiche avverse, nella speranza di ritrovare, in Garibaldi, la capacità di parlare al popolo e di muovere le masse in occasione delle decisive elezioni del 1948.
Saggi Pop
Daniela Longo e Rachele Lo Piano : Lorenzo e la Costituzione
“Perché non può esserci unità senza una base comune: la nostra Carta Costituzionale. Per questo renderla accessibile fin da piccoli – percrescere come cittadini responsabili e consapevoli dei propri diritti e doveri – è uno dei modi migliori per festeggiare il nostro Paese”. Un libro dai 7 anni in su
Sinnos Editrice
Ermanno Rea : La fabbrica dell’obbedienza – Il lato oscuro e complice degli Italiani
Spunti interessanti di ricerca sul male che affligge da secoli gli Italiani, che li rende poco inclini alla responsabilità undividuale e collettiva. Non potrà mai realizzarsi l’unità d’Italia se prima non analizziamo criticamente le radici della nostra formazione; non potremo mai considerarci destinatari delle idee del Risorgimento se prima non ci liberiamo dei fardelli culturali che ci hanno oppresso e ci opprimono da secoli.
Feltrinelli
Gigi Di Fiore : Controstoria dell’unita’ d’Italia
Una rassegna degli intrighi, degli abusi e degli inganni che accompagnarono il processo di unificazione; i vizi di origine di un risorgimento che non fu solo lotta contro il dominio straniero, ma ebbe anche caratteri di guerra civile. Un libro che si occupa principalmente delle “conquiste” territoriali piemontesi, del brigantaggio e degli eserciti sconfitti, trascurando intenzionalmente quella parte di popolo italiano che cambiò la storia della penisola, con il sacrificio, la sofferenza e la vita. Di questa ristretta “elite” di uomini e donne si parla come di avventurieri e di mercenari, mentre dei veri mercenari, al soldo di Pio IX, si dice siano stati mossi ad arruolarsi nell’esercito papalino per “fede”, animati dallo siprito di una vera e propria crociata… . Un libro ricco di utili informazioni, sebbene animato da una eccessiva vena demolitoria delle pagine più alte del nostro Risorgimento.
Bur saggi
Paolo Brogi : La lunga notte dei Mille
Le avventurose vite dei Garibaldini dopo la spedizione del ’60. “Se ne andarono in ogni direzione, a costruir colonie e ad attaccarle, a chiedere la guerra ma anche la pace, chi verso un ministero e chi scegliendo l’Aventino, alcuni di destra, altri di sinistra, in un’Italia che stav a loro stretta e che spesso abbandonarono per altre frontiere”
Liberi editore
Mario Isnenghi : Garibaldi fu ferito
“La condanna a morte di Garibaldi nel 1834, non austriaca ma piemontese, e quella sorta di fucilazione procrastinata che fu la ferita nello scontro sull’Aspromonte solo un anno dopo l’Unità: due elementi che restituiscono veridicità e nerbo alla favola delle origini. L’uomo e il simbolo stanno stretti nell’immagine rassicurante del rivoluzionario disciplinato, cucitagli addosso dai trasformisti neo-monarchici, ex mazziniani e garibaldini che costituiscono buona parte della classe dirigente dell’Italialiberale.Persino i monumenti che riempiono le piazze coltivano immaginari alternativi, contraddicendo le forme usuali della rispettabilità borghese. Ecco perché il mito di Garibaldi può risorgere ogni volta in forme diverse: nell’ottocento proto-socialista e nel novecento interventista della Grande Guerra; nella presa di Fiume e nella guerra di Spagna; nella resistenza dei partigiani garibaldini vicini al partito comunista e nei simboli elettorali del Fronte popolare….”
Donzelli editore
Marco Severini – La Repubblica Romana del 1849
Un affresco rigoroso delle vicende che portarono la Repubblica Romana del 1849 ad imporsi, nello scenario internazione, come uno degli eventi più importanti del Risorgimento Italiano. E’ sempre più evidente, agli studiosi come agli appassionati, di quanta e quale importanza assunsero e assumono anche oggi l’idealità, la politica e le vicende umane ed eroiche di quella Repubblica democratica di 162 anni fa.
Marsilio Editori
Maurizio Viroli – La libertà dei servi
Gli italiani hanno dimostrato nei secoli una spiccata capacità di inventare sistemi politici e sociali senza precedenti. Anche la trasformazione di una repubblica in una grande corte è un esperimento mai tentato e mai riuscito prima. Rispetto alle corti dei secoli passati, quella che ha messo radici in Italia coinvolge non più poche centinaia, ma milioni di persone e le conseguenze sono le medesime: servilismo, adulazione, identificazione con il signore, preoccupazione ossessiva per le apparenze, arroganza, buffoni e cortigiane. Poiché il sistema di corte ha plasmato il costume diffondendo quasi ovunque la mentalità servile, il rimedio dovrà essere di necessità coerente alla natura del male, vale a dire riscoprire, o imparare, il mestiere di cittadini. Per quanto sia ardua, è la sola via. Il primo passo è capire il valore e la bellezza dei doveri civili.
Laterza – collana anticorpi
Mimmo Franzinelli – Ultime lettere dei condannati a morte e di deportati della Resistenza 1943 – 1945
Una fonte autentica per sapere che cosa muoveva gli animi dei protagonisti della Resistenza è costituita dai loro messaggi indirizzati ai famigliari nell’imminenza della fucilazione o durante il penoso trasferimento verso i campi di sterminio del Reich.
LOsca storia Mondadori – Marzo 2006
Mario Pacifici – Una cosa da niente e altri racconti
Le leggi razziali del ’38 – La discriminazione antisemita in dodici racconti – il dramma di una minoranza tradita dal regime ed estromessa dalla propria Patria…Dopo la sconfitta del fascismo la facile autoassoluzione di chi non aveva avuto la forza d’indignarsi.
Opposto Edizioni – Roma 2012
Domenico Gallo - Da sudditi a cittadini – Il percorso della democrazia
Excursus chiaro e sintetico delle conseguenze storiche e sociali di due Costituzioni : quella di Carlo Alberto di Savoia che divenne la carta fondamentale del Regno d’Italia e del Fascismo, e quella Repubblicana del 1948 che oggi si tenta di modificare..
Edizioni Gruppoabele - Torino 2013
Claudio Fracassi - La battaglia di Roma - Il percorso della democrazia
Nella Roma “Città aterta” occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 spadroneggiano le SS di Kappler e i soldati della Wehrmacht; ma nella città giudicata cinica e indolente è una nuova leva di giovani e giovanissimi, ragazzi e ragazze, ad animare la ribellione e “rendere la vita impossibile all’occupante”….
Mursia Editore - Milano 2013
Angela Maria Alberton - Finché Venezia salva non sia -
Un approfondimento del Risorgimento in Veneto tra il 1848 e il 1866: dall’indagine sul volontariato garibaldino e sulle motivazioni che hanno spinto molti giovani veneti ad arruolarsi con la camicia rossa, alle cause dell’emigrazione dal Veneto al Piemonte e al Regno d’Italia tra il 1859 e il 1866. Un libro nel quale anche le classi popolari rivendicano il ruolo di protagoniste.
Cierre Edizioni - Verona 2012
15 gennaio 2011 | ||
16:00 |
Sabato 15 Gennaio 2011 alle ore 16,00
appuntamento a Roma, Piazza San Pancrazio n° 7 (sala polifunzionale della Parrocchia di San Pancrazio)
Scambieremo con i presenti opinioni e proposte, utili per elaborare la programmazione delle attività per il 2011-2012. L’incontro è aperto a tutti
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Inno degli studenti del 1848 – La Festa
Autori: parole di Mattia Massa (studente) – musica di Gaudenzio Caire (studente)
Quanta schiera di gagliardi
quanto riso nei sembianti
quanta gioia negli sguardi
vedi in tutti scintillar .
Lieti evviva lieti canti
lieti evviva lieti canti
odi intorno risuonare
odi intorno risuonar;
ma se in mezzo a tanta festa
sopra l’itala pianura
come un tuono di tempesta
giù discende lo stranier ,
ci rinfranchi la sventura
ci rinfranchi la sventura
ci raccolga un sol pensiero
ci raccolga un sol pensier .
D’impugnar moschetto e spada
primi a offrire il nostro petto
di salvar questa contrada
giuriam tutti nel Signor .
Chi non giura è maledetto
Chi non giura è maledetto
Chi non giura è traditore
Chi non giura è traditor .
Infiammata negli sguardi
nello sdegno ancor più bella
la gran schiera dei gagliardi
alla pugna volerà.
La vittoria è nostra ancella
La vittoria è nostra ancella
nostro sogno è libertà
nostro sogno è libertà.
La camicia rossa in originale e nelle versioni successive
Testo e video musicale
Conosciuta anche con il titolo: Canto del garibaldino – La mia camicia rossa
Parole di: Rocco Traversa
Musica di: Luigi Pantaleoni
1860
Quando all’appello di Garibaldi
m’unii coi mille suoi prodi e baldi
questa Ei con voce mi dié commossa
Camicia rossa
E dall’istante ch’io t’indossai
Camicia rossa, t’idolatrai
nel petto un foco scese repente
Camicia ardente
Porti l’impronta di mia ferita
sei tutta lacera, tutta scucita!
e per ciò appunto mi sei più cara
Camicia rara
Fida compagna del mio valore
s’io ti contemplo, mi batte il cuore
par che tu intenda la mia favella
Camicia bella
Di gloria emblema, dell’ardimento
il tuo colore mettea spavento!
Fulmin di guerra ciascun ti noma
Camicia indoma.
Là sul Volturno meco hai sudato:
partii soldato, tornai soldato!
Tu sei la stessa che allor vestia
Camicia mia.
A chi t’indossa fan sorda guerra
i prepotenti di questa terra
ma il popol tutto l’ammira e canta
Camicia santa.
E sempre meco con fiero orgoglio
sempre un tuo lembo portar io voglio
fosti mia stella, sarai mia guida
Camicia fida.
E s’altra volta d’Italia il grido
chiami i valenti su l’adrio lido
daremo insieme fuoco alla miccia
O mia camicia.
Se dei Tedeschi nei fieri scontri
vien ch’io la morte dei prodi incontri
chi sa qual sorte ti fia serbata
Camicia amata.
Ma se, adornato d’allori il crine,
muoio in mia terra libera alfine
ti vuo’ sepolta nella mia fossa
Camicia rossa.
Versione alternativa
Quando la tromba sonava all’armi
con Garibaldi corsi a arruolarmi
la man mi strinse con forte scossa
e mi diè questa camicia rossa.
E dall’istante che t’indossai
le braccia d’oro ti ricamai
quando a Milazzo passai sergente
camicia rossa, camicia ardente.
Porti l’impronta di mia ferita
sei tutta lacera tutta scucita
per questo appunto mi sei più cara
camicia rossa camicia rara.
Tu sei l’emblema dell’ardimento
il tuo colore mette spavento
fra poco uniti andremo a Roma
camicia rossa, camicia indoma.
Fida compagna del mio valore
s’io ti contemplo mi batte il cuore
par che tu intenda la mia favella
camicia rossa camicia bella.
Là sul Volturno, di te vestito
quando sul campo caddi ferito
eri la stessa che allor vestia
camicia rossa, camicia mia
Con te sul petto farò la guerra
ai prepotenti di questa terra
mentre l’Italia d’eroi si vanta
camicia rossa, camicia santa.
Quando all’appello di Garibaldi
a un di que’ mille suoi prodi e baldi
daremo insieme fuoco alla mina
camicia rossa garibaldina.
Se dei Tedeschi nei fieri scontri
vien che la morte da prode incontri
chi sa qual sorte sarà serbata
camicia rossa, camicia amata!
Versione alternativa
Versi aggiunti dopo la sconfitta di Garibaldi in Aspromonte il 29 agosto 1862.
Ora tu posi come una mesta
che attende il giorno della sua festa
ed coll’alma trista commossa
ti guardo e lacrimo, camicia rossa!
Nei lidi siculi la prima volta
giovine altero io t’ebbi accolta
e nel nomarti la sposa mia
seguimmo insieme la stessa via.
Oh allor non eri quale tu sei
l’umile veste dei giorni miei!
Eri l’insegna della riscossa
o disprezzata camicia rossa!
Eri di tanta gloria beata
che da due mondi fosti desiata
e l’Angio e l’Unghero scesero in campo
del tuo divino fulgore al lampo.
Fino le imbelli fanciulle ornarsi
di te si piacquero e innamorarsi
né da quei cori giammai rimossa
fu la tua immagine, camicia rossa.
E come un voto di casta fede
che amor d’Italia solo concede
nella parete d’ogni umil tetto
pendesti all’ara di un santo affetto.
Tradita, fosti più grande – e Pisa
luce ha più bella con te divisa…
Oh! quella guerra che t’hanno mossa
t’ha sublimato camicia rossa.
Nella tua fiera malinconia
tu mi rammenti Venezia mia
nella tua vita, vinta non doma
sembri ripetere: «O morte, o Roma!»
Oh! vieni vieni col sol d’aprile
impari il mondo che non sei vile!
Roma e Venezia, poi nella fossa
scendiamo insieme, camicia rossa!
Camicia rossa, camicia indoma
sembri ripetere: O morte, o Roma!»
Sì, ripetiamo con voce forte
con Garibaldi: «O Roma, o morte!».
Versione alternativa
Versi aggiunti in riferimento alla partecipazione di Garibaldi alla guerra franco-prussiana (1870-1871) e dei garibaldini alla guerra greco-turca (1919-1922).
E nel Settanta fosti a Digione
camicia rossa prode campione
e ai prussiani strappavi da forte
una bandiera sprezzando la morte.
Quando la Grecia stanza e indoma
contro il Turco alzò la chioma
sei accorsa pronta, piena di valore
Camicia rossa, piena d’onore.
Versione alternativa
Versione scritta da Cristiano Giusto Caregnato in riferimento alla partecipazione di Garibaldi alla guerra franco-prussiana (1870-1871).
Or che la tromba risuona all’armi
con Garibaldi torno a ruolarmi
la stessa io provo potente scossa
che tu mi desti, camicia rossa.
Di te vestito farò la guerra
ai coronati di questa terra
di te vestito, nessun timore
camicia rossa io sento in cuore.
Là sulla Mosa, fra strania gente
del nuovo dritto campione ardente
sarò quel desso, camicia mia
che in altri tempi ti rivestia.
Dacché dannata fosti al bargello
il tuo colore splende più bello
di te vestito, per la riscossa
saprò morire, camicia rossa.
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Il perscorso ha rievocato i momenti salienti delle battaglie che si sono svolte per tutto il mese di Giugno, a partire da Villa Corsini (ora arco dei quattro venti all’interno di Villa Pamphili) a Villa Spada.