Articoli marcati con tag ‘Marco Travaglio’
Riportiamo un articolo di fondo del 12/01/2014 di Marco Travaglio che esprime con chiarezza di quale male soffra il Popolo italiano
Quando le intercettazioni dell’inchiesta sulla cricca della Protezione (In)civile immortalarono i due (im)prenditori che se la ridevano di gusto per il terremoto dell’Aquila appena tre giorni dopo la scossa fatale che aveva ucciso 309 persone, si pensò a un caso estremo, eccezionale, irripetibile di disumanità. Ora, dalle telefonate di 18 mesi dopo pubblicate dal Fatto e tratte da un’indagine frettolosamente archiviata dalla vecchia Procura dell’Aquila e riaperta da quella nuova, si comprende che quelle non erano le solite mele marce in un cestino di mele sane: è l’intero cestino che è marcio. L’assessore aquilano di centrosinistra Ermanno Lisi che, di fronte alla sua città in macerie, definisce il terremoto che l’ha distrutta una “botta di culo” per “le possibilità miliardarie” di “tutte ‘ste opere che ci stanno” e che “farsele scappa’ mo’ è da fessi, è l’ultima battuta della vita… o te fai li soldi mo’… o hai finito”, non è un fungo velenoso spuntato dal nulla. É la punta più avanzata di un sistema che chiamare corruzione è un pietoso eufemismo. Questi non sono corrotti. Questi sono subumani, vampiri, organismi geneticamente modificati che mutano continuamente natura verso la più bruta bestialità grazie all’omertà e all’inerzia di chi dovrebbe controllarli, fermarli, cacciarli. Non stiamo parlando di reati (per quelli c’è la giustizia, che con l’arrivo del procuratore Fausto Cardella è in buone mani anche all’Aquila). Ma di un’antropologia mostruosa che nessuno può dire di non aver notato. Che pena il sindaco Cialente, quello che garantiva vigilanza costante sugli appalti e sfilava con la fascia tricolore alla testa dei terremotati puntando il dito contro i governi che lesinavano aiuti, e non riusciva neppure a liberarsi di politici, professionisti e faccendieri come il capo dell’ufficio Viabilità del suo Comune che affidava lavori alla ditta del suocero. Il caso vuole che queste intercettazioni escano in contemporanea con il film di Paolo Virzì Capitale umano e con le demenziali polemiche per il presunto, ridicolo “vilipendio di Brianza”. Il film, straordinario grazie anche allo strepitoso cast, è ispirato al romanzo di Stephen Amidon e, anziché in Connecticut, è ambientato a Ornate. Ma l’ultima cosa che fa venire in mente a una persona normale (dunque non a certi leghisti e giornalisti di Libero, del Foglio e del Giornale) è la Brianza. É una storia universale – ben scritta da Francesco Bruni e Francesco Piccolo – di capitalismo finanziario selvaggio che, ai livelli più alti come in quelli più bassi, pensa di poter fare soldi con i soldi e intanto annienta sentimenti, amicizie, affetti, famiglie, cultura, vite umane. Vite che, quando si spengono, vengono misurate anch’esse in denaro, col registratore di cassa, dunque non valgono più nulla. “Abbiamo scommesso sulla rovina del nostro paese e abbiamo vinto”, dice trionfante il protagonista, Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), mentre il suo alter ego straccione, Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), si vende la figlia per riprendersi i 900mila euro perduti in una speculazione andata a male. Gli unici scampoli di umanità li preservano le donne, interpretate magistralmente dalle due Valerie, Golino e Bruni Tedeschi, e dall’esordiente Matilde Gioli.
Il merito principale del film è di illuminare le radici del fallimento di un paese ormai inutile, addirittura dannoso. Quello che si illudeva di chiudere il berlusconismo come fosse una parentesi e non lo specchio, la biografia di una certa Italia che Berlusconi ha soltanto sdoganato e resa orgogliosa della sua mostruosità, ma che gli preesisteva e gli sopravviverà: nelle classi dirigenti di destra di centro di sinistra, ma anche in vaste aree della “società civile”. Ogni squalo che fa soldi sulla pelle della gente, per ogni pirata che ruba sugli appalti, per ogni vampiro che succhia il sangue ai morti del terremoto si regge sul silenzio complice di decine, centinaia di persone. Che, fatta la somma, sono milioni. Troppe per sperare in un cambiamento imminente. Ma non troppe per rinunciare a prepararlo subito.
Da Il Fatto Quotidiano del 12/01/2014.
Riportiamo due articoli di prima pagina del Fatto Quotidiano del 01/12/2013, a firma di Paolo Floris D’Arcais e Marco Travaglio, che esprimono con efficacia il forte disagio politico e culturale ancora presente nella società italiana malgrado l’apparente fine, con l’espulsione di Berlusconi dal Senato della Repubblica, di una stagione torbida e decadente.
LE MACERIE SOTTO IL COLLE
A cosa è servita la catafratta pervicacia di Giorgio Napolitano nell’imporre all’Italia in macerie le larghe intese? A nulla. Ad avere un governicchio che al Senato si regge sullo sputo di qualche voto, un monocolore Pd più pochi spiccioli iversamente erlusconiani, sulla cui qualità stendere un pietoso velo (Fabrizio “P2” Cicchitto, l’indagato per mafia Schifani, la setta Cl con Formigoni in testa …), monocolore al quale il prossimo segretario del Pd riserva ogni giorno il suo disgusto, mentre ingiustizia e iseguaglianza vanno al diapason, l’efficienza sotto i tombini, corruzione e familismo amorale banchettano più suntuosamente di Trimalcione. Pur di arrivare a questo esaltante risultato Napolitano ha ignorato il verdetto elettorale, che chiedeva a squarciagola la fine del berlusconismo mettendo per sovrammercato all’ordine del giorno la rottamazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Pur di precipitare l’Italia in questa morta gora Napolitano ha spacciato la leggenda di un Berlusconi partner del gioco democratico, quando anche i sassi sanno (e Fedele Confalonieri dixit, già un ventennio fa) che la sua “discesa” in politica era un modo per aggirare la galera e conservarsi l’indebito bottino massmediatico monopolistico accumulato grazie alle mene contra legem del suo sodale Craxi.
Berlusconi non poteva essere il Chirac italiano, poiché è sempre stato il Le Pen di Arcore o l’aspirante Putin della Brianza, un odiatore strutturale della democrazia liberale con la sua “balance of power” e soprattutto l’autonomia del potere giudiziario, tanto più nella versione italiana con la sua Costituzione “giustizia e libertà”. Il governicchio Lettalfano, di cui Napolitano è l’onnipotente Lord protettore, non farà altro, perciò, che ammassare altre macerie, materiali e morali, su quelle cui vent’anni di Berlusconi e di dalemiano inciucio hanno ridotto l’Italia. Mentre l’unica via per rinascere consiste in una monumentale redistribuzione delle ricchezze, che per il rilancio dell’economia applichi la ricetta del nuovo sindaco di New York, togliere ai ricchi per dare ai poveri, coniugata con un’autentica rivoluzione della legalità, che restituisca ai cittadini un barlume di speranza nella eguale dignità di ciascuno e nella liberazione dai Mackie Messer grandi e piccoli che a legioni spolpano e avviliscono il paese. Continueranno invece ad applicare la ricetta del sindaco di Londra, che predica “avidità e diseguaglianza” esaltando Gordon Gekko
Paolo Floris D’Arcais.
GLI APOTI
Ogni tanto qualche impiegato o ex impiegato di Berlusconi – tipo Pigi Battista, che andò a vicedirigere Panorama quando l’editore era già un leader politico e poi tentò di sostituire l’epurato Enzo Biagi su Rai1 con i risultati a tutti noti –
annuncia la fine del berlusconismo, e dunque dell’antiberlusconismo, e dunque del Fatto. Questi buontemponi passano la vita a incensare i governi, non importa il colore, e a bastonare le opposizioni senza accorgersi che la stampa libera fa esattamente l’opposto. Dunque pensano che un giornale libero possa nascere al solo scopo di combattere B. e debba morire con B. Il Fatto , come i nostri lettori ben sanno, è sorto con una missione un po’ più ambiziosa: dare le notizie che gli altri non danno. E gli altri, seguitando a non darle, lavorano per noi, del che li ringraziamo di cuore. Ora, per esempio, dopo aver molto laudato le larghe intese dei governi Monti e Letta con B., si dannano l’anima a magnificare il governo Letta senza B.. E a bastonare B. non perchè è B., ma perché non sta più al governo. L’impresa è titanica ma, siccome affratella il 99 per cento della cosiddetta informazione, rischia persino di riuscire.
Noi rappresentiamo quell’1 per cento di Apoti che non la bevono. Il berlusconismo è un male in sé, con Berlusconi, ma anche senza. Anzi, il berlusconismo senza Berlusconi è ancor più insidioso, perché si camuffa meglio, e si fa scudo del resunto merito di aver allontanato Berlusconi. In realtà Berlusconi non l’ha allontanato nessuno: se n’è andato lui quando ha capito che chi gli aveva garantito l’unica cosa che gli interessi, il salvacondotto, non voleva o non poteva mantenere la promessa. Ed è pronto a tornare per darselo da solo, il salvacondotto, se l’ennesimo governo delle tasse e delle banche lo resusciterà dall’avello: Monti docet.
Il berlusconismo è illegalità sbandierata e rivendicata, allergia alla Costituzione e ai poteri di controllo, guerra alla giustizia, conflitto d’interessi, commistione tra affari e politica. Possiamo dire che questo micidiale cocktail di cinque ingredienti il governo Napo-Letta è immune dopo la decadenza di Berlusconi e la sua uscita dalla maggioranza?
1) Illegalità sbandierata: da sette mesi Vincenzo De Luca (Pd renziano) siede abusivamente sulla doppia poltrona di sindaco di Salerno e viceministro delle Infrastrutture, senza contare che ha tanti processi quanti B., e nessuno l’ha sloggiato fino all’intervento dell’Antitrust; ma forse non basterà e bisognerà chiamare Gondrand.
2) Allergia alla Costituzione e ai poteri di controllo: la maggioranza Napo-Letta sta scardinando l’articolo 138 della Carta per poterne scassinare l’intera seconda parte e rafforzare vieppiù il governo a scapito del Parlamento (già da anni ridotto a ente inutile a colpi di decreti e fiducie), e ora insegue B. per ricomprarsi i suoi voti e impedire ai cittadini di votare al referendum finale.
3) Guerra alla giustizia: sull’altare della controriforma costituzionale, i pd Violante e Speranza e gli ncd Alfano, Cicchitto e Lupi vogliono mettere il guinzaglio alla magistratura e il bavaglio alla stampa per reimbarcare Forza Italia e ampliare gli spazi d’impunità dei soliti noti.
4) Conflitto d’interessi: a regolare la materia sono ancora le leggi Gasparri e Frattini, scritte dai prestanome di B., e nessuno parla o pensa di spazzarle via.
5) Commistione affari-politica: dalle fondazioni bancarie alle Asl, da Expo2015 alle aziende municipalizzate alle partecipate dallo Stato, Rai inclusa, i partiti gestiscono direttamente enormi affari; persino la legge-brodino sui fondi ai partiti, annunciata sei mesi fa da Letta jr., è scomparsa dai radar.
Su questi temi cruciali, non sul teatrino delle alleanze & decadenze, si misura il tasso di berlusconismo. Al momento, in Parlamento, solo i 5Stelle ne sono immuni. Il Nuovo Centrodestra è uguale al vecchio. E così il Quirinale e Letta jr., sponsor di Alfano & C. Tra una settimana sapremo se lo è anche il Pd di Matteo Renzi, o se magari cambia qualcosa.
Marco Travaglio