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Quest’anno ricorre il 170° anniversario della prima gloria garibaldina avvenuta nel piccolo villaggio di San Antonio del Salto (Uruguay). Dopo aver difeso la libertà del popolo brasiliano, Garibaldi si reca in Uruguay (1842) dove il Governo di quello Stato lo nomina Colonnello Comandante della “Legione Italiana” (si erano anche costituite altre Legioni straniere, fra cui la francese e la spagnola) che insieme alle altre dovevano aiutare l’esercito uruguayano a liberare dal blocco navale il porto di Montevideo dall’assedio posto dalle navi argentine e suoi alleati. L’esercito argentino tentò, con grande disponibilità di uomini e di mezzi, di annientare con un accerchiamento di sorpresa la piccola Legione Italiana (186 uomini e 8 ufficiali) che manovrava nella zona di San Antonio del Salto, che si trovava a poca distanza dal Fortino della cittadella del Salto, dove era rimasto il Colonnello Anzani con l’artiglieria.
Del cruento ed impari scontro, avvenuto l’8 febbraio 1846, preferisco riportare l’articolo completo tratto dal raro volume: “Vita di Garibaldi” di Filandro Colacito, un ex volontario garibaldino, dal titolo:”“ L’onore d’Italia a Montevideo”
Dieci vascelli accerchiavano tre piccole navi. Siamo nelle acque del Panaro; i dieci sono del feroce dittatore Rosas di Buenos Aires, le tre della Repubblica di Montevideo. I primi sono comandati da un Ammiraglio inglese, famoso per altre vittorie, Brown; le altre sono agli ordini di Garibaldi, che le preghiere dei Montevideani han tolto al suo Collegio ed alle matematiche per salvare la vacillante libertà. Da tre dì dura il fulminante delle artiglierie, e ai nostri mancano le munizioni. “Fate a pezzi le catene delle ancore e adoperatele per mitraglia!”, tuona Garibaldi. Brown fa sospendere il fuoco. “Arrendetevi!”, grida col portavoce a Garibaldi. “Prima la morte”, risponde l’eroe. E il fuoco continua più accanito di prima; scende la notte, la terza che non si dormiva. Anche le catene furono sparate contro i nemici. Garibaldi si risovviene di quanto ha fatto alla Laguna, e pensa si ripeterne i passi. Mette in mare l’una dopo l’altra le lance, v’imbarca i suoi uomini e le fa passare fra i bastimenti nemici. “I feriti per i primi!”, raccomanda a bassa voce. In poche ore tutti sono alla riva; egli ed Anita abbandonano ultimi la nave. Sono appena discesi nella loro lancia che uno scoppio spaventevole echeggia. Le tre navi della Repubblica di Montevideo sono una sola fiamma, ed i nemici mirano con rabbia e umiliazione sfuggirsi di mano la preda ritenuta sicura. Sulla riva stanno i soldati argentini, e Garibaldi riunisce i suoi e colle baionette e colle tavole (di munizioni non ne aveva più) si slanciano nel folto dei nemici, li sgominano, si aprono un passo e giungono sani e salvi a Montevideo, dove vengono accolti da entusiastiche acclamazioni. “Questi soldati sono pigri”, diceva al generale dei nemici argentini. “Comandati da un leone”, rispose quello. Passano pochi giorni. La flotta di Buenos Aires stringe da vicino Montevideo. Una densa nebbia si stende sulla rada. Garibaldi prende 12 uomini risoluti, si getta con loro in uno schifo, e si reca in mezzo ai nemici per studiarne le forze: una goletta, armata di sei cannoni e di giunchi. L’acqua poco profonda non permette alla goletta di inseguirlo, ma questa però si pone di traverso al seno per impedirne l’uscita. La notte Garibaldi dice ai suoi: “Tutti in mare e nuotate senza rumore!”. Si accostano , colla sciabola fra i denti alla nave senza essere veduti: si arrampicano su per i fianchi della goletta, balzano improvvisi sulla tolda e uccidono le guardie. La ciurma si sveglia spaventata; Garibaldi le impone di gettar l’arme e darsi prigioniera. In pochi istanti la nave è conquistata e tosto Garibaldi fissa la bandiera repubblicana, appunta i cannoni agli altri vascelli nemici e li fulmina di fianco: poscia levate le ancore, conduce a Montevideo la nave con tanto ardimento conquistata. “Garibaldi è fatato!” (dicevano i popolani d’America, come più tardi quelli d’Italia). Nessuna arme può toccarlo, egli scaccia colla mano le palle, come altri fa colle mosche.
A Montevideo v’era una legione francese che aiutava valorosamente la Repubblica. Molti dicevano: “Garibaldi è prode, ma gli altri italiani sono poltroni, e temono di scottarsi al fuoco delle battaglie. Per questo sono schiavi nella loro patria!”. L’accusa giunge all’orecchio di Garibaldi. Tosto va a bussare di casa in casa di quanti italiani v’erano in Montevideo. Ed in pochi giorni riunisce una legione ardente di cimentarsi in Battaglia. Due cose diceva ai suoi soldati:”noi dobbiamo mostrare che gli italiani sanno battersi e che fanno volentieri sacrificio della vita per la causa della libertà”. Alla legione, forte di quasi mille uomini, diede una bandiera. Era di seta nera col Vesuvio dipinto nel mezzo, emblema dell’Italia e delle rivoluzioni che ruggivano come lava ardente nel suo seno. Fu affidata al giovinetto Sacchi, oggi generale italiano, che in questi dì ricordò in Roma, piangendo l’antico Duce, l’insegna gloriosa. Il colonnello Anzani di Alzate era l’amministratore della legione. Con questi soldati sollevò con molte vittorie ad alto onore il nome italiano in quelle contrade e specialmente coi tre fatti di Cerro, delle Tres Crues e de la Bajada. In alcuni combattimenti alcuni negri che si dimostrarono molto valorosi s’erano affezionati a Garibaldi: uno di questi, il moro Aguyar, lo seguì anche in Italia.
Il fatto più luminoso compiuto dagli italiani, fu quello di S. Antonio del Salto. A Garibaldi era stato dato l’incarico con 184 fanti e 20 cavalieri, di trattenere il nemico composto di 1500 soldati, al fine di dar tempo ai Montevideani di fare una ritirata. “Siamo uno contro sette!”, grida Garibaldi ai suoi; “tanto meglio! Quanti meno siamo, tanto maggiore sarà la gloria! risparmiate la polvere sparate solo a bruciapelo!”. Vicino sorgeva una “tapera”, vale a dire una casupola fatta con quattro pali ed una stuoia: colà si aggrupparono i nostri. 300 nemici s’avanzarono a corsa: quando son vicini li accoglie una scarica di fucile e tosto un assalto alla bajonetta. La fanteria è sgominata. S’avanza la cavalleria: trova un muro di baionette. Scendono i nemici da cavallo e combattono a piedi; ma i nostri non cedono un palmo di terreno. Intorno ad essi vi erano mucchi di morti e di feriti: servivano di trincea. Tra una scarica e l’altra, i nostri cantano inni patriottici d’Italia. I nemici meravigliati non comprendono nulla. “Mancano le munizioni!”, grida un legionario con accento di terrore. “Ne hanno i morti!”, risponde Garibaldi. E mentre gli uni rispondono ai colpi nemici, gli altri frugano i caduti e fan raccolta di cartucce. Erano combattimenti, duelli eroici, degni d’essere cantati dall’Ariosto. Dal mezzo dì dell’8 febbraio 1846 a mezzanotte si combatté con ardore. Da una parte e dall’altra si bruciava di sete. Dei nostri, cento soli erano in piedi, anche questi quasi tutti feriti e contusi: i nemici morti e feriti erano 500. Infine stanchi, disperati, umiliati, gli argentini dovettero dichiararsi vinti e Garibaldi con tutti i suoi feriti entrava in S. Antonio fra le acclamazioni del popolo meravigliato. Il governo della Repubblica, all’annunzio del fatto strepitoso, promosse Garibaldi da Colonnello a Generale, gli affidò il comando di Montevideo, decretò che la legione italiana avrebbe avuto il posto d’onore in tutte le parate dell’esercito, e sulla bandiera fu scritto in oro: - GESTA DELL’8 FEBBRAIO 1846 DELLA LEGIONE ITALIANA AGLI ORDINI DI GARIBALDI -
Sempre da questo libro riporto questa rarità fotografica con tre superstiti della battaglia ( foto 1). Faccio presente (perché non riportato nell’articolo suddetto) che per l’eroico comportamento della Legione Italiana e del suo Comandante, il Governo uruguayano decretò e concesse a tutti i militi uno scudetto d’argento da portare al braccio sinistro con la scritta: “Envencibles combatieron el 8 f.ro de 1846”(foto 2) . Inoltre a tutti i militi fu concessa anche una medaglia in bronzo (foto 3-4) ed agli ufficiali una di uguale disegno ma in argento. Per tutti coloro che volessero approfondire notizie su questo glorioso episodio consiglio di leggere il libro di Ivan Boris: “Gli anni di Garibaldi in Sud America - 1836-1848” ( Ed. Longanesi – Milano 1970). A pagina 225 è riportata la fotografia (molto ingrandita), dello scudetto suddetto, nella cui didascalia non è citato il luogo dove è conservato. Un esemplare di questo rarissimo scudetto è stato recentemente trovato. Ne dò la riproduzione fotografica nella foto N° 5. Per gli amici filatelici riporto nella foto n° 6, la riproduzione dell’annullo figurato che l’Uruguay ha realizzato a ricordo del 150°anniversario del glorioso Fatto d’armi.
Leandro Mais